domenica 31 gennaio 2010

Sergio Romano e il burqa

Sul burqa

Siamo fortunati di vivere in un paese dove Sergio Romano scrive solo sul CORRIERE della SERA invece di fare il legislatore. Ad un lettore, che gli scrive se non sia il caso di vietare il burka anche in Italia per ovvi motivi di riconoscibilità della persona, e quindi per ragioni di sicurezza in quanto la legge impone che i cittadini devono essere sempre identificabili, Romano, usando per fortuna il condizionale, ritiene che una legge va fatta soltanto quando il "problema di sicurezza diventa quantitativamente rilevante". Essendo poche le donne con il burka nel nostro paese- lui a Milano non ne ha mai vista una - conviene aspettare che ce ne vedano. Che questo sia già accaduto in Francia, Germania, Inghilterra, paesi nordici ecc. non preoccupa il nostro più di tanto. Sull'argomento ha le idee confuse, come dimostra nell'affrontare subito dopo la questione del velo integrale. "Avrà l’effetto di rendere le donne musulmane più libere o piuttosto quello d’imprigionarle nelle loro case?" Si chiede Romano. Ma si sa, lui è un feroce critico dei costumi occidentali, che l'Europa diventi Eurabia non lo riguarda.

Nelle democrazie le leggi che limitano le libere scelte di un individuo dovrebbero essere fatte soltanto quando un problema di sicurezza diventa quantitativamente rilevante. Siamo davvero sicuri che esista, in Francia e in Italia, una questione del velo integrale? In una corrispondenza da Parigi per il Corriere, Massimo Nava scrive che le donne interamente velate sarebbero in Francia 2000. In Italia, sulla base della mia personale esperienza (a Milano non ne ho vista nemmeno una) siamo probabilmente nell’ordine di poche centinaia. È necessario adottare una legge per un fenomeno marginale a cui è possibile fare fronte con le norme sull’ordine pubblico? È meglio vietare il velo integrale o fare un decreto che precisi quali siano le circostanze in cui la polizia può chiedere a una donna di toglierlo per essere identificata? Nella sua lunga lettera, che ho dovuto purtroppo abbreviare, lei sostiene, come altri lettori, che il trattamento riservato agli stranieri in molti Paesi arabo-musulmani è molto più restrittivo. Può darsi. Ma la reciprocità si applica soprattutto nelle questioni commerciali, finanziarie e più generalmente economiche, non in materia di diritti umani. Noi abbiamo i nostri criteri, validi per chiunque metta piede in Italia, e dovremmo andarne fieri. Esiste poi il problema delle ricadute di un eventuale divieto del velo integrale. Avrà l’effetto di rendere le donne musulmane più libere o piuttosto quello d’imprigionarle nelle loro case? Per lei, mi sembra di capire, il quesito è ozioso e irrilevante. Per me, no. Quando adotta una legge, lo Stato deve chiedersi quali possano essere i suoi effetti collaterali. Una studiosa dell’università di Milano, Marilisa D’Amico, ha scritto recentemente che «il velo integrale islamico (...) è indossato dalle donne, non dagli uomini. (...) La preoccupazione, allora, è che esso nasconda una forma di discriminazione delle donne. In ultima analisi, questo è l’aspetto più delicato del divieto, che merita di essere meditato: ovvero che esso si traduca, in concreto, in una forma di emarginazione delle donne islamiche, le quali, se vorranno tener fede alla loro concezione religiosa, saranno costrette ad abbandonare una volta per tutte gli spazi pubblici per essere del tutto relegate nello spazio privato». Credo che Marilisa D’Amico abbia ragione e mi auguro che il ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna tenga conto di queste considerazioni.

2 commenti:

claudio ha detto...

Emerite Stronzate! Io sarei ancora più radicale: non facciamone entrare più e costruiamo il muro come sta facendo Netanyahu con l'Egitto. Così abbiamo risolto il problema. Informazione corretta però si è dimenticata di dire che fra i fautori del divieto di una legge antiburqa c'è pure Frattini. Cioè dentro una parte del PdL.

Eleonora ha detto...

Non solo c'è quel cretino di Frattini nel Pdl, ce ne sono altri ancora... nel Pdl.