venerdì 2 luglio 2010

Onu, Cuba e diritti umani

Cuba opprime i dissidenti, l'Onu la premia sui diritti umani

Roma. E’ in condizione “critiche” il dissidente cubano Guillermo Fariñas, in sciopero della fame da quattro mesi e ricoverato presso il reparto di terapia intensiva dell’ospedale cubano di Santa Clara. Il giornalista e psicologo cubano fa sapere che porterà avanti la sua protesta “fino alle ultime conseguenze”. Fino alla morte per inedia. Non ha più la febbre che lo tormentava nei giorni scorsi, ma Farinas potrebbe collassare fatalmente da un momento all’altro. Il dissidente aveva cominciato lo sciopero della fame il 24 febbraio per chiedere la liberazione di una ventina di detenuti malati considerati prigionieri di coscienza da Amnesty International. Il dottor Guillermo Fariñas, che è facile ricordarsi per le fotografie in cui assomiglia a uno spettro con gli occhi fuori dalle orbite, era finito in carcere a Cuba per aver invocato “internet libero”, offesa grave in un regime comunista che svetta fra chi perseguita e massacra di più al mondo la libertà d’informazione. Psicologo in pensione e giornalista molto critico, Farinas è costretto alla sedia a rotelle da una polineurite. L’opposizione al regime castrista, assieme a Farinas, chiede la liberazione di duecento detenuti politici, a cominciare da un gruppo di venti malati, i quali appartengono al gruppo dei 75 arrestati nel 2003 nella cosiddetta “Primavera nera”. Il governo di Raul Castro ha detto che non accetterà “ne pressioni ne ricatti” nel caso Farinas, il quale ha cominciato la protesta all’indomani della morte dell’oppositore prigioniero Orlando Zapata dopo mesi di sciopero della fame, decesso che ha provocato un’ondata di condanne internazionali. La ribellione per fame e sete di Farinas è tanto più drammatica e intollerabile per il regime perché viene proprio da un “figlio della Rivoluzione”. Entrambi i genitori di Farinas infatti lottarono con tro Batista, suo padre accompagnò il Che in Congo nel 1965. E Guillermo, dopo aver frequentato una scuola militare in Unione sovietica, combatté nella missione internazionalista in Angola. Ferito diverse volte in combattimento, nel 1980 era tra i militari di guardia all’ambasciata del Perù, nel tentativo di impedire la fuga di massa dei cosiddetti “marielitos”. Negli stessi giorni in cui a Cuba si muore e si finisce in galera in nome della dissidenza, a Ginevra il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha eletto come vicepresidente del celebre organismo proprio un fedele castrista. Durante una riunione annuale, i suoi membri hanno scelto per acclamazione l’ambasciatore di Cuba a Ginevra, Rodolfo Reyes Rodriguez, quale miglior candidato per la carica di vicepresidente, anche “in riconoscimento del lavoro svolto da parte di Cuba nel settore dei Diritti Umani”. L’ambasciata cubana a Ginevra si felicita in una sua nota che “la scelta di Cuba per questa posizione è un importante riconoscimento del titolo esecutivo per il lavoro esemplare della Rivoluzione Cubana in favore dei diritti umani del suo popolo e del mondo”. Intanto all’Avana processi e persecuzioni A gestire i dossier sui diritti umani e le violazioni in giro per il mondo sarà dunque uno dei “worst of the worst”, i peggio del peggio, i paesi più repressivi del mondo nella classifica appena stilata da Freedom House e che vede Cuba in cima alla lista nera. Quattro delle peggiori dittature, ovvero Cina, Cuba, Libia e Arabia Saudita, siedono dunque nel Consiglio dei diritti umani dell’Onu. L’Avana però è l’unica a detenere anche un posto decisivo nella catena di comando all’Onu sui diritti umani. La nomina della compagine cubana arriva nei giorni del processo a un altro famoso dissidente caraibico, il dottor Darsi Ferrer, che ha passato quasi un anno in detenzione preprocessuale in un carcere di massima sicurezza dopo aver organizzato manifestazioni critiche nei confronti del regime. Darsi Ferrer è stato condannato a un anno di carcere e a tre mesi di “lavoro correttivo”. Altri sei prigionieri politici hanno appena avviato lo sciopero della fame. Fra di loro spicca Hector Fernando Maceda, il marito di Laura Pollan, leader delle Dame in Bianco, il gruppo di familiari dei dissidenti detenuti nel 2003. Il regime ha dovuto spedire agli arresti domiciliari il dissidente disabile, Ariel Sigler Amaya, divenuto paraplegico dopo il suo arresto anni fa. Tre anni di detenzione gli hanno fatto perdere sessanta chili. Amaya soffre di gravissimi problemi renali, emorragie intestinali, tonsillite cronica, il fratello dice che “ha tutti gli organi compromessi”. Nella stessa condizione di semilibertà si trova anche Jorge Luis Pérez “Antúnez”, che dopo diciassette anni di carcere per “propaganda nemica orale” vive ancora assediato dalla polizia politica. Attualmente si parla di “sei-sette mila dissidenti dichiarati” nell’isola di Cuba. Gente come Adolfo Fernandez Sainz, che lavorava per l’agenzia di stampa “Patrìa” prima dell’arresto. Sainz, che deve scontare quindici anni, soffre di artrite, enfisema polmonare, cisti renale, ernia iatale, prostata ingrossata e pressione alta. Da quando è dietro le sbarre ha perso venti chili e non ha ricevuto cure sufficienti. Sta molto male Jorge Luis Gonzalez Tanquero, la cui famiglia fu accolta dall’ex presidente Bush alla Casa Bianca e che rifiuta le cure perché “inadeguate”. Ricardo Linares García è diventato quasi cieco in carcere. Anche il dottor Oscar Biscet è gravemente malato, la sua cella non ha finestre e si sa per certo che è stato più volte torturato e picchiato. Il dottore iniziò la sua lunga e agonizzante resistenza al regime quando scoprì che a Cuba si praticava l’infanticidio tramite aborto tardivo. Con la sua condanna a 25 anni di carcere, Biscet è uno dei massimi prigionieri di coscienza al mondo

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