domenica 3 maggio 2009

Nuova cultura

"Tette" in arabo di Andrea B. Nardi

C’è un gruppo di giornalisti che, per via di qualche esaltato caduto vittima di una cultura oscurantista, rischia la vita. C’è un gruppo di giornalisti che, oltre a rischiare persecuzioni, denunce, incarcerazioni, processi in sistemi giuridici non esattamente garantisti, sta affrontando una delle maggiori sfide storiche all'interno delle società arabe. Sono i giornalisti della redazione di “Jasad” (Corpo in arabo), rivista patinata appena nata – siamo al secondo numero –, pubblicata in Libano e sempre più diffusa nei paesi arabi. Ma perché Corpo è così importante, e perché i suoi giornalisti sono tanto eroici? Il sottotitolo recita: «Rivista culturale periodica specializzata nella letteratura, le scienze e le arti del corpo», e, benché sia tutta scritta rigorosamente in arabo, è nelle immagini che si palesa subito la sua carica rivoluzionaria. Per la prima volta in assoluto in un periodico arabo vengono stampate liberamente fotografie di nudi e di particolari anatomici maschili e femminili senza alcun pudore, il tutto a corredo di serissimi articoli di scienza, di costume, e di società. I collaboratori sono intellettuali, scrittori, studiosi, giornalisti arabi, e devono firmarsi col proprio nome. Gli argomenti di volta in volta affrontati appartengono a quella sfera che tange l’erotismo ludico per fare in realtà informazione colta: esattamente quanto di peggio per i tabù di società islamiche ossessionate dal sesso – nell’ultimo numero il tema è “il pene”, con descrizioni, notizie scientifiche, commenti, e molti ritratti espliciti. Joumana Haddad è la fondatrice, editrice e direttrice; trentottenne, giornalista collaboratrice di molti quotidiani libanesi, coltissima, poliglotta, ha obiettivi ben precisi: «Avrei potuto scegliere di farla in francese, ma ciò che è accettabile nelle lingue europee non lo è in arabo. La scommessa – afferma la Haddad – è proprio quella di far riscoprire l’antica eredità di questa lingua usata in passato per scrivere testi che oggi farebbero arrossire il pubblico più smaliziato» (intervista di Lorenzo Trombetta per Limes). La tiratura aumenta sempre più, arriva in abbonamento in tutto il mondo arabo, compresa la super conservatrice Arabia Saudita, e i suoi lettori sono uomini e donne. Quindi, temi che in Occidente sarebbero ormai innocui, qui diventano pericolosi: sessualità, erotismo, informazione scientifica, psicologia, cultura varia (recensioni di mostre internazionali, libri e film altrimenti censurati), ma anche denuncia sociale di alcune delle questioni più spinose nell’islam: la violenza sulle donne, l’omosessualità, la pedofilia. In pratica, tra la foto di un seno e l’intervista a uno psicologo, gli scopi di Corpo sono squarciare l’arretratezza culturale delle società arabe iniziando dallo sdoganamento delle tematiche sessuali, le più pregnanti in civiltà bigotte, ma anche le più destabilizzanti per le stesse. Una specie di “operazione Playboy” con cui Hugh Hefner nel 1953 iniziò a scardinare il perbenismo della società americana protestante, facendone emergere l’ipocrita repressione sessuale, esorcizzandola, e provocando così un dibattito culturale libero e consapevole che sarebbe sfociato nella maturazione sessuale della società, e di cui in primis avrebbe giovato in seguito il femminismo occidentale. Affrancare queste tematiche dalle pruderie clericali permette d’affrontarne molte altre legate ai diritti umani e sociali; al contrario, lasciare tutto sommerso ottiene soltanto la falsa rappresentazione di una società “pulita e morigerata”, mentre al di sotto di questa striscia la degenerazione dell’eros, la sua perversione e violenza, protetta da un’ignorante e ingiustificata verecondia. Ricordiamoci che stupri, discriminazioni, incomprensioni fra sessi e generazioni, provengono sempre dalla repressione culturale. Non è un caso che una rivista di tal tenore sia apparsa in Libano, che viene spesso considerato un’oasi di libertà nel retrivo panorama arabo-islamico. In questo c’è una parte di verità, risalente a quando il Libano veniva definito la Svizzera del Medio Oriente. Patria di dissidenti, tribuna per proclami politici, milieu interculturale e religioso, frontiera permeabile alle idee occidentali, nel Paese dei Cedri, tuttavia, siamo ancora ben distanti dalle concezioni libertarie europee. La censura governativa è per il momento un sistema assai repressivo, e le sue mani colpiscono ogni aspetto informativo e culturale. L’istituzione incaricata della censura appartiene nientemeno che alla struttura militare, la Sicurezza Generale, e gli argomenti fra i più pericolosi sono: Israele, la guerra civile, e appunto il sesso. Film, pièce teatrali, libri, notizie, tutto viene vagliato dall’anacronistica (secondo i criteri occidentali) alleanza tra autorità religiose musulmane, leader politici ex signori della guerra, vertici militari spesso responsabili di crimini. Ecco che allora un barlume di verità partorito attraverso un semplice magazine di sessualità e cultura rischia da un momento all’altro di vedersi decapitato, ed ecco la ragione per cui questi giornalisti sono eroici. Eppure questo è segno che nel mondo arabo-musulmano il seme della libertà c’è, è stato piantato, ed è nostro dovere proteggerlo, aiutarlo a crescere e diffonderlo dove ancora non c’è.

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