Nel giorno i cui l’Anm ha imposto ai suoi iscritti di assentarsi dalle aule nel momento in cui prendeva la parola il rappresentante del governo, in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno giudiziario, Oscar Luigi Scalfaro non ha voluto mancare all’appuntamento. In una lettera inviata al popolo viola del No B-day, anch’esso in piazza per difendere – così credono – la Costituzione, Scalfaro scrive: «esprimo soddisfazione per le numerose iniziative e manifestazioni di sostegno alla Costituzione repubblicana e alla sua perdurante attualità, organizzate in un momento nel quale essa è nuovamente esposta sia al rischio di proposte di revisione non rispettose dei suoi valori e del suo impianto fondamentale, sia a una strisciante e quotidiana inosservanza dei suoi principi (prima di tutto quello dell’equilibrio tra i poteri costituzionali e dell’autonomia e indipendenza della funzione giurisdizionale). D’intesa con il direttivo di “Salviamo la Costituzione”, che si è riunito a Roma il 26 gennaio, invito i comitati locali della nostra associazione a partecipare a queste iniziative.» Così, dopo l’Anm, con Scalfaro facciamo il bis. Un bis in una giornata in cui proprio la Costituzione viene ridotta a carta straccia da coloro che si arrogano il diritto di rappresentarla e di difenderla. E in che modo lo fanno? I magistrati di Anm manifestando contro il governo, ovverosia contro una delle Istituzioni più importanti del Paese, in ciò mostrando di non averne alcun rispetto, mentre il loro dovere è quello di osservare le leggi e di rispettare la Costituzione che questo obbligo impone. Se – come ha scritto qualcuno – invece di portare sottobraccio la Costituzione, si mettessero a leggerla e tornassero a ricordarne i principi, dovrebbero condannarsi da soli. Ci si domanda come sia possibile far rispettare le leggi e la Costituzione da costoro, che sono i primi a violarle e a dare il cattivo esempio. Naturalmente il Csm farà finta di non aver né sentito né veduto, e la giornata nera di oggi verrà subito archiviata. Il discorso ancora caldo del procuratore generale della Cassazione non ha nemmeno fatto in tempo a rimbalzare sui giornali che i magistrati dell’Anm gli hanno già fatto marameo. Dirà niente il capo dello Stato, che del Csm è il presidente? Da Mancino, il vice del Csm, c’è ben poco da sperare. A lui va bene così, e non gli parrebbe vero se l’Anm andasse anche oltre e magari fischiasse nelle piazze i comizi dei candidati del centrodestra alle regionali. Giacché, se non si mette un argine all’arroganza di Palamara & C., dopo i fatti di oggi a questo si arriverà, prima o poi. Ma a completare il bis ecco, dunque, quell’Oscar Luigi Scalfaro che, nei pochi mesi che esercitò la funzione di magistrato, non mancò di emettere, da cattolico osservante, qualche sentenza di morte: Dopo il 25 aprile 1945 fece richiesta ed ottenne di entrare nelle Corti d’Assise straordinarie, istituite il 22 aprile (per una prevista durata di sei mesi) su richiesta degli angloamericani per porre un freno ai processi sommari del dopoguerra, talora degenerati in veri e propri linciaggi [2]. Queste corti furono anche chiamate, con sinistra eco fascista (vedere i Tribunali del popolo ed i Tribunali volanti nazifascisti), Tribunali speciali; in veste di pubblico ministero presso queste corti, Scalfaro ebbe a richiedere (ed ottenere) una condanna a morte. La condanna tuttavia non fu eseguita a causa dell’accoglimento del ricorso in cassazione suggerito, a quanto sostiene Scalfaro, dallo stesso Scalfaro al condannato, tal Stefano Zurlo. [3] Secondo altre fonti Scalfaro avrebbe richiesto altre condanne alla pena capitale [4]. Nel luglio 1945 sostiene con altri due colleghi la pubblica accusa al processo che vede imputati per «collaborazione con il tedesco invasore» l’ex prefetto di Novara Enrico Vezzalini e i militi Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno e Raffaele Infante. Per tutti e sei viene chiesta ed ottenuta la condanna a morte dopo tre giorni di dibattimento. La condanna viene eseguita il 23 settembre successivo, quando i condannati non verranno uccisi alla prima raffica dal maldestro plotone di esecuzione, e sui poveri corpi si accanì poi un gruppo di donne. [5] (Qui, anche per andare a leggere le note). E anche qui (digitare: “Il caso Scalfaro”). La lettera di Scalfaro non è altro che il gesto disperato di chi vuole ancora caparbiamente lasciare gli italiani nelle mani di una prima Repubblica ormai agonizzante e vicina a morire. Si batte perché essi continuino ad essere i cafoni di un potere che continuerà ad essere esercitato dai tanti don Circostanza, di cui parla Ignazio Silone in “Fontamara” (qui). Il ridicolo è che questi cittadini in viola rischiano di cadere nella trappola e di comportarsi proprio come i cafoni di Fontamara, senza accorgersi che Scalfaro è il don Circostanza di turno che ripete loro: “Queste donne pretendono che la metà del ruscello non basta per irrigare le loro terre. Esse vogliono più della metà, almeno così credo di interpretare i loro desideri. Esiste perciò un solo accomodamento possibile. Bisogna lasciare al podestà i tre quarti dell’acqua del ruscello e i tre quarti dell’acqua che restano saranno per i Fontamaresi. Così gli uni e gli altri avranno tre quarti, cioè un po’ più della metà. Capisco” aggiunse don Circostanza “che la mia proposta danneggia enormemente il podestà, ma io faccio appello al suo buon cuore di filantropo e benefattore”. Scalfaro – è questo che i cittadini in viola e tutti gli altri devono capire – si batte con rabbia affinché il popolo, una volta esercitato il voto, lasci decidere al parlamento chi debba governarlo. Non solo, ma che lasci al parlamento anche il diritto di fare e disfare i governi a suo piacimento senza minimamente preoccuparsi di ciò che pensano e vogliono gli italiani. Scalfaro lo ha fatto con il ribaltone nel 1994, e vorrebbe che questo suo gesto, spregiativo della volontà popolare, fosse assunto a modello anche per il futuro. No. Noi dobbiamo pretendere che questo malcostume finisca per sempre. Le maggioranze e il premier vogliamo sceglierceli noi, direttamente nell’urna. Nessuno potrà modificare la nostra volontà, se non tornando a consultarci con regolari elezioni. Fate attenzione, uomini in viola, a soppesare bene la lettera di un uomo che, come il lupo con l’agnello, vi invita ad essere protagonisti non per modernizzare lo Stato, ma per perpetuarne i vizi, i difetti, gli intrallazzi e i giochi di potere. Lo Stato non ha più bisogno di queste idee che ostinatamente vogliono ancorare il Paese ad un passato che nessuno vuole ricordare.
sabato 30 gennaio 2010
Oscar Luigi Scalfaro
L’offensiva di Oscar Luigi Scalfaro di Bartolomeo Di Monaco
Nel giorno i cui l’Anm ha imposto ai suoi iscritti di assentarsi dalle aule nel momento in cui prendeva la parola il rappresentante del governo, in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno giudiziario, Oscar Luigi Scalfaro non ha voluto mancare all’appuntamento. In una lettera inviata al popolo viola del No B-day, anch’esso in piazza per difendere – così credono – la Costituzione, Scalfaro scrive: «esprimo soddisfazione per le numerose iniziative e manifestazioni di sostegno alla Costituzione repubblicana e alla sua perdurante attualità, organizzate in un momento nel quale essa è nuovamente esposta sia al rischio di proposte di revisione non rispettose dei suoi valori e del suo impianto fondamentale, sia a una strisciante e quotidiana inosservanza dei suoi principi (prima di tutto quello dell’equilibrio tra i poteri costituzionali e dell’autonomia e indipendenza della funzione giurisdizionale). D’intesa con il direttivo di “Salviamo la Costituzione”, che si è riunito a Roma il 26 gennaio, invito i comitati locali della nostra associazione a partecipare a queste iniziative.» Così, dopo l’Anm, con Scalfaro facciamo il bis. Un bis in una giornata in cui proprio la Costituzione viene ridotta a carta straccia da coloro che si arrogano il diritto di rappresentarla e di difenderla. E in che modo lo fanno? I magistrati di Anm manifestando contro il governo, ovverosia contro una delle Istituzioni più importanti del Paese, in ciò mostrando di non averne alcun rispetto, mentre il loro dovere è quello di osservare le leggi e di rispettare la Costituzione che questo obbligo impone. Se – come ha scritto qualcuno – invece di portare sottobraccio la Costituzione, si mettessero a leggerla e tornassero a ricordarne i principi, dovrebbero condannarsi da soli. Ci si domanda come sia possibile far rispettare le leggi e la Costituzione da costoro, che sono i primi a violarle e a dare il cattivo esempio. Naturalmente il Csm farà finta di non aver né sentito né veduto, e la giornata nera di oggi verrà subito archiviata. Il discorso ancora caldo del procuratore generale della Cassazione non ha nemmeno fatto in tempo a rimbalzare sui giornali che i magistrati dell’Anm gli hanno già fatto marameo. Dirà niente il capo dello Stato, che del Csm è il presidente? Da Mancino, il vice del Csm, c’è ben poco da sperare. A lui va bene così, e non gli parrebbe vero se l’Anm andasse anche oltre e magari fischiasse nelle piazze i comizi dei candidati del centrodestra alle regionali. Giacché, se non si mette un argine all’arroganza di Palamara & C., dopo i fatti di oggi a questo si arriverà, prima o poi. Ma a completare il bis ecco, dunque, quell’Oscar Luigi Scalfaro che, nei pochi mesi che esercitò la funzione di magistrato, non mancò di emettere, da cattolico osservante, qualche sentenza di morte: Dopo il 25 aprile 1945 fece richiesta ed ottenne di entrare nelle Corti d’Assise straordinarie, istituite il 22 aprile (per una prevista durata di sei mesi) su richiesta degli angloamericani per porre un freno ai processi sommari del dopoguerra, talora degenerati in veri e propri linciaggi [2]. Queste corti furono anche chiamate, con sinistra eco fascista (vedere i Tribunali del popolo ed i Tribunali volanti nazifascisti), Tribunali speciali; in veste di pubblico ministero presso queste corti, Scalfaro ebbe a richiedere (ed ottenere) una condanna a morte. La condanna tuttavia non fu eseguita a causa dell’accoglimento del ricorso in cassazione suggerito, a quanto sostiene Scalfaro, dallo stesso Scalfaro al condannato, tal Stefano Zurlo. [3] Secondo altre fonti Scalfaro avrebbe richiesto altre condanne alla pena capitale [4]. Nel luglio 1945 sostiene con altri due colleghi la pubblica accusa al processo che vede imputati per «collaborazione con il tedesco invasore» l’ex prefetto di Novara Enrico Vezzalini e i militi Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno e Raffaele Infante. Per tutti e sei viene chiesta ed ottenuta la condanna a morte dopo tre giorni di dibattimento. La condanna viene eseguita il 23 settembre successivo, quando i condannati non verranno uccisi alla prima raffica dal maldestro plotone di esecuzione, e sui poveri corpi si accanì poi un gruppo di donne. [5] (Qui, anche per andare a leggere le note). E anche qui (digitare: “Il caso Scalfaro”). La lettera di Scalfaro non è altro che il gesto disperato di chi vuole ancora caparbiamente lasciare gli italiani nelle mani di una prima Repubblica ormai agonizzante e vicina a morire. Si batte perché essi continuino ad essere i cafoni di un potere che continuerà ad essere esercitato dai tanti don Circostanza, di cui parla Ignazio Silone in “Fontamara” (qui). Il ridicolo è che questi cittadini in viola rischiano di cadere nella trappola e di comportarsi proprio come i cafoni di Fontamara, senza accorgersi che Scalfaro è il don Circostanza di turno che ripete loro: “Queste donne pretendono che la metà del ruscello non basta per irrigare le loro terre. Esse vogliono più della metà, almeno così credo di interpretare i loro desideri. Esiste perciò un solo accomodamento possibile. Bisogna lasciare al podestà i tre quarti dell’acqua del ruscello e i tre quarti dell’acqua che restano saranno per i Fontamaresi. Così gli uni e gli altri avranno tre quarti, cioè un po’ più della metà. Capisco” aggiunse don Circostanza “che la mia proposta danneggia enormemente il podestà, ma io faccio appello al suo buon cuore di filantropo e benefattore”. Scalfaro – è questo che i cittadini in viola e tutti gli altri devono capire – si batte con rabbia affinché il popolo, una volta esercitato il voto, lasci decidere al parlamento chi debba governarlo. Non solo, ma che lasci al parlamento anche il diritto di fare e disfare i governi a suo piacimento senza minimamente preoccuparsi di ciò che pensano e vogliono gli italiani. Scalfaro lo ha fatto con il ribaltone nel 1994, e vorrebbe che questo suo gesto, spregiativo della volontà popolare, fosse assunto a modello anche per il futuro. No. Noi dobbiamo pretendere che questo malcostume finisca per sempre. Le maggioranze e il premier vogliamo sceglierceli noi, direttamente nell’urna. Nessuno potrà modificare la nostra volontà, se non tornando a consultarci con regolari elezioni. Fate attenzione, uomini in viola, a soppesare bene la lettera di un uomo che, come il lupo con l’agnello, vi invita ad essere protagonisti non per modernizzare lo Stato, ma per perpetuarne i vizi, i difetti, gli intrallazzi e i giochi di potere. Lo Stato non ha più bisogno di queste idee che ostinatamente vogliono ancorare il Paese ad un passato che nessuno vuole ricordare.
Nel giorno i cui l’Anm ha imposto ai suoi iscritti di assentarsi dalle aule nel momento in cui prendeva la parola il rappresentante del governo, in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno giudiziario, Oscar Luigi Scalfaro non ha voluto mancare all’appuntamento. In una lettera inviata al popolo viola del No B-day, anch’esso in piazza per difendere – così credono – la Costituzione, Scalfaro scrive: «esprimo soddisfazione per le numerose iniziative e manifestazioni di sostegno alla Costituzione repubblicana e alla sua perdurante attualità, organizzate in un momento nel quale essa è nuovamente esposta sia al rischio di proposte di revisione non rispettose dei suoi valori e del suo impianto fondamentale, sia a una strisciante e quotidiana inosservanza dei suoi principi (prima di tutto quello dell’equilibrio tra i poteri costituzionali e dell’autonomia e indipendenza della funzione giurisdizionale). D’intesa con il direttivo di “Salviamo la Costituzione”, che si è riunito a Roma il 26 gennaio, invito i comitati locali della nostra associazione a partecipare a queste iniziative.» Così, dopo l’Anm, con Scalfaro facciamo il bis. Un bis in una giornata in cui proprio la Costituzione viene ridotta a carta straccia da coloro che si arrogano il diritto di rappresentarla e di difenderla. E in che modo lo fanno? I magistrati di Anm manifestando contro il governo, ovverosia contro una delle Istituzioni più importanti del Paese, in ciò mostrando di non averne alcun rispetto, mentre il loro dovere è quello di osservare le leggi e di rispettare la Costituzione che questo obbligo impone. Se – come ha scritto qualcuno – invece di portare sottobraccio la Costituzione, si mettessero a leggerla e tornassero a ricordarne i principi, dovrebbero condannarsi da soli. Ci si domanda come sia possibile far rispettare le leggi e la Costituzione da costoro, che sono i primi a violarle e a dare il cattivo esempio. Naturalmente il Csm farà finta di non aver né sentito né veduto, e la giornata nera di oggi verrà subito archiviata. Il discorso ancora caldo del procuratore generale della Cassazione non ha nemmeno fatto in tempo a rimbalzare sui giornali che i magistrati dell’Anm gli hanno già fatto marameo. Dirà niente il capo dello Stato, che del Csm è il presidente? Da Mancino, il vice del Csm, c’è ben poco da sperare. A lui va bene così, e non gli parrebbe vero se l’Anm andasse anche oltre e magari fischiasse nelle piazze i comizi dei candidati del centrodestra alle regionali. Giacché, se non si mette un argine all’arroganza di Palamara & C., dopo i fatti di oggi a questo si arriverà, prima o poi. Ma a completare il bis ecco, dunque, quell’Oscar Luigi Scalfaro che, nei pochi mesi che esercitò la funzione di magistrato, non mancò di emettere, da cattolico osservante, qualche sentenza di morte: Dopo il 25 aprile 1945 fece richiesta ed ottenne di entrare nelle Corti d’Assise straordinarie, istituite il 22 aprile (per una prevista durata di sei mesi) su richiesta degli angloamericani per porre un freno ai processi sommari del dopoguerra, talora degenerati in veri e propri linciaggi [2]. Queste corti furono anche chiamate, con sinistra eco fascista (vedere i Tribunali del popolo ed i Tribunali volanti nazifascisti), Tribunali speciali; in veste di pubblico ministero presso queste corti, Scalfaro ebbe a richiedere (ed ottenere) una condanna a morte. La condanna tuttavia non fu eseguita a causa dell’accoglimento del ricorso in cassazione suggerito, a quanto sostiene Scalfaro, dallo stesso Scalfaro al condannato, tal Stefano Zurlo. [3] Secondo altre fonti Scalfaro avrebbe richiesto altre condanne alla pena capitale [4]. Nel luglio 1945 sostiene con altri due colleghi la pubblica accusa al processo che vede imputati per «collaborazione con il tedesco invasore» l’ex prefetto di Novara Enrico Vezzalini e i militi Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno e Raffaele Infante. Per tutti e sei viene chiesta ed ottenuta la condanna a morte dopo tre giorni di dibattimento. La condanna viene eseguita il 23 settembre successivo, quando i condannati non verranno uccisi alla prima raffica dal maldestro plotone di esecuzione, e sui poveri corpi si accanì poi un gruppo di donne. [5] (Qui, anche per andare a leggere le note). E anche qui (digitare: “Il caso Scalfaro”). La lettera di Scalfaro non è altro che il gesto disperato di chi vuole ancora caparbiamente lasciare gli italiani nelle mani di una prima Repubblica ormai agonizzante e vicina a morire. Si batte perché essi continuino ad essere i cafoni di un potere che continuerà ad essere esercitato dai tanti don Circostanza, di cui parla Ignazio Silone in “Fontamara” (qui). Il ridicolo è che questi cittadini in viola rischiano di cadere nella trappola e di comportarsi proprio come i cafoni di Fontamara, senza accorgersi che Scalfaro è il don Circostanza di turno che ripete loro: “Queste donne pretendono che la metà del ruscello non basta per irrigare le loro terre. Esse vogliono più della metà, almeno così credo di interpretare i loro desideri. Esiste perciò un solo accomodamento possibile. Bisogna lasciare al podestà i tre quarti dell’acqua del ruscello e i tre quarti dell’acqua che restano saranno per i Fontamaresi. Così gli uni e gli altri avranno tre quarti, cioè un po’ più della metà. Capisco” aggiunse don Circostanza “che la mia proposta danneggia enormemente il podestà, ma io faccio appello al suo buon cuore di filantropo e benefattore”. Scalfaro – è questo che i cittadini in viola e tutti gli altri devono capire – si batte con rabbia affinché il popolo, una volta esercitato il voto, lasci decidere al parlamento chi debba governarlo. Non solo, ma che lasci al parlamento anche il diritto di fare e disfare i governi a suo piacimento senza minimamente preoccuparsi di ciò che pensano e vogliono gli italiani. Scalfaro lo ha fatto con il ribaltone nel 1994, e vorrebbe che questo suo gesto, spregiativo della volontà popolare, fosse assunto a modello anche per il futuro. No. Noi dobbiamo pretendere che questo malcostume finisca per sempre. Le maggioranze e il premier vogliamo sceglierceli noi, direttamente nell’urna. Nessuno potrà modificare la nostra volontà, se non tornando a consultarci con regolari elezioni. Fate attenzione, uomini in viola, a soppesare bene la lettera di un uomo che, come il lupo con l’agnello, vi invita ad essere protagonisti non per modernizzare lo Stato, ma per perpetuarne i vizi, i difetti, gli intrallazzi e i giochi di potere. Lo Stato non ha più bisogno di queste idee che ostinatamente vogliono ancorare il Paese ad un passato che nessuno vuole ricordare.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
0 commenti:
Posta un commento