"Colpa dell’islam integralista. È una vittima di chi professa l’odio" di Gaia Cesare
Ahmad Ejaz, giornalista pakistano, unico membro non arabo della Consulta islamica nata nel 2006 presso il ministero dell’Interno. Che succede? Ci troviamo di fronte a un nuovo caso Hina? «Il rischio alto è che ci si trovi di fronte al tentativo di un matrimonio combinato forzato. Nella nostra cultura le nozze combinate sono il fulcro della società. Quelle forzate sono ovviamente un crimine. Ma gran parte dell’immigrazione pakistana arriva dalle zone rurali, che sono molto tradizionali, ed è probabile che la famiglia abbia rapito la ragazza per portarla in Pakistan».
Un sequestro perché la ragazza torni alle buone tradizioni pakistane? «Il modello è quello inglese. Nel Regno Unito ogni anno 1300 ragazze scappano via dai matrimoni forzati».
Hina è stata uccisa. C’è il rischio che sia successo lo stesso? «Come intellettuale e giornalista dico che se è così siamo a un livello bassissimo della nostra cultura millenaria. Se davvero siamo arrivati al punto di uccidere le nostre figlie, dobbiamo guardarci allo specchio e farci un’esame di coscienza».
Almas ha 17 anni e voleva solo vestire e vivere all’occidentale. È ancora considerato un crimine da molti immigrati pakistani. Perché? «I genitori spesso non sono integrati. Scappano da un Paese in guerra, si sentono costretti a vivere qui e lo fanno lontani dai costumi italiani, dalle abitudini culinarie, sociali, dell’abbigliamento e della scolarizzazione di questo Paese».
Anche in questo caso ci potrebbe essere la complicità di una moglie e di una madre. Perché le donne non solidarizzano con le figlie? «La famiglia pakistana è gerarchica, il padre comanda, la madre si occupa della casa. Pensi che la moglie dà del «lei» al marito, come nella Sicilia di un tempo. D’altra parte era mondo arabo anche quello».
Qui sembra che ci sia un’altra madre matrigna. «Il fatto è che quel sistema funziona finché sei nel contesto pakistano. È ovvio che quando esce da quei confini entra in conflitto con il modello culturale occidentale».
Quanto c’entra la religione? C’è lo zampino di un islam fondamentalista? «Certo. E in Italia i Fratelli musulmani stanno lavorando benissimo in questo senso. Hanno le moschee e hanno i soldi».
Hanno anche i predicatori? «Tabligh e Dawa, un’organizzazione integralista di missionari di tradizione islamica, ogni anno riunisce a Bologna seimila persone per il mese di maggio. Girano l’Italia per dire ai “fratelli” di non vestire all’occidentale e di non andare al bar. Predicano contro le tradizioni occidentali».
Predicano contro l’integrazione? «Sì. E mettono in grave imbarazzo molti fedeli. A Roma molti grandi cuochi sono egiziani e bengalesi. Se gli dici di stare lontani dal maiale, vivono una frustrazione: pensano che fare il loro lavoro sia un peccato. Così si alimenta l’esclusione, una vera e propria ghettizzazione».
Come si combattono questi fenomeni? «Integrazione è la parola d’ordine. E per questo lavoreremo con la Consulta».
Non è a un binario morto? «Potrebbe presto riprendere l’attività. Si aspetti una sorpresa».
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