E’impressionante la serie di notizie che il mondo della sharia ci ha riversato nelle ultime 48 ore. Nella città di Jos in Nigeria è stato imposto il coprifuoco dopo gli incidenti tra musulmani e cristiani che hanno fatto 26 morti e 300 feriti, 3.000 abitanti sono stati trasferiti per ragioni di sicurezza. A Mosul, in Iraq, è stato trucidato a colpi di pistola il siro-cristiano Youssif Joris, in concomitanza con i festeggiamenti per l’insediamento del vescovo caldeo; è la quinta vittima cristiana in 30 giorni nella città. In Pakistan, il tribunale di Faisalabad ha condannato all’ergastolo a causa della “legge sulla blasfemia” il giovane cristiano Imran Masih, accusato di avere bruciato versetti del Corano “per offendere i sentimenti dei musulmani”; a oggi, mille sono i cristiani incriminati sulla base di questa legge e 33 sono i cristiani uccisi da singoli musulmani o linciati da folle inferocite per blasfemia. In Iran, il procuratore di Teheran ha chiesto al tribunale la condanna a morte per cinque manifestanti, arrestati durante gli incidenti dell’Ashura, contestandogli il reato di Moharebeh (essere nemici di Dio), segnando così una svolta drammatica: chiunque manifesti contro il regime può essere condannato a morte. In Italia è stato arrestato ieri a Fano, con la moglie, il pachistano Aktar Mhamoo, che lunedì aveva rapito la figlia per imporle di seguire la sharia e non i “costumi corrotti”; la ragazza era in precedenza stata assegnata dal tribunale a un centro di assistenza in seguito alle percosse subìte dal padre. A questa serie va poi aggiunta la fatwà emessa sei giorni fa in Yemen dallo sheikh Abdelmajid Zendani e dai principali ulema con cui si proclama il jihad contro ogni prospettiva di intervento militare nel paese degli Usa – o di “stranieri” – per contrastare al Qaida (come prospettato imprudentemente per giorni da fonti della Casa Bianca). Come si può constatare, è impossibile separare le iniziative dei terroristi islamici da quelle di folle islamiche, da quelle di tribunali islamici di paesi “moderati”, da quelle della giustizia islamica di paesi “fondamentalisti”, dalle convinzioni di un normale emigrato, che lavora da anni in Italia, ben inserito, che ritiene di dovere imporre l’“autorità tutoria” che la più diffusa sharia gli riconosce su una figlia. E’ evidente la radice comune di queste tragedie, che riportano a un nodo unico: i modelli di riferimento del terrorismo islamico sono inscindibili con quello di tutte le componenti maggioritarie dell’islam e hanno nella sharia ortodossa la loro forza generante. Solo la chiesa, con la svolta impressa ieri dal sinodo dei vescovi per il medio oriente, ha colto e denunciato questo nesso, segnando un superamento netto di 40 e più anni di sterile dialogo interreligioso: “La crescita dell’islam politico nelle società musulmane a partire dagli anni 70 ha prodotto correnti estremiste che rappresentano una minaccia per tutti, cristiani e musulmani, e noi dobbiamo affrontarle insieme”. Questa definizione di “islam politico” non è casuale: permette ai vescovi cattolici di evocare uno scontro frontale interconfessionale, ma si riferisce al nodo shariatico. Purtroppo, però, l’impostazione seguita da Obama nel discorso del Cairo del 4 giugno scorso nega qualsiasi nesso tra qualsiasi componente islamica e i nodi di crisi disseminati in medio oriente, laddove – sia pure solo in nuce – i riferimenti di George W. Bush all’Asse del male indicavano tutt’altro percorso.
mercoledì 20 gennaio 2010
Islam di pace
Che cosa ci dicono queste terribili 48 ore di notizie dalla sharia di Carlo Panella
E’impressionante la serie di notizie che il mondo della sharia ci ha riversato nelle ultime 48 ore. Nella città di Jos in Nigeria è stato imposto il coprifuoco dopo gli incidenti tra musulmani e cristiani che hanno fatto 26 morti e 300 feriti, 3.000 abitanti sono stati trasferiti per ragioni di sicurezza. A Mosul, in Iraq, è stato trucidato a colpi di pistola il siro-cristiano Youssif Joris, in concomitanza con i festeggiamenti per l’insediamento del vescovo caldeo; è la quinta vittima cristiana in 30 giorni nella città. In Pakistan, il tribunale di Faisalabad ha condannato all’ergastolo a causa della “legge sulla blasfemia” il giovane cristiano Imran Masih, accusato di avere bruciato versetti del Corano “per offendere i sentimenti dei musulmani”; a oggi, mille sono i cristiani incriminati sulla base di questa legge e 33 sono i cristiani uccisi da singoli musulmani o linciati da folle inferocite per blasfemia. In Iran, il procuratore di Teheran ha chiesto al tribunale la condanna a morte per cinque manifestanti, arrestati durante gli incidenti dell’Ashura, contestandogli il reato di Moharebeh (essere nemici di Dio), segnando così una svolta drammatica: chiunque manifesti contro il regime può essere condannato a morte. In Italia è stato arrestato ieri a Fano, con la moglie, il pachistano Aktar Mhamoo, che lunedì aveva rapito la figlia per imporle di seguire la sharia e non i “costumi corrotti”; la ragazza era in precedenza stata assegnata dal tribunale a un centro di assistenza in seguito alle percosse subìte dal padre. A questa serie va poi aggiunta la fatwà emessa sei giorni fa in Yemen dallo sheikh Abdelmajid Zendani e dai principali ulema con cui si proclama il jihad contro ogni prospettiva di intervento militare nel paese degli Usa – o di “stranieri” – per contrastare al Qaida (come prospettato imprudentemente per giorni da fonti della Casa Bianca). Come si può constatare, è impossibile separare le iniziative dei terroristi islamici da quelle di folle islamiche, da quelle di tribunali islamici di paesi “moderati”, da quelle della giustizia islamica di paesi “fondamentalisti”, dalle convinzioni di un normale emigrato, che lavora da anni in Italia, ben inserito, che ritiene di dovere imporre l’“autorità tutoria” che la più diffusa sharia gli riconosce su una figlia. E’ evidente la radice comune di queste tragedie, che riportano a un nodo unico: i modelli di riferimento del terrorismo islamico sono inscindibili con quello di tutte le componenti maggioritarie dell’islam e hanno nella sharia ortodossa la loro forza generante. Solo la chiesa, con la svolta impressa ieri dal sinodo dei vescovi per il medio oriente, ha colto e denunciato questo nesso, segnando un superamento netto di 40 e più anni di sterile dialogo interreligioso: “La crescita dell’islam politico nelle società musulmane a partire dagli anni 70 ha prodotto correnti estremiste che rappresentano una minaccia per tutti, cristiani e musulmani, e noi dobbiamo affrontarle insieme”. Questa definizione di “islam politico” non è casuale: permette ai vescovi cattolici di evocare uno scontro frontale interconfessionale, ma si riferisce al nodo shariatico. Purtroppo, però, l’impostazione seguita da Obama nel discorso del Cairo del 4 giugno scorso nega qualsiasi nesso tra qualsiasi componente islamica e i nodi di crisi disseminati in medio oriente, laddove – sia pure solo in nuce – i riferimenti di George W. Bush all’Asse del male indicavano tutt’altro percorso.
E’impressionante la serie di notizie che il mondo della sharia ci ha riversato nelle ultime 48 ore. Nella città di Jos in Nigeria è stato imposto il coprifuoco dopo gli incidenti tra musulmani e cristiani che hanno fatto 26 morti e 300 feriti, 3.000 abitanti sono stati trasferiti per ragioni di sicurezza. A Mosul, in Iraq, è stato trucidato a colpi di pistola il siro-cristiano Youssif Joris, in concomitanza con i festeggiamenti per l’insediamento del vescovo caldeo; è la quinta vittima cristiana in 30 giorni nella città. In Pakistan, il tribunale di Faisalabad ha condannato all’ergastolo a causa della “legge sulla blasfemia” il giovane cristiano Imran Masih, accusato di avere bruciato versetti del Corano “per offendere i sentimenti dei musulmani”; a oggi, mille sono i cristiani incriminati sulla base di questa legge e 33 sono i cristiani uccisi da singoli musulmani o linciati da folle inferocite per blasfemia. In Iran, il procuratore di Teheran ha chiesto al tribunale la condanna a morte per cinque manifestanti, arrestati durante gli incidenti dell’Ashura, contestandogli il reato di Moharebeh (essere nemici di Dio), segnando così una svolta drammatica: chiunque manifesti contro il regime può essere condannato a morte. In Italia è stato arrestato ieri a Fano, con la moglie, il pachistano Aktar Mhamoo, che lunedì aveva rapito la figlia per imporle di seguire la sharia e non i “costumi corrotti”; la ragazza era in precedenza stata assegnata dal tribunale a un centro di assistenza in seguito alle percosse subìte dal padre. A questa serie va poi aggiunta la fatwà emessa sei giorni fa in Yemen dallo sheikh Abdelmajid Zendani e dai principali ulema con cui si proclama il jihad contro ogni prospettiva di intervento militare nel paese degli Usa – o di “stranieri” – per contrastare al Qaida (come prospettato imprudentemente per giorni da fonti della Casa Bianca). Come si può constatare, è impossibile separare le iniziative dei terroristi islamici da quelle di folle islamiche, da quelle di tribunali islamici di paesi “moderati”, da quelle della giustizia islamica di paesi “fondamentalisti”, dalle convinzioni di un normale emigrato, che lavora da anni in Italia, ben inserito, che ritiene di dovere imporre l’“autorità tutoria” che la più diffusa sharia gli riconosce su una figlia. E’ evidente la radice comune di queste tragedie, che riportano a un nodo unico: i modelli di riferimento del terrorismo islamico sono inscindibili con quello di tutte le componenti maggioritarie dell’islam e hanno nella sharia ortodossa la loro forza generante. Solo la chiesa, con la svolta impressa ieri dal sinodo dei vescovi per il medio oriente, ha colto e denunciato questo nesso, segnando un superamento netto di 40 e più anni di sterile dialogo interreligioso: “La crescita dell’islam politico nelle società musulmane a partire dagli anni 70 ha prodotto correnti estremiste che rappresentano una minaccia per tutti, cristiani e musulmani, e noi dobbiamo affrontarle insieme”. Questa definizione di “islam politico” non è casuale: permette ai vescovi cattolici di evocare uno scontro frontale interconfessionale, ma si riferisce al nodo shariatico. Purtroppo, però, l’impostazione seguita da Obama nel discorso del Cairo del 4 giugno scorso nega qualsiasi nesso tra qualsiasi componente islamica e i nodi di crisi disseminati in medio oriente, laddove – sia pure solo in nuce – i riferimenti di George W. Bush all’Asse del male indicavano tutt’altro percorso.
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