domenica 17 aprile 2011

Arricchimenti culturali


BRESCIA - Finalmente, ieri, era serena. «Voglio vivere qui. Ora so che nessuno mi può costringere a tornare in Pakistan, so che posso continuare a studiare per prendere il diploma e trovare un lavoro, so che posso realizzare il mio sogno: avere una famiglia, un giorno, con l'uomo che sceglierò». Diceva questo, seduta sul divano rosso del soggiorno con il suo hijab colorato in testa, mentre parlava al telefono con le persone che l'hanno aiutata a ritrovare il diritto più importante conquistato in Italia: vivere la sua vita.

Jamila è una bella ragazza di 19 anni, alta un metro e ottanta, molto educata e timida. Abbassa gli occhi quando incrocia uno sguardo, rispetta sempre quello che chiedono di fare sua madre o i fratelli, tre in tutto, due più grandi e uno più piccolo di lei. Ha detto sì anche quando le hanno proibito di continuare ad andare a scuola, una settimana fa. Nessuna minaccia, solo una nuova regola da seguire: non ti è permesso uscire di casa da sola. Jamila ha ubbidito, come sempre. Ma questa volta il sacrificio era grosso. A lei la scuola piace, si è impegnata a superare il deficit della lingua, per lei che è arrivata a Brescia 13 anni fa. I primi due anni li aveva persi, ma adesso aveva preso il ritmo giusto. Lo scrive il suo prof Fabio M. nella lettera pubblicata l'altro ieri dal quotidiano locale BresciaOggi. «Ha saputo da sola risollevare le proprie sorti, arrivando ad avere un pagellino infraquadrimestrale immacolato, corredato da una condotta irreprensibile». Jamila, però - prosegue l'insegnante - ha un difetto: «E' bellissima, di una bellezza magnetica, arcana». Ed è questo che ha spinto i fratelli a tenere la ragazza in casa. Con l'idea di riportarla in Pakistan per darla in moglie a uno dei cugini. Il docente in un passaggio ricorda con rammarico una delle ultime chiacchierate fatte con la studentessa, quando lei si era confidata: «E' limitante, triste, brutto essere una ragazza pachistana della mia età, dover vivere per l'onore della propria famiglia e non per sé. Non avere la benché minima libertà di andare, di dire, di fare».

La lettera crea subito allarme. E' ancora vivo il ricordo di Hina Saleem, uccisa proprio qui nel Bresciano ad appena vent'anni, nel 2006, perché si era troppo «occidentalizzata». Così la squadra mobile guidata da Riccardo Tumminia si precipita nell'appartamento, preparandosi a trovare una giovane segregata. In realtà la porta è aperta, basta abbassare la maniglia. La casa è modesta e dignitosa, molto pulita. Jamila è con sua madre. Dice la verità: «Non posso uscire da sola, non posso più andare a scuola». I poliziotti invitano le due donne a seguirli in questura e lì cominciano a chiarirsi i contorni di questa storia che, più di tutto, sa di arretratezza culturale, isolamento sociale e miseria.

«Il padre di Jamila è morto due anni fa per un infarto mentre lavorava in fonderia», spiega Silvia Spera, che nella segreteria Cgil a Brescia si occupa della mediazione con la comunità di 28 mila pachistani. «Non era iscritto al sindacato e la sua assicurazione contro gli infortuni era scaduta: insomma la famiglia non ha potuto avere alcun risarcimento. La moglie e i figli, allora, si sono rivolti a un legale, che ha suggerito loro di non pagare più la rata del mutuo sulla casa fino alla conclusione della causa. Con quindici mesi arretrati, la banca stava minacciando di riprendersi l'appartamento. In questo contesto è maturata l'idea sconsiderata di tornare in Pakistan e combinare il matrimonio dell'unica figlia femmina con un familiare benestante, in modo da risolvere i problemi economici». Con la sindacalista, venerdì sera in Questura, c'era il console Syed Muhammad Farooq, chiamato per far capire ai fratelli di Jamila che da nessuna parte sul Corano c'è scritto che una ragazza non può uscire da sola, non può andare a scuola, non può scegliere di amare chi vuole.

«Un altro elemento di questa storia è la grande gelosia dei ragazzi verso la sorella, frutto di un retaggio culturale antico. Si sono giustificati così: non volevano che lei diventasse oggetto delle attenzioni di altri uomini, probabilmente nell'eventualità che si innamorasse di qualcuno e che andasse a monte la possibilità di un matrimonio combinato con il cugino», aggiunge il dirigente della polizia Riccardo Tumminia. I familiari sono stati redarguiti a dovere: il loro comportamento era appena al di qua del confine che segna il limite con i reati di sequestro di persona, minacce e violenza. Si sono impegnati tutti e domani Jamila tornerà a scuola. Il console, scherzando, le ha garantito che se qualcuno vorrà farla rientrare in Pakistan contro la sua volontà lui metterà il suo nome su una lista nera e nessuno la farà mai passare alla frontiera. La Cgil prenderà in mano la questione del risarcimento per la morte del papà della ragazza. E i fratelli, con qualche difficoltà, dovranno adattarsi all'idea che Jamila ora balla da sola. Un diritto guadagnato sul campo, con la sua rivolta gentile.

Elvira Serra

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Comunque, per le ragioni che ho esposto nei precedenti commenti, la famiglia di jamila dovrebbe essere rimpatriata. Lei no.
eudora

Nessie ha detto...

Queste poverette mi fanno pena e ovviamente non tengo di certo bordone ai tagliagola dei loro familiari. Però mi piacerebbe che imparassero tutti quanti a stare a casa loro, perché questa terra non è il BENGODI universale. E di balordi a cui tenere bada, ne abbiamo già fin troppi dei nostri.

nuovopatriota ha detto...

Perchè accollarsi tutti questi problemi? Stesse a casa sua con tutta la sua famiglia. Invece di far scomodare professori, consoli e risorse destinate agli italiani! Un'altra subdola occasione per spillare energie.

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+nuovopatriota+
[mai domi! il vero patriota è irriducibile!]

Maria Luisa ha detto...

http://www.corriere.it/cronache/11_aprile_19/serra-scuola-sogno-stilista_6c000fee-6a49-11e0-9c18-e3c6ca1d1dc5.shtml

meglio che torni in pakistan pure lei.
Maria Luisa