lunedì 23 agosto 2010

Souad Sbai, veli e integrazione...

Roma, 23 agosto 2010 - "Gli estremisti hanno cambiato tattica. Ora lavorano sottotraccia". Souad Sbai, 49 anni, marocchina di Settat, una città vicina a Casablanca, deputata del Pdl, finiana moderata e presidente dell’Associazione Comunità Marocchina in Italia delle Donne (Acmid), squarcia il velo di silenzio che avvolge il mondo dell’immigrazione: "Le giovani di seconda generazione vogliono scappare. Sapesse quante mi chiedono una mano per andare in Francia o per tornare in Marocco dove c’è sempre qualche zia, qualche parente o qualche associazione che le protegge. Lì è in vigore il nuovo diritto di famiglia. Se violenti qualcuno, in galera ci finisci di sicuro!".

Invece in Italia? "Sto ospitando due ragazze del Marocco e una pachistana in fuga da matrimoni combinati, unioni che si celebrano di solito d’estate. Una delle due marocchine ha il passaporto italiano. I suoi vogliono che sposi uno zio per fargli acquisire la nazionalità del nostro Paese. Fa la parrucchiera. Il padre l’ha già minacciata di farle fare la fine di Sanaa (ndr, la diciottenne uccisa a Pordenone perché aveva un fidanzato italiano). Di solito stanno da noi nei tre giorni che passano prima che si riesca a trovare un centro di accoglienza che le ospiti".

In un silenzio assordante succedono fatti inquietanti. Souad ne conosce molti, ma si limita ad aprire qualche spiraglio: "Ghrislan voleva dar vita a una piccola associazione femminile. Thè e dolci, cose da donne. Dopo una settimana le hanno fatto saltare in aria l’auto. E’ successo lo scorso novembre. I tradizionalisti fanno un ragionamento semplice. Le donne hanno la possibilità di stabilire rapporti e di integrarsi uscendo di casa e frequentando altre persone. Per questa ragione le tengono chiuse in casa. In altri casi tentano altre strade. Gamal Bouchaib ha fondato l’Associazione dei musulmani moderati. Un mese fa un imam estremista l’ha avvicinato offrendogli denaro. E’ successo anche a me".

In altre occasioni i metodi sono diversi. Souad Sbai non ama parlare di se stessa. Proprio in questi giorni ha in programma una gastroscopia, il preambolo obbligato di un intervento all’esofago. E’ il secondo, necessario per evitare che si restringa irrimediabilmente. Da mesi vive di yogurt, di liquidi Sansur, di gelati, sotto l’occhio vigile di una nutrizionista di Parma. E’ calata 14 chili. Nel centro culturale Averroè, fondato da lei a Roma, le avevano offerto un cous cous molto piccante. L’ha salvata un sms che l’ha richiamata a Montecitorio per una votazione. Per sua fortuna è riuscita a ingollare solo un cucchiaino di cibo. A New York il professor Kevin Cahill, specialista di armi batteriologiche, le ha diagnosticato un inizio di avvelenamento con cristalli acidi che provocano una inesorabile contrazione dell’esofago. "E’ un handicap che mi porto", taglia corto la presidente dell’Acmid.

Souad Sbai non ama parlare della sua vicenda. "Un caso simile – le strappiamo - è successo a Palidano di Gonzaga, in provincia di Mantova". Là è morta Sobia Noreen, pachistana di quindici anni, incinta di tre mesi. Era il maggio 2003. "Un anno dopo si è scoperto che era stato usato un acido", riassume la Sbai. Ufficialmente il caso risulta archiviato dal Gip.

"Lo sa che sia il padre di Hina Salem (ndr, uccisa a Brescia perché era andata a vivere con il fidanzato italiano) sia quello di Sanaa erano a pochi mesi dall’ottenere la cittadinanza italiana?", chiede scandalizzata. "L’integrazione da noi funziona così. Ci sono persone che vivono con la parabola puntata per captare al Jazeera. Ci sono donne che dopo venti anni in Italia non parlano una parola di italiano. Noi come associazione promuoviamo l’alfabetizzazione. Ma in soggetti sulla cinquantina è quasi impossibile. Esistono mediatori culturali che curano gli stessi soggetti a vita, anziché per cinque o sei mesi al massimo. Al contrario, il permesso di soggiorno o il visto per venire qui dovrebbero essere condizionati alla conoscenza della lingua e delle leggi italiane. La madre di Sanaa, per esempio, non spiccicava una sola parola di italiano".

"Non è possibile accettare tutto — continua — A volte abbiamo paura perfino del lessico. Alla Commissione affari costituzionali della Camera abbiamo discusso di recente sul divieto del niqab saudita, che permette di vedere solo gli occhi, e del burqa. Il vicepresidente Roberto Zaccaria, del Pd, ha proposto di chiamarli veli che coprono il volto. Dietro il niqab o il burqa c’è solo l’inferno. La verità è questa. Le ospiti della mia associazione dopo due o tre giorni vogliono buttare via anche il velo".

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