sabato 14 agosto 2010

Ground zero (2)


Scuote l’America la moschea da cento milioni di dollari che un gruppo islamico intende costruire a Ground Zero. Sarebbe una delle più grandi dell’occidente, nell’edificio che un tempo ospitava i grandi magazzini Burlington Coat Factory seriamente danneggiati l’11 settembre 2001. Contro il progetto, finanziato dai sauditi, non ci sono soltanto noti critici dell’islamismo, ma anche una fitta schiera di intellettuali, giornalisti e studiosi musulmani. Fra i volti più noti, quello del celebre professor Akbar Ahmed, cattedra Ibn Khaldun all’Università americana di Washington e firmatario della fatidica “lettera dei 138” saggi islamici a benedetto XVI. “La leadership musulmana non ha compreso l’impatto dell’11 settembre sull’America”, dice Ahmed. “Pensano che gli americani l’abbiano dimenticato e perdonato. Ma le ferite sono aperte e costruire una casa di preghiera lì sarebbe come gettare sale sulle ferite”. I saggisti musulmani Raheel Raza e Tarek Fatah, entrambi siedono nel Muslim Canadian Congress, hanno lanciato un appello contro la moschea. “Non è sensibile costruire un luogo di preghiera islamica esclusiva nel luogo in cui dei musulmani hanno ucciso migliaia di newyorkesi. E’ come consentire una chiesa serbo- ortodossa a Srebrenica, dove furono uccisi ottomila uomini e ragazzi musulmani”. I due autori sostengono che i promotori della moschea “avrebbero potuto proporre a un memoriale dell’11 settembre la denuncia del jihad, ma non lo hanno fatto”. Altrettanto duro è il giornalista bengalese Salah Uddin Shoaib Choudhury, che parla del progetto come di una “conquista islam-suprematista”. Sul Washington Post Neda Bolourchi ha pubblicato il commento più sferzante contro il progetto di Ground Zero. “Non ho una tomba da visitare o un luogo in cui portare i fiori gialli preferiti da mia madre, tutto quello che ho è Ground Zero”. La madre di Neda era infatti sul volo United Flight 175 che si è schiantato contro il World Trade Center. “Sono nata nell’Iran pre-rivoluzionario. La mia famiglia ha condotto un’esistenza laica, ma l’islam era parte della nostra cultura. Temo che la costruzione della moschea al World Trade Center diventerà un simbolo della vittoria dei musulmani militanti e coltiverà una visione fondamentalista della fede islamica”. Bolourchi lancia un appello personale: “Ground Zero non è mio, devo condividerlo con turisti e politici. Una moschea lo trasformerebbe in un campo di battaglia religioso e politico. Non mi vergogno della mia fede, ma ai sostenitori della moschea dico: costruite il vostro monumento ideologico da qualunque altra parte, ma non sulla tomba di mia madre. Lasciatela riposare in pace”.

Francesco Semprini: L’America in piazza contro le moschee

Nel finale dell'articolo di legge: «Impedire la costruzione di centri islamici non è un modo per prevenire il terrorismo», rimarca Zuhdi Jasser presidente dell’American Islamic Forum for Democracy, il quale ricorda come i suoi genitori, nel 1979 quando abitava a Neenah, in Wisconsin, si trovarono a fronteggiare le opposizioni dei cittadini contro la costruzione di una moschea. «Non capivano chi erano i musulmani - spiega - ma se quel centro non fosse stato costruito io mi sarei fatto vincere dalla rabbia e sarei diventato una persona peggiore». Secondo Zuhdi Jasser, perciò, è giusto costruire una moschea a Ground Zero o i musulmani che la desiderano saranno legittimati a compiere attentati contro l'Occidente, giustificati dalla loro frustrazione per non aver ottenuto la moschea nuova? In ogni caso non è la costruzione di una moschea in Usa ad aver suscitato l'indignazione di molti, quanto la scelta del luogo: Ground Zero. Come mai Francesco Semprini non ha commentato questa affermazione?

L’ondata di protesta nata dall’opposizione alla moschea di Ground Zero sta investendo tutti gli Stati Uniti, dalle grandi città al profondo Midwest, dove l’ostilità alla creazione di nuovi centri islamici diventa sempre sempre più aspra e in alcuni casi aggressiva. Manifestazioni, picchetti e persino ronde di volontari con tanto di cani si aggirano intorno ai luoghi frequentati da cittadini di fede musulmana a scopo intimidatorio, mentre sui muri compaiono scritte come «Non siete i benvenuti». L’ondata di ostilità ha il suo epicentro a New York, dove i promotori del nuovo centro da 100 milioni di dollari hanno rifiutato l’offerta di uno spazio alternativo avanzata dal governatore di New York David Paterson. A Manhattan il clima è rovente tanto che la campagna d’opposizione vedrà l’impiego di cartelloni sugli autobus dove sono raffigurate le Torri gemelle in fiamme.

Dalla Grande Mela «l’epidemia» si è propagata ovunque sia in progetto la realizzazione di una nuova moschea. È il caso di Murfreesboro, sobborgo di Nashville, Tennessee, dove gli oppositori a un nuovo centro islamico sostengono che la moschea sarà molto più di un luogo di preghiera. Temono che l’ex fattoria sulle cui rovine sorgerà il centro si trasformi in un campo di addestramento per terroristi e per il reclutamento di jihadisti. «Non sono un movimento religioso, sono un gruppo di politici e militari», dice Bob Shelton, pensionato di 76 anni che vive a pochi passi dall’ex fattoria. Shelton è tra le centinaia di persone che di recente hanno sfilato con le magliette «Vota Gesù» innalzando cartelli con scritto «Nessuna sharia negli Usa», in riferimento al codice di leggi islamiche. Altri si sono spinti oltre imbrattando con spray i muri del sito dove sorgerà il nuovo centro islamico.

A Temecula, in California, i dimostranti sono scesi in piazza con cani al guinzaglio per protestare contro il progetto di una moschea di 2500 metri quadrati che dovrebbe sorgere accanto a un centro battista. I cittadini temono che la città si trasformi in una sorta di paradiso per gli estremisti islamici. A poco sono serviti i chiarimenti dei rappresentanti delle comunità islamiche locali secondo cui le nuove costruzioni servono semplicemente per accogliere nuovi fedeli.

Il proliferare di centri islamici del resto è il riflesso della crescita del numero di musulmani negli stati Uniti. Sebbene rappresentino l’1% dell’intera popolazione, solo dieci anni fa c’erano 1200 moschee in tutto il Paese, mentre oggi sono 1900. La crescita si allarga ai quattro angoli degli Usa, come dimostrano i casi di New York, California e Tennessee. Del resto il fenomeno è riflesso dei mutati flussi migratori: secondo Pew Research Center, nel 2007 il 39% degli adulti di fede musulmana che abitavano negli States erano immigrati entrati dopo il 1990. Il timore, spiega Ihasn Bagby, professore all’Università del Kentucky, è che le proteste degenerino in violenze manipolate da gruppi estremisti come accaduto due anni fa quando alcuni uomini entrarono in una moschea di Columbia, non lontano da Murfreesboro, incendiandola e imbrattando i muri con svastiche e scritte «White Power». «Impedire la costruzione di centri islamici non è un modo per prevenire il terrorismo», rimarca Zuhdi Jasser presidente dell’American Islamic Forum for Democracy, il quale ricorda come i suoi genitori, nel 1979 quando abitava a Neenah, in Wisconsin, si trovarono a fronteggiare le opposizioni dei cittadini contro la costruzione di una moschea. «Non capivano chi erano i musulmani - spiega - ma se quel centro non fosse stato costruito io mi sarei fatto vincere dalla rabbia e sarei diventato una persona peggiore».

L’imam in giro per il mondo a spese di Obama

L’Amministrazione del presidente americano Barack Obama, a pochi mesi dalle elezioni di medio termine di novembre e in forte calo di popolarità, incappa in una polemica dietro l’altra. Non è passata una settimana dalle critiche alla vacanza in Spagna della first lady Michelle (prontamente ribattezzata una moderna Maria Antonietta) che ecco una nuova protesta per un viaggio che gli americani si ritroveranno loro malgrado a pagare. Al centro della querelle è finito il dipartimento di Stato, guidato da Hillary Clinton. Pomo della discordia è il tour in medio Oriente dell’imam Feisal Abdul Rauf. L’uomo, nato in Kuwait da genitori egiziani, è colui che sta dietro alla Cordoba House, il centro islamico che sorgerà a pochi isolati da Ground Zero, a New York. Progetto è contestatissimo che però nelle scorse settimane ha incassato l’importante via libera della New York Landmarks City Preservation, che ha negato lo statuto di monumento alla vecchia palazzina dove è prevista la costruzione della Cordoba House. L’edificio potrà essere abbattuto e il cantiere del centro islamico aperto. A scatenare le polemiche l’annuncio del portavoce del dipartimento di Stato, Philip J. Crowley, che ha spiegato come la trasferita mediorientale sia “sponsorizzata” dal governo. L’imam Feisal, così è conosciuto negli Stati Uniti, farà tappa in Qatar, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti. Nei tre paesi del Golfo Persico discuterà della vita dei musulmani d’America e promuoverà la tolleranza religiosa. Crowley ha anche precisato che si tratta del terzo viaggio del genere del religioso. La prima volta risale al 2007 con tappe in Qatar, Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Marocco, la seconda volta è stata in Egitto a gennaio di quest’anno. Il portavoce del dipartimento di Stato ha detto che quella con il religioso musulmano è «una relazione a lungo termine», alludendo al fatto che uno dei due viaggi risale alla presidenza Bush e ha sottolineato che l’organizzazione di questo terzo è antecedente alla controversia sulla moschea di New York. Sia come sia, stavolta l’annuncio del tour è stato seguito da numerose critiche verso l’Amministrazione Obama, sempre meno amata. Il fatto che ad andare in medio Oriente, a spese dei contribuenti, sia proprio l’imam che costruirà un centro islamico a due passi da Ground Zero ha scatenato la polemica nell’opinione pubblica e le proteste di buona parte del Partito repubblicano. Due deputati del Gop, Ileana Ros- Lehtinen della Florida e Peter T. King di New York, hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui si definisce “inaccettabile” la decisione del dipartimento di Stato di sponsorizzare il viaggio dell’imam Feisal, il quale in passato è arrivato a dichiarare che l’11 settembre è anche colpa degli Stati Uniti e dei suoi legami con i paesi arabi. I due repubblicani si oppongono alla trasferta che sarà pagata dai cittadini americani. E non è un caso che il comunicato arrivi da Ros-Lehtinen e da King, rispettivamente capigruppo lei alla Commissione Affari esteri e lui alla Commissione Sicurezza nazionale della Camera dei rappresentanti. È probabile che a rendere diverso questo terzo viaggio dell’imam Feisal sia proprio il suo ruolo di promotore della Cordoba House, a New York. Nonostante il via libera della Landmarks City Preservation e il sostegno del sindaco Michael Bloomberg, prima repubblicano ora indipendente, non si placano le polemiche su quello che viene considerato un oltraggio alle vittime dell’11 settembre. Prova del clima di tensione è una pubblicità che presto comparirà sui bus della Grande Mela. Vi è raffigurata l’immagine di un aereo diretto verso il World Trade Center in fiamme, con le scritte “W.T.C. Mega Moschea” e “Perché proprio lì?”. La New York City Transit Agency ha dato il lasciapassare allo spot, accogliendo così il malcontento di chi non vuole assolutamente una moschea accanto a Ground Zero.

2 commenti:

Nessie ha detto...

C'è del marcio in Usa. Se si ritiene che siano stati i terroristi islamici a produrre a quel disastro dell'11/9 , allora si deve assolutamente VIETARE la moschea.

Se viceversa Obama ha la coscienza sporca perché si tratta di un "false flag" per avere poi il prestesto di scatenare la guerra in Afganistan e Iraq, allora spieghi agli Americani e al mondo intero come sono andate veramente cose e perché quella povera gente è morta a migliaia cremata nei grattacieli.

Nessie ha detto...

Qun interessante link di Ida Magli sul tema:

http://www.italianiliberi.it//Edito10/moscheagroundzero.html