mercoledì 11 agosto 2010

Burqa


Può far sorridere, può far pensare a una riedizione di Totò le Mokò, la scena di questi quattro rapinatori coperti dal Niqab che cercano di camminare come una donna e che all’improvviso sfoderano coltelli a serramanico a rapinano un Supermarket di Nizza. Ma sarebbe sbagliato. Non è la prima rapina fatta in questo modo, in Francia, non sarà l’ultima ed è banale dire che questi delinquenti hanno portato altre ragioni perché si approvino subito quelle leggi che vietano l’uso del Niqab (il vestito col velo integrale, d’obbligo in Arabia Saudita) e il Burka (quella cappa totale che parte dalla testa, con una piccola griglia per occhi, naso e bocca), che sono approvate in Belgio, sono in discussione nel parlamento francese e che si discuteranno in autunno in quello italiano.

Ma la vera questione è che sostenere che le donne islamiche si debbano coprire con Burqa e Niqab porta a legittimare un crimine forse ancora più grave della rapina a mano armata. Perché queste due armature di stoffa non hanno niente di islamico, non sono prescritte da nessuna legge islamica, né dal Corano. Sono costumi tribali di recente introduzione, spesso in etnie non musulmane, che hanno solo uno scopo: isolare la donna dalla società, dimostrare visivamente che essa è proprietà del maschio. Burqa e Niqab, inoltre, rappresentano in Occidente, in Europa, un vero e proprio manifesto di appartenenza all’Islam politico, fondamentalista, tant’è che nella quasi totalità dei casi non sono affatto indossati da immigrate, ma da europee neoconvertite. Sono il “manifesto” di un Islam che concepisce la famiglia come il nucleo di base in cui si esercita il Jihad, quella concezione dei rapporti che impone l’egemonia totale del maschio sulla donna, dentro una visione della società e del mondo basata sul Jihad totale, sulla risoluzione delle contraddizioni, sempre attraverso la violenza e la sopraffazione e non la mediazione, la ricomposizione dei contrasti, il convincimento. Un Islam che sostiene che la donna è incapace di gestire i segnali erotici e di fascinazione che emana il suo corpo e che quindi, in pubblico, deve muoversi dentro una campana. Nei prossimi mesi, quando si discuterà nel Parlamento della “legge Sbai” che introduce il divieto assoluto di Burqa e Niqab, ne sentiremo delle belle. Da sinistra molti diranno –l’hanno già scritto nella proposta legislativa Giulietti-Orlando-Sarubbi - che Burqa e Niqab non si possono vietare perché “espressione di usi e costumi religiosi o etnici”. Si assisterà così ad un ennesimo scontro tra chi –la sinistra- pensa ad una società in cui tutto è permesso, in cui il “multiculturalismo” è talmente positivo in sé che si devono ammettere anche gli usi delle culture più aberranti e umilianti per le donne, e chi pensa invece che la vera integrazione debba basarsi su una chiara, netta, percepita, affermazione di principi inderogabili, a partire dalla difesa ferma della dignità e della piena libertà delle donne. Uno scontro politico di importanza fondamentale per definire come sarà l’Italia di domani.

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