martedì 31 agosto 2010

Barroso e la Ue


E' sicuro che insieme al presidente Usa Obama entro novembre riuscirà a varare nuove misure per regolare i mercati finanziari. E in Europa presto arriverà una governance economica in grado di controllare i budget e «introdurre sanzioni e incentivi per raggiungere stabilità e crescita». José Manuel Durão Barroso, l'unico presidente della Commissione europea dopo Delors al secondo mandato, è ottimista sul futuro del Vecchio Continente ma chiede ai governi comportamenti più convergenti e meno egoismi. Lunedì a Bruxelles è convinto che sull'immigrazione, alias caso-Rom, vincerà il buon senso per difendere libera circolazione e diritto alla sicurezza dei cittadini.

Europa alla ricerca della sua identità. Mission impossible? «Bisogna abituarsi alla doppia identità. Sulla prima pagina del "Corriere della Sera", faccio un piccolo esempio, c'è il simbolo dell'Europa ma è un giornale italiano. Non possiamo più pensare a una identità esclusiva, dobbiamo abituarci al concetto di identità multipla. Sommare due parti che devono diventare complementari: la diversity e l'unità».

L'euro doveva creare questa identità. Non pensa che alla fine abbia creato dei problemi? «No. L'euro è un successo straordinario, ormai è la seconda valuta del mondo dopo il dollaro. E l'identità europea è cresciuta. Certo ci sono problemi con i deficit pubblici ma non oscurano i vantaggi che l'euro ha portato. Oggi l'Europa è uno dei mercati meglio integrati del mondo. Pensi cosa sarebbe successo se i Paesi europei avessero dovuto affrontare la crisi finanziaria ognuno con la sua moneta. Ognuno avrebbe fatto svalutazioni competitive. Per le piccole e medie aziende sarebbe stato un disastro. Senza euro e senza mercato unico alcuni Paesi non sarebbero riusciti a superare la crisi. Con opportuni aggiustamenti sulla stabilità interna tutti i governi ora devono difendere l'euro».

Anche Obama ha chiesto un'Europa più forte. «E' molto importante che questa richiesta venga anche dall'esterno, dai nostri partner più importanti. Immaginatevi in un mondo globalizzato come oggi se la Francia, la Germania o l'Italia si dovessero muovere da sole. Non sarebbero in grado di proteggere i loro interessi. Ai 27 diversi governi nazionali oggi conviene trovare una visione comune».

Con il presidente Usa lei si vedrà per un summit il 20 novembre a Lisbona. Può anticipare la sua agenda? «A dire la verità non c'è ancora una agenda definita. Sicuramente affronteremo i temi legati alla crescita e alla occupazione su entrambi i fronti atlantici. Così come discuteremo di politica estera a partire dall'Iran al Pakistan e il Medio Oriente. Il contributo comune sarà determinante».

La scorsa settimana l'eurobarometro ha segnato un'altra flessione del 6% sulla fiducia nei confronti delle istituzioni europee. Non è un bel segnale. «Lo stesso eurobarometro chiede però una governance economica europea più forte. In ogni caso è normale che durante una crisi la fiducia dei cittadini scenda. Così quando l'economia cresce, aumenta anche la fiducia. Riconosco che occorre fare di più insieme per dare sicurezza ai consumatori e ai cittadini. Mi lasci però dire la verità: i problemi non si risolveranno fino a che ogni nazione non vede il progetto europeo come il suo progetto. Questo è il fatto. Bisogna difendere gli interessi dell'Europa rispettando la sussidiarietà. E invece non è così: quando le cose vanno bene è merito loro quando vanno male la colpa è di Bruxelles».

Lei continua a invocare una maggiore governance economica. Ma concretamente cosa bisognerebbe fare? «Prima di tutto le scelte di politica economica di ogni Paese devono essere coordinate insieme agli altri. Una strategia che alla fine è stata accettata. Non c'è altra strada credibile: andare avanti con la concertazione pur accettando le prerogative dei parlamenti nazionali. Così come bisogna coordinarsi per anticipare comportamenti virtuosi verso benchmark di eccellenza. I budget vanno messi sotto controllo e occorre introdurre sanzioni e incentivi più forti per raggiungere stabilità e crescita. Il rischio è di mettere in discussione l'assetto del welfare europeo. Naturalmente non si può più rimandare l'approvazione di una rigida agenda per regolare il settore finanziario. Stiamo lavorando per creare una architettura istituzionale che garantisca una maggiore supervisione. E' stata concordata nuova strategia Europa 20-20 per il rilancio di una crescita intelligente, innovativa e inclusiva».

Dal rapporto Monti lei crede verranno approvate novità? «Penso di sì. Stiamo già lavorando per rimuovere una serie di ostacoli in grado di aumentare l'integrazione tra le varie economie. Entro settembre prenderemo delle decisioni».

Però l'asse franco-tedesco è sempre più forte. E' inevitabile questa asimmetria? «Il problema è molto semplice. Noi non siamo gli Stati Uniti, la Cina o il Brasile. In Europa ci sono 27 nazioni ognuna con le sue differenze. La lezione fondamentale che ci ha fornito l'ultima crisi è che dobbiamo convergere di più verso l'equilibrio dei conti pubblici. Purtroppo non stiamo andando verso l'uniformazione dei bilanci».

Mettiamola così: la debolezza di Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda, i cosiddetti Pigs, può mettere in forse il futuro dell'euro o no? «Queste nazioni sono in reale difficoltà. Però la Grecia, per esempio, ha preso decisioni molto determinate e le altre sono pronte a seguire l'esempio. Non sono d'accordo con quella definizione sprezzante. Sono Paesi che stanno cambiando molto velocemente. E' una parola negativa che contiene molti pregiudizi».

Dall'apice della crisi sono passati quasi due anni. Molti i progetti per riscrivere le regole finanziarie internazionali. Si è parlato addirittura di una nuova Bretton Wood. Ma non è successo niente. Perché? «Su questo fronte c'è troppa paura. Alcune promesse e impegni non sono state prese. Non per colpa dell'Europa che nel G20 ha combattuto per introdurre nuove e più ambiziose regole. A Toronto, per esempio, ci siamo spesi per cambiare le normative sulle transazioni internazionali. Ma alcuni Paesi si sono opposti. E' un errore pensare che nulla stia accadendo. Nel G20 sono stati fatti passi avanti per superare il protezionismo e promuovere la crescita. Cina e Usa compresi. Al vertice di novembre sono certo che a qualche conclusione arriveremo. Nonostante le difficoltà tecniche siamo molto vicini a costruire una nuova architettura finanziaria per regolare private equità, hedge fund, derivati. Forse non è abbastanza. Le divisioni comunque non sono solo in Europa ma in tutto il mondo».

Lunedì prossimo a Bruxelles affronterete il problema dell'immigrazione. Potrebbe trasformarsi, sotto la spinta della Francia e dell'Italia, in un vertice contro i rom? «Sono convinto di no. La nostra preoccupazione principale è di garantire la libera circolazione senza discriminazione. Non è una questione ideologica. Sia la destra che la sinistra sono impegnati a rispettarla. Naturalmente la libera circolazione non è incondizionata. Vanno rispettati anche i cittadini e il loro diritto alla sicurezza sviluppando contemporaneamente la promozione dell'integrazione. Con questo approccio equilibrato verrà rispettata la legge europea. Prevarrà il buon senso».

Roberto Bagnoli

2 commenti:

Johnny 88 ha detto...

L'Euro è un grande successo? Ma che film ha visto 'sto qua?

Elly ha detto...

Ah, non saprei che dire. L'euro come l'unione europea è un fallimento. E solo i cretini dicono il contrario...