martedì 21 febbraio 2012
Storie italiane
C’è un’azienda a cui il salario d’ingresso sta creando non poche grane. E non è un’azienda qualsiasi. È il gruppo Marcegaglia, colosso mondiale della trasformazione dell’acciaio nonché «fabbrichetta» di famiglia del presidente della Confindustria Emma Marcegaglia. Accade che a qualche decina di lavoratori interinali di tre stabilimenti del gruppo, quelli di Forlì, di Mantova e di Boltiere nel Bergamasco, sia stato proposto un rinnovo del contratto a condizioni ritenute ricattatorie dai sindacati di base: niente quattordicesima, niente premi di produzione, uno stipendio di fatto decurtato di 25mila euro lordi spalmati nei primi sei anni, al termine dei quali - e solo allora - i lavoratori avrebbero acquisito diritti (e salario) pieni. O così o a casa, a guardare le crepe sul muro. I precari forse avrebbero anche accettato pur di conservare il lavoro - e l’azienda avrebbe operato più di una pressione su di essi - ma la Fiom ha detto di no. Secondo il sindacato delle tute blu si tratterebbe di «una scelta inaccettabile e immorale perché crea disparità tra i lavoratori che svolgono le stesse mansioni». Da qui la decisione da parte non solo degli oltranzisti della Fiom-Cgil, ma anche dei più moderati sindacalisti della Fim-Cisl e della Uilm, di proclamare, qualche giorno fa, due ore di sciopero a fine turno, a cui hanno aderito circa due terzi dei lavoratori. Particolarmente significativo il dato relativo allo stabilimento mantovano, la casa madre nella quale hanno gli uffici oltre a Emma, il fratello Antonio, il capostipite Steno e mamma Palmira: qui, sotto gli occhi dei padroni, ha incrociato le braccia il 70 per cento dei lavoratori.
Il gruppo Marcegaglia ha 7mila dipendenti, 51 unità commerciali, 50 stabilimenti, 5mila chilometri di acciaio prodotti ogni giorno, sette divisioni comprese divagazioni nei settori immobiliare e turistico, ma bilanci sempre meno rosei, malgrado l’azienda nel suo sito istituzionale vanti un fatturato di 3,6 miliardi annui nel 2010 e una crescita stimata a 6 miliardi nel 2013. L’azienda di Gazoldo degli Ippoliti, in provincia di Mantova, punta quindi tutte le sue carte sul drastico abbattimento del costo delle nuove assunzioni. E che le cose in casa Marcegaglia non vadano a gonfie vele lo dimostra ciò che è avvenuto negli ultimi mesi: licenziamenti (a Ravenna e a Fontanafredda, in provincia di Udine), mancati rinnovi contrattuali (Budrio), cassa integrazione (Forlì e Potenza) e annunci di esuberi (Lodi).
L’assunzione di personale a basso costo è già costata caro al colosso mantovano dell’acciaio, condannato poco tempo fa da un pretore del lavoro per condotta antisindacale: aveva aggirato l’accordo sul salario d’ingresso allora in discussione attraverso la creazione di una srl di comodo, la Nuova Inde, con sede legale a Buttrio, dove hanno sede le officine meccaniche del gruppo Danieli, società partner della Marcegaglia. La Nuova Inde, non essendo vincolata al contratto aziendale, ha potuto fare quaranta assunzioni - rispetto alle cento previste nello stabilimento di Ravenna - al minimo sindacale. Il giudice del lavoro Roberto Riverso ha dato ragione al sindacato e torto all’azienda stabilendo che gli operai della ex Nuova Inde devono ritenersi assunti a tempo indeterminato a partire dal primo giorno di lavoro in azienda e che a loro non può essere applicato il salario d’ingresso. Un bello schiaffo per la numero uno di Confindustria.
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