lunedì 11 gennaio 2010

Calabria

Una regione uccisa dai clandestini in mano agli affaristi

I fatti di Rosarno mettono in luce sia lo sfruttamento della manodopera clandestina nella raccolta delle arance sia lo sfruttamento monopolistico dell’agricoltura da parte degli intermediari. E insieme a tutto ciò c’è la responsabilità della Regione Calabria che non ha promosso lo sviluppo del ciclo agricolo-commercio degli agrumi. Il fatto che la ’ndrangheta si possa essere inserita in tutto ciò non esime dal dover considerare questi tre temi in modo del tutto diverso da quello demagogico e inconcludente della nostra sinistra attuale. Essa, anche in questa circostanza, dimostra di non capire che cosa sia un’economia di mercato e che cosa manchi alla Calabria (e in genere al Mezzogiorno): appunto una vera economia di mercato. Non è con il giustizialismo, l’antirazzismo retorico e il buonismo generico che si risolvono questi problemi, ma facendo funzionare e rispettare l’economia di mercato. E sino ad ora, chi di recente sembra averlo capito meglio è il ministro dell’Interno Maroni, che, secondo il cliché corrente, fa parte d’un partito razzista-nordista. In quella zona le arance (di buona qualità, ma non della migliore ottenibile con buoni investimenti e una adeguata irrigazione) vengono vendute dai proprietari dei terreni sulla pianta, nella stagione precedente a quella del raccolto - attualmente 6-10 centesimi il chilo per le arance comuni della Piana di Gioia Tauro - ad intermediari che provvedono alla raccolta e al trasporto ai mercati all’ingrosso e ai produttori di succhi di frutta. Questi intermediari spuntano attualmente un prezzo medio di 50 centesimi. La legge consente di fare «aranciate» in bottiglia o in scatola con il 6 per cento soltanto di succo di arancia, il resto sono polverine e coloranti (un tempo la percentuale era del 10 per cento, ma quelle attuali sono le regole europee e la tutela del consumatore in questo campo va a farsi benedire). Quindi c’è un surplus di arance rispetto alla domanda. Ma ciò riguarda solo quelle prive di proprio marchio, come sono quelle della piana di Gioia Tauro. Da ciò si desumono due gravi inefficienze di questo mercato, dovute a fattori monopolistici. Il primo è il basso prezzo che ottengono gli agricoltori, perché manca la concorrenza fra gli intermediari e il mercato all’ingrosso di questo prodotto è nelle loro mani. Il secondo è il grande margine di tali intermediari che va dai 44 ai 40 centesimi il chilo. Essi sarebbero in grado di pagare salari migliori alla manodopera addetta alla raccolta, se fosse costituita da lavoratori regolari. Consentendo per falso buonismo che ci siano immigrati irregolari, i salari sono andati alla sopravvivenza bruta. I clandestini non possono reclamare e fanno concorrenza alla manodopera regolare. Così si è generato uno sfruttamento che ha portato malessere sia a loro, sia a chi, immigrato o italiano, vorrebbe lavorare a paghe regolari, sia alla popolazione locale. Dunque ha avuto pienamente ragione Maroni a battersi per il reato di immigrazione clandestina. E hanno torto coloro che vi si sono opposti e coloro che vorrebbero non la flessibilità opportuna nel periodo iniziale di applicazione di tale legge, ma la sua disapplicazione. Quanto al margine di 40-44 centesimi al quintale, per gli intermediari delle arance della piana di Gioia Tauro, essendo anomalo, merita un’indagine del Garante dalla concorrenza, prima ancora che venga avviata un’indagine sul fatto se nel cartello monopolistico ci sia di mezzo la ’ndrangheta. Va aggiunto che nell’economia di mercato è possibile superare le situazioni di monopolio degli acquirenti di prodotti agricoli mediante organizzazioni di intermediari promosse dai produttori. E in altre zone e settori ciò viene fatto, con consorzi di cooperative, che spuntano da 22 a 26 centesimi il chilo per lo stesso tipo di arance nelle stesse stagioni. La Regione Calabria avrebbe potuto promuovere tali organismi, e avrebbe potuto incentivarne la formazione con una tutela delle arance calabresi, mediante marchi a garanzia della loro origine geografica e delle loro caratteristiche merceologiche. Non tutte le arance sono eguali. E se non vi sono modi di identificare quelle di qualità, le cattive scacciano dal mercato le buone, in quanto sono vendute tutte allo stesso prezzo e alle imprese non conviene darsi da fare per migliorare le qualità. I fatti di Rosarno mostrano che una buona economia di mercato risolve molti più problemi di una pur necessaria lotta alla criminalità organizzata. Ma tale economia funziona bene se ci sono regole rispettate e iniziative che impediscono gli abusi di mercato.

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