mercoledì 18 agosto 2010

Chiamparino, la Boldrini e i rifugiati


MILANO — «Noi, i rifugiati li aiutiamo, non li cacciamo — dice il sindaco di Torino —. Chiaro? Prima di alzare il dito, la portavoce Onu s'informi bene». Risposta immediata: «Figurarsi, nessun intento censorio da parte nostra. Chiediamo solo approfondimenti, offriamo esperienza e collaborazione». E se la polemica d'agosto fosse nata da un equivoco, da un mezzo equivoco almeno? Le scintille tra Sergio Chiamparino (Pd decisionista, moderato, che piace perfino a Bossi) e Laura Boldrini prendono mezza pagina del quotidiano Italia Oggi di ieri. Dove si racconta di un primo cittadino che, dovendo far cassa, decide di vendere un immobile occupato da profughi e usa il pugno di ferro; e, quindi, della reazione piccata dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite, di due lettere che lo diffidano a procedere se prima non sistema la situazione dei rifugiati. Chiamparino, in vacanza nella sua casa di campagna nel Biellese, da un paio di giorni è a letto con la febbre. Al telefono, però, risponde. Parte soft, poi, conversando, s'incavola un po'.

«Alla seconda missiva, tra l'altro non firmata dalla Boldrini ma da un altro esponente dell'Alto Commissariato, ho appena risposto — spiega —. Ho illustrato la situazione com'è, con l'invito a documentarsi. E, nel ruolo di presidente dell'Anci, ho chiesto di pubblicare numeri e dati su come i vari Comuni italiani affrontano i problemi dei rifugiati. Carte in tavola, insomma. Altrimenti, va a finire che chi si dà da fare per gli immigrati trovando soluzioni ragionevoli, si attira guai e resta con il cerino acceso». Vuole riassumerci come sono andate le cose a Torino? «Circa un anno fa — attacca il sindaco — un gruppo di rifugiati eritrei e somali sono approdati in città occupando l'ex clinica San Paolo. Tam tam, così altri ne sono arrivati. Lì, certo, non potevano stare. Allora, ho fatto in modo di spostarli, erano 300, temporaneamente, nell'ex caserma di via Asti. Gli ho proposto un programma di inserimento, con relativo sostegno economico. Risultato? Alcuni se ne sono andati spontaneamente, 230 hanno aderito all'offerta. Quindici di loro, sobillati dai centri sociali e appoggiati da Rifondazione, invece, via di lì hanno occupato l'ex sede dei vigili, in corso Chieri». «In aggiunta a questi — continua — c'è da considerare la scelta di altri 18 profughi, questa volta eritrei, che mai starebbero con i somali per assoluta incompatibilità, insediati abusivamente in un edificio adiacente all'ex clinica San Paolo. Trattasi di proprietà privata. Al riguardo, mi risulta che il Prefetto abbia invitato i proprietari alla prudenza, negli sgomberi».

«E questa sarebbe politica repressiva? A me pare di aver semplicemente usato il buon senso — nota Chiamparino —. Per inciso, con la collaborazione del governo». E i quindici che tengono duro? «L'opportunità l'hanno avuta — taglia corto —. Che posso fare ancora? Oltretutto, non ci sono più fondi». Dunque, devono sloggiare? «Certo». Sentiamo anche la campana di Laura Boldrini. La portavoce dell'Alto Commissariato per i rifugiati si trova all'estero da qualche settimana. Non ha scritto personalmente le lettere al sindaco di Torino e, a quanto pare, non le ha neppure lette preventivamente. Ne è, comunque, al corrente. S'informa sulla versione giornalistica dei fatti ed esprime stupore. «Ma quale polemica? Non diamo pagelle a nessuno, tanto meno a Chiamparino — dice —. Ci siamo rivolti a lui per approfondire la situazione torinese ma anche per valutare la situazione nel suo complesso, dal momento che il sindaco è alla guida dell'Associazione dei Comuni italiani. Insomma, vorremmo incontrarlo per discutere, non per attaccare». Già. Ma Chiamparino sostiene che «siete disinformati, che fischiate al fallo, con facilità. Insomma, se l'è presa». «Mi dispiace — replica Boldrini —. Chiedere di approfondire non significa bocciare. Ho l'impressione che Chiamparino abbia considerato più la montatura dei fatti, che non il contenuto autentico delle lettere».

Marisa Fumagalli

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