lunedì 27 febbraio 2012
La casta aumenta
C’è una nuova supercasta che da ieri è nata in Italia: quella dei borgomastri. Le ha dato i natali Mario Monti, che evidentemente sta parlando troppo al telefono con Angela Merkel, ed è al centro del disegno di legge governativo sulle province approvato dopo ore di discussione nella tarda serata di venerdì. Il premier ha scelto di tenere in vita tutti i consigli provinciali, e ha pure innestato una robusta retromarcia rispetto a dicembre scorso, facendo rivivere molte delle poltrone che aveva appena tagliato. Ma per dare un senso al clamoroso voltafaccia, Monti se ne è inventata una nuova: i consigli provinciali saranno interamente occupati da sindaci e consiglieri comunali della zona, gli unici a potersi presentare d’ora in avanti a quel tipo di elezioni.
Una volta scelti - ha spiegato in un comunicato stampa la presidenza del Consiglio nella notte di venerdì - «gli eletti mantengono la carica di sindaco e consigliere comunale per tutta la durata del quinquennio provinciale di carica». Come minimo dunque i consigli provinciali oltre ad offrire una nuova ribalta politica (e nuove spese, al di là dei loro emolumenti) alla casta dei borgomastri, allungherà loro la vita: perché finchè saranno in consiglio provinciale non decadranno dalla carica in Comune, con l’effetto di allungare quel mandato oltre il termine previsto. Probabilmente nella testa del governo c’è l’idea di elezioni comunali che precedono solo di qualche settimana quelle provinciali, ma la scadenza dei consigli di comuni e province solo in qualche raro caso è contemporanea. Quasi sempre hanno legislature incrociate, con scadenze ad anni di distanza gli uni dagli altri. Con questa idea un po’ fantasiosa ora il governo rischia di dovere intervenire per allungare (come sembra) legislature al di là dei termini di legge, o al contrario accorciarle bruscamente per fare partire quasi in contemporanea i mandati di comuni e nuove province. Nell’uno e nell’altro caso un bel pateracchio istituzionale. Perché con la prima ipotesi si potrebbe verificare l’assurdo di un sindaco che grazie all’elezione nel consiglio provinciale, potrebbe raddoppiare il proprio mandato in Comune senza nemmeno chiedere il permesso ai suoi elettori. Nella seconda ipotesi avverrebbe invece il contrario: sarebbe il governo ad accorciare il mandato popolare di un sindaco per allineare la legislatura comunale con quella della nuova provincia.
Tanto per capire cosa significa, a dicembre proprio il governo Monti aveva ipotizzato di fare troncare la legislatura degli attuali consigli provinciali entro la fine del mese di marzo 2012. Erano insorti subito i diretti interessati, ma anche gli addetti ai lavori, così emerso che la norma aveva evidenti profili di incostituzionalità e piuttosto di affrontare bracci di ferro e continui ricorsi alla Corte Costituzionale, Monti aveva preferito ritirare il testo che aveva approvato in consiglio dei ministri. Con il decreto salva- Italia già si era abbandonata l’idea di abolire o per lo meno ridurre le province italiane, scegliendo solo di trasformale in enti di secondo livello intermedi fra i comuni e le Regioni (idea che viene confermata dal nuovo disegno di legge) e di ridurne sensibilmente gli apparati, grazie a un robusto taglio di poltrone. La norma entrata in vigore a fine 2011 (perché approvata con il decreto salva-Italia) stabilisce la riduzione dei consigli provinciali a dieci consiglieri più il presidente della provincia.
La ragioneria generale dello Stato aveva ipotizzato nella relazione tecnica un risparmio medio di 65 milioni di euro: i consiglieri provinciali non avrebbero ricevuto indennità, ma il personale che oggi li assiste nelle segreterie e negli organi di direzione della provincia sarebbe stato in prospettiva dimezzato come quelle poltrone. Era il solo taglio ai costi della politica davvero deciso dal governo dei tecnici, dopo tante parole restate senza conseguenza. Monti deve essersene pentito, perché magicamente nel nuovo disegno di legge governativo quei 10 consiglieri diventano 16 per le province con più di 700 mila abitanti (sono 24) e 12 per quelle fra 300 e 700 mila abitanti (sono 51). Restano immutati solo per province più piccole (38). Questo significa che gli attuali 1.100 consiglieri provinciali stabiliti dal decreto salva-Italia di dicembre diventeranno ora 1.376, con aumento dei costi della politica di circa 16 milioni di euro (facendo gli stessi calcoli della ragioneria generale dello Stato). Il governo tecnico in soli due mesi si è già ammalato di politichite acuta, e diventa sempre più comprensivo con la casta. Non lo ammette chiaro e tondo, lo dice con le stesse parole che avrebbe usato un politico di lungo corso: l’aumento dei consiglieri provinciali è stato pensato “per consentire l’accesso in consiglio di tutto l’arco delle forze politiche, garantendo la rappresentatività di tutte le opinioni e la tutela delle minoranze”. Forse la verità è che Monti sta davvero pensando al suo futuro politico, e per quello ha bisogno dei partiti. Che è tornato ad accarezzare così.
di Fosca Bincher
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