domenica 3 aprile 2011

La lega le elezioni e gli immigrati


L’eco del «fuori dalle balle» di Umberto Bossi non si è ancora spenta. Ma assieme a quell’ordine, stavolta nell’aria aleggia un’altra sensazione: che la Lega non abbia fatto bene i propri conti. L’emergenza di Lampedusa ha faticato a trovare una soluzione. L’applicazione rigida della legge Bossi-Fini appare inadeguata a gestire i flussi di disperati. Il ministro Maroni si fa sentire soltanto per ripetere la differenza tra clandestini e richiedenti asilo: distinzione sacrosanta sulla carta quanto aleatoria nei fatti. Intanto le elezioni amministrative si avvicinano e gli elettori del Carroccio scalpitano vedendo in tv le immagini degli sbarchi e dei respingimenti francesi. Gli immigrati non si muovono dall’Italia. Qualche ingranaggio si è inceppato al Viminale, in una macchina finora oliata ed efficiente? Di sicuro non è stata predisposta alcuna misura preventiva. I disordini in Tunisia sono scoppiati a dicembre e dopo un mese Ben Ali è stato destituito. Non era difficile prevedere che sarebbe ripresa la fuga massiccia dal Paese, nonostante la gioia collettiva per la fine della dittatura e la prospettiva della ripresa economica. In Nordafrica il mito della ricchezza facile in Occidente resta forte e in questi mesi le autorità tunisine appaiono più impegnate a controllare la situazione interna e pattugliare il confine con la Libia, piuttosto che perlustrare le coste. Fattori - sottovalutati - che hanno concorso a far riprendere il mare ai barconi.

Scarsi rinforzi a Lampedusa, nessun campo di emergenza altrove: siamo rimasti immobili in attesa dell’inevitabile, nella speranza che un miracolo ci evitasse lo «tsunami umano». Quando è scoppiato il caos, dal Viminale sono giunti numeri allarmanti: Maroni ha previsto di ospitare 50mila richiedenti asilo e respingere tutti gli altri. Ma la realtà ha preso una piega diversa. La gente approdata a Lampedusa in fuga dai conflitti - libici, eritrei, ivoriani - è pochissima: la stragrande maggioranza proviene da Tunisia ed Egitto, dove regna la calma dopo poche settimane di tumulti. Sono maschi tra i 20 e 35 anni, robusti, in grado di lavorare; rari i vecchi, i bambini, le donne, i nuclei familiari che hanno perso tutto. A norma di legge essi sono clandestini. Ma vanno pure ospitati nei centri di accoglienza, identificati ed eventualmente rimpatriati: operazioni che richiedono mesi in condizioni normali, figurarsi oggi. E nel frattempo l’Italia deve garantire a ciascuno una sussistenza minima: un tetto, cibo, medicine. Deve impiegare militari o personale civile per l’assistenza e la sorveglianza dei campi, e al contempo organizzare i trasferimenti via nave o in volo.

È anche evidente che tutta questa gente non può restare a Lampedusa, un’isola ripiombata nell’emergenza dopo che gli accordi commerciali con i Paesi nordafricani avevano garantito un paio d’anni tranquilli. Ma al Viminale non si è pensato di allestire tendopoli provvisorie lontano dalla Sicilia finché la situazione non si è fatta esplosiva. E quando si è messo mano alla questione, la ripartizione dei nordafricani ha risparmiato il Nord, bacino elettorale leghista dove però si è irrigidito anche qualche governatore di sinistra nel timore di perdere voti. Si era parlato di una distribuzione sul territorio proporzionale al numero degli abitanti, ma non è stato così. Scelta che ha provocato le dimissioni del sottosegretario Alfredo Mantovano. Silvio Berlusconi ha dovuto ripetere il solito «ghe pensi mi» e andare a Lampedusa: Maroni non si è mosso da Roma, anche se domani accompagnerà il premier a Tunisi per chiedere maggiore disponibilità a riprendersi i fuggitivi. E se ora si muove qualcosa in Europa, non è grazie alle pressioni del Viminale ma alle palesi violazioni francesi degli accordi di Schengen. I ferrei controlli alla frontiera con l’Italia hanno irritato perfino i flemmatici burocrati di Bruxelles. La via d’uscita sarà concedere ai profughi i permessi di soggiorno provvisori di sei mesi come «protezione umanitaria» previsti dalla Bossi-Fini: non essendo più clandestini, essi non potranno essere né espulsi né respinti dopo aver passato le Alpi. Per la Lega sarà una mezza marcia indietro. Non sempre l’intransigenza è la politica migliore.

Dove arrivano, scoppia il caos...

1 commenti:

samuela ha detto...

E se una volta ottenuto il permesso decidono di non andarsene cosa succede? E se invece di ricongiungersi dellà fanno arrivare i parenti di qua? E cosa otteniamo a fare i tunisini dell'Europa? A ricattare gli altri perchè siamo degli inetti vigliacchi? Otteniamo solo che per una volta gli "ariani" avranno una ragione seria per odiarci a morte. E disprezzarci.

Il problema non è l'intransigenza, sono almeno vent'anni che siamo ricattati con la schizofrenia del "ma anche ma però". Logoramento puro e semplice.
La Lega non è riuscita mai a far entrare nella testa del "popolo" che l'immigrazionismo come odio di sè è un pericolo concreto, che porta solo morte. E dopo quella non c'è niente. Che non bisogna partire dagli altri ma restare concentrati su se stessi, come dice la Le Pen. Invece siamo un pezzo di terra in funzione di chi viene da fuori -e con questo intendo anche per quanto riguarda le migrazioni interne.
Evidentemente gli immigrati di ogni tipo fanno comodo anche a loro.