mercoledì 28 luglio 2010

Sarkò e gli zingari


Un po’ per convinzione, un po’ per convenienza, Nicolas Sarkozy dichiara guerra ai rom. È stufo dei furti, della delinquenza, della loro tendenza a rifiutare l’integrazione. Parla come Umberto Bossi o, forse, addirittura, come Jean-Marie Le Pen. Il suo predecessore, Jacques Chirac, non lo avrebbe mai fatto. Ma Sarko è più sanguigno, spregiudicato, meno istituzionale. E soprattutto ha bisogno di un diversivo, che gli consenta di recuperare consensi tra i disamorati elettori del centrodestra.

E il diversivo è arrivato, casuale e drammatico. Domenica a Saint-Aignan, un piccolo villaggio nella Loira, un giovane zingaro, fuggito a un controllo, è stato ucciso dalla polizia, in circostanze poco chiare, che hanno suscitato la reazione furibonda della comunità rom. Furibonda e violenta. Circa cinquanta persone, armate di asce, coltelli, bastoni, in gran parte mascherate, hanno assaltato e distrutto la piccola gendarmeria del villaggio. Poi hanno scorazzato per il centro del paese, rompendo vetrine e incendiando automobili. Un episodio di guerriglia urbana, che ha suscitato l’indignazione dell’opinione pubblica e a cui subito si è associato Sarkozy, che peraltro non ha mai provato molta simpatia per i gitani. Quando era ministro dell’Interno invocò tolleranza zero contro «le comunità di nomadi che non rispettano le regole». Chirac allora non glielo permise. Ora però il grande capo è lui.

Come peraltro accade in Italia, la grande maggioranza dei francesi non prova simpatia per i rom e l’episodio di Saint-Aignan, per quanto tragico, rappresentava per l’Eliseo, in termini mediatici, un’occasione straordinaria, che infatti non è stata ignorata. Sarko ha mandato avanti il segretario di Stato agli Affari europei, Pierre Lellouche, il quale, lunedì, durante una riunione con i colleghi dei 27 a Bruxelles, ha invitato l’Europa ad affrontare al più presto quello che ha definito senza perifrasi «il problema reale di nomadi e rom» e che «non si può ricorrere alla nozione di non discriminazione per lasciar correre cose inaccettabili in materia di delinquenza». E ancora: «Nel sistema comunitario ci sono molti soldi per aiutare l’integrazione, ma la mobilitazione è insufficiente. A parte le parole, non accade nulla. Non è più possibile andare avanti così».

Secondo Lellouche, «i rom non cercano di integrarsi» e ha denunciato tratte di minori, prostituzione, accattonaggio, che sarebbero in aumento in Francia: «Bisogna finirla. La libera circolazione non può essere un alibi per questi traffici». Dunque, «se l’Europa non vuole farsi cogliere impreparata da reazioni negative dell’opinione pubblica, dobbiamo agire tutti insieme». Una bomba, seguita da un’altra bomba, fatto esplodere dallo stesso Sarkozy, che ha convocato per oggi un vertice straordinario all’Eliseo, come di solito avviene soltanto in presenza di fatti gravi e imprevisti. Crisi serie, crisi urgenti. Gli scontri di Saint-Aignan sono giudicati tali, visto che le président, anziché minimizzare l’accaduto, ritiene necessario esaminare «i problemi posti dai comportamenti di alcuni nomadi e rom».

Insomma, ha infranto il tabù, suscitando un’ondata di polemiche. Il presidente dell’Unione delle associazioni tzigane (Ufat), Alain Dumas, considera il vertice speciale di oggi una «dichiarazione di guerra», che non ha precedenti dai tempi della Liberazione e denuncia il rischio di una nuova «pagina nera» nella storia della minoranza. Altre associazioni umanitarie hanno denunciato un «politica razziale» e, addirittura, di «apartheid», spalleggiate dal partito socialista indignato per questa «scandalosa stigmatizzazione». Una bufera intensa, ma per una volta gradita a Sarkozy, il quale ha osato proclamare a voce alta quel che i francesi osano al più sussurrare in famiglia. Più la «gauche» strilla, più lui è contento. Perché le accuse di populismo finiscono per far lievitare il suo indice di gradimento nei sondaggi. E questa oggi è considerata una priorità per tentare di salvare una presidenza finora molto deludente.

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