domenica 12 febbraio 2012

Mario Monti


Su La Stampa del 9 febbraio c’è un interessante articolo a firma di Bill Emmott. (La possibilità del cambiamento adesso è reale ). Per chi non conosce questo nome si tratta di una delle più potenti firme mondiali del giornalismo finanziario, ex direttore di The Economist. Fu sotto la sua direzione che la nota rivista inglese nel campo del denaro e della finanza pubblicò una copertina dedicata a Berlusconi con la famosa battuta “Inadatto a governare l’Italia” (“Unfit to lead Italy”). Bill Emmott è stato uno dei promotori e quindi leader della distruzione mediatica di Berlusconi in Europa ed è bene ricordare che, oltre che dalle veline delle redazioni della grande stampa quotidiana italiana, gli strumenti più potenti per la campagna dell’Economist vennero forniti da Berlusconi stesso con i suoi comportamenti e il suo estemporaneo stile di vita. Argomento da non approfondire e da lasciare alla storia.

Emmott conosce bene l’Italia e la situazione economica italiana, della quale scrive continuamente sempre su La Stampa e, dopo avere eliminato, o contribuito ad eliminare, Berlusconi è stato anche uno dei kingmakers del prof. Mario Monti come risulta dai suoi articoli immediatamente prima dello storico novembre 2011. Leggendo bene l’articolo del 9 febbraio si sente una forte preoccupazione del potente giornalista e, anche abbastanza esplicita, una sua “presa di distanza” dal coro del conformismo elogiativo che caratterizza la stampa di regime italiana. Le riserve cominciano con il secondo paragrafo dell’articolo. Dopo aver aperto citando il “miracoloso” cambiamento subìto dall’immagine dell’Italia nei tre mesi seguiti alle dimissioni di Berlusconi, Emmott avverte con molta franchezza: «Mi dispiace di essere sacrilego, ma come molti miracoli, questo è un po’ un’illusione (classico under statement very british ndlm). Tuttavia le illusioni sono importanti e così per questo miracolo valgono tre parole: centralità, verità, e possibilità.»

Nel quarto e quinto paragrafo Emmott è ancora più specifico:  « …perché nessuno e nessuna nuova legge o misura di bilancio, può cambiare una situazione così velocemente. La maggior parte delle riforme economiche e istituzionali che sono necessarie non sono state ancora convertite in legge, figuriamoci attuate. E, chiaramente, resta una quantità enorme di resistenza ai cambiamenti che vengono proposti, in tutti i campi, … diritto del lavoro, disciplina fiscale, liberalizzazione dei mercati e delle professioni. Non si può assolvere un peccatore che non si è pentito, ha scritto Dante, ed è tutt’altro che chiaro se il pentimento ci sia stato.» Sempre senza rinunciare al tono didattico e da predicatore, evidentemente Emmott è preoccupato che l’eccesso di elogi e di servile ottimismo mostrato dalla stampa (specialmente) italiana possa essere pericoloso e possa in futuro trasformarsi in frustrazione e rigetto, travolgendo Monti con la stessa rapidità con la quale è stato insediato. Sembra quasi che il potente giornalista oggi abbia paura di essersi esposto troppo, o meglio abbia paura che l’entusiasmo generato dai suoi primi articoli e l’eccessiva piaggeria dei laudatores italiani espongano al fallimento l’uomo che lui suggerì come salvifico. Ecco infatti cosa scriveva il 13 novembre 2011 in tempi più che sospetti:

«Avevo proposto che un nuovo governo italiano prendesse contatto con un uomo che h predisposto un rapporto per la Commissione Europea su come consolidare il mercato unico Europeo, gli chiedesse di preparare un rapporto analogo per l’Italia e gli desse la responsabiità di metterlo in pratica. Il nome di quella persona era Mario Monti.» Proposta che venne immediatamente accolta dal Presidente Napolitano evidentemente attento lettore di Emmott. Diretto o per interposta persona. Emmott conclude il suo articolo del 9 febbraio con due paragrafi in evidente conflitto, uno pessimista: «L’illusione della trasformazione miracolosa dell’Italia è che certamente l’Italia non si è trasformata, ne è fuori pericolo dal punto di vista finanziario o economico. La recessione peggiorerà le finanze pubbliche, rendendo più che possibile il varo di un altro pacchetto di misure fiscali entro la fine dell’anno se si devono continuare a sostenere i mercati obbligazionari e ad ottemperare agli obbiettivi di bilancio della zona euro… Tanto la parte politica come quella economica di questo processo sono irte di pericoli.» Compensato, forse anche per dovere di ospitalità nei confronti de La Stampa, dal vago ottimismo dell’altro: «Ma ciò che è cambiato è che ora c’è una reale possibilità di cambiamento. C’è qualcosa da sollecitare e in cui sperare. Il governo Monti e il sostegno parlamentare e pubblico che lo circondano, rappresentano per l’Occidente una luce brillante di possibilità in un paesaggio altrimenti oscuro.»

Vince decisamente la preoccupazione: di fronte alla certezza del pericolo e delle difficoltà, oggi abbiamo solo la speranza in un possibile cambiamento rappresentata dal governo Monti. Emmott, come l’Economist, ha sempre il tono saputo, e lo stile del predicatore detentore di superiori indiscutibili verità e ovviamente in un contesto di generale mediocrità svetta come un gigante esponente della “triste scienza”. Forse dovrebbe ricordare la grande cantonata che la rivista prese nel 2000 (quando lui era direttore) sulle fallimentari riforme economiche della Nuova Zelanda che la sua rivista invece sostenne entusiasticamente, e le molte altre nella storia dell’Economist. Ma d’altra parte nessun economista è esente da errori di rotta sul mare imprevedibile e tempestoso della congiuntura economica: una fondamentale verità che dovrebbe suggerire moderazione e, alla mala parata qualche onesta ammissione. Merce rara. Nel caso specifico dell’articolo del 9 Febbraio è da notare l’estrema prudenza, al limite dello scetticismo, sulla congiuntura italiana, solo moderata dal grande entusiasmo per le brillanti speranze aperte dall’insediamento di Mario Monti. L’articolo è un serio avvertimento a Monti e una bacchettata sulle penne degli editorialisti italiani e sui loro entusiasmi di regime per le misure del governo Monti, le stesse, o quasi, che gli stessi avevano pesantemente criticato quando erano state proposte dal deprecabile Berlusconi. Deve preoccupare l’articolo per l’insistenza sui pericoli e per la quasi sicura anticipazione di “un altro pacchetto di misure fiscali entro la fine dell’anno.”

Una cosa va apprezzata: Emmott cerca di recuperare obbiettività sul suo entusiasmo del novembre 2011 e cerca di staccarsi dal coro conforme della stampa italiana che ci impedisce, con la sistematica cortina fumogena, di capire cosa stia esattamente succedendo. La stessa stampa che rimproverò a Berlusconi di “nascondere” la gravità della crisi, oggi è strumentale nel nascondere i dubbi e le ombre della manovra montiana: solo Emmott ci informa, nel coro generale di entusiasti d’ufficio, della probabile ineludibilità di un nuovo pacchetto di misure fiscali entro la fine dell’anno. E visto che ci siamo, ecco cosa Emmott consigliava a Monti di dire a Merkel e Sarkozy (e a noi) in un altro articolo su La Stampa del 15 gennaio 2012: «No, miei cari colleghi, questo fiscal compact non è sufficiente, né i miei piani nazionali di austerità e liberalizzazione basteranno per distinguere in modo sicuro l’Italia dalla Grecia quando quel Paese andrà in default. L’unico modo per risolvere questo problema, l’unico modo per far sì che l’inevitabile uscita della Grecia non sia un disastro, è che voi due, il che significa soprattutto la Germania, accettiate la responsabilità collettiva per i debiti della zona euro, emettendo eurobond garantiti congiuntamente.» Per adesso la Grecia è ancora acrobaticamente “dentro l’Euro”. Chissà se Monti glielo ha detto a Merkozy oppure se, di nuovo, è stato “troppo deferente”?

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