lunedì 30 agosto 2010

Numeri


Solo il 49% dei cittadini europei considera “una cosa positiva” l’appartenenza del proprio paese all’Unione Europea, che ha subito un tracollo, quanto a fiducia riscossa tra i suoi cittadini, passando dal 48% rilevato nell’autunno del 2009 al solo 42% della primavera del 2010. Questi dati del sondaggio Eurobarometro (basati su ben 26.641 interviste ad altrettanti cittadini europei) sono sicuramente influenzati dal periodo del rilevamento (in piena crisi monetaria, causata dal possibile default della Grecia), ma sono anche estremamente indicativi del fallimento politico cui l’Europa rischia di andare incontro, innanzitutto sul piano interno. Addirittura il 75% degli intervistati, infatti, auspica una maggiore governance economica europea e proprio il fatto che questa, in realtà, non si vede, latita, è insufficiente, motiva poi la perdita di fiducia.

Non nuovi, non sorprendenti, i risultati di questo rilevamento ufficiale della Ue (presentati, però dalla stessa Ue, al solito, in modo edulcorato, in modo da nascondere l’evidente disagio diffuso nei suoi confronti) mettono all’ordine del giorno quello che i governi europei non riescono a mettere all’ordine del giorno: la necessità di fare chiarezza. L’Ue continua a fare finta di essere in cammino verso il certo approdo di una forma alta di unione politica, portato obbligato dell’unione monetaria e della “volontà dei padri”. Ma così non è. Dopo il fallimento della Convenzione Europea, non funziona neanche il Trattato di Lisbona, che definisce un cammino sostitutivo verso l’unità politica, tanto che, ogni volta che viene messo alla prova, si inceppa. Non ha funzionato durante la crisi greca (è bastato che la Merkel si impuntasse, per paura di elezioni regionali in Germania, per fare andare tutto a carte quarantotto), crea situazioni addirittura imbarazzanti sul terreno della politica estera (lady Ashton, ministro degli esteri Ue, è il personaggio più irrilevante della scena regionale mediterranea) e per di più, viene solo utilizzato da questo o quel commissario (in genere “de sinistra”), per mettersi in mostra criticando questa o quella politica nazionale sulla sicurezza. Le roventi accuse prima rivolte all’Italia, e ora alla Francia di Sarkozy per le espulsioni dei rom che delinquono o che non vogliono inserirsi, ne sono un poco onorevole esempio.

E’ insomma evidente che l’appartenenza nazionale, l’attaccamento stesso al concetto pieno di patria, non stanno affatto cedendo il passo ad un sentimento positivo nei confronti di un governo europeo che i cittadini continuano a sentire astratto, confuso e per di più, potenzialmente avverso, o quantomeno, totalmente estraneo. L’Ue, dunque, soffre di una forte crisi, la cui spinta più forte è il senso di appartenenza nazionale dei suoi cittadini, elemento sempre sottovalutato dalle opzioni illuministe degli europeisti. Questa è la ragione principale dello scollamento dell’opinione pubblica nei confronti dell’idea stessa di una Unione Europea effettivamente governante e unita politicamente. Scollamento, di cui però le classi dirigenti europee, in particolare quelle più “europeiste”, cioè quelle di sinistra, non vogliono neanche prendere atto. Sarebbe bene, invece, che il tema venisse affrontato di petto, da sinistra, come da destra, spiegando ai cittadini europei la verità: l’Ue –giusto o sbagliato che sia- non riesce ad essere altro che un consiglio di amministrazione che governa solo e unicamente l’economia del continente. Per le utopie europeiste non c’è più spazio. Almeno per ora.

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