venerdì 30 luglio 2010

La prova...


Se ogni grande impresa ha avuto un condottiero grande e ogni grande condottiero ha avuto il suo poeta cantore, poteva il dux della più attesa riscossa antiberlusconiana che, magistratura esclusa, nessun pavido oppositore aveva mai osato lanciare, venirne privato? No. Ed eccolo quindi il Vate di Gianfranco Fini, in tutta la sua dannunziana e maschia adulazione. L'ironia è necessaria "un po' per celia e un po' per non morir", come pregava la piccola geisha pucciniana, consumatasi nell'inutile attesa. Purtroppo c'è molto poco da celiare se i versi sgorgano dalla tastiera di Furio Colombo e appaiono in tutta la loro retorica fascistizzante nel giornale più amato dagli antiberluscones, ovunque si vadano collocando.

Dopo aver sentito cantare le audaci gesta finiane, data la linea giornalistica dell'autore e della testata ma soprattutto la personale storia politica del poeta, pretendiamo la risposta delle risposte, condivisibile o no che sia. Cioè, passi per l'innamoramento di un uomo di sinistra (da tempo Fini se ne circonda con ricambiato affetto), quello che delude il lettore alle prese con la volgare prosa della dura realtà quotidiana sono i troppi, angoscianti punti interrogativi inseriti nell'epico poemetto. Da un giornalista, scrittore, politico, parlamentare, professore, imprenditore, consulente degli Agnelli, e quant'altro, il lettore si sarebbe meritato qualche risposta chiara e definitiva sul futuro che lo aspetta dopo questa mirabolante "prova di Fini".

Ma "risposta non c'è, oppure, chi lo sa?, perduta nel vento sarà.", canta Bob Dylan, adorato da Furio. In pratica, ancora una volta, ci troviamo di fronte alla fuffa intellettuale destinata a galvanizzare la curva sud finiana pronta e acculturata, orgogliosa di avere con sé sugli spalti cotanto fuoriclasse della parola, mica uno privo di ogni estro come Belpietro o similari. Ecco alcuni versi "colombiani":

«Come un circo. Gianfranco Fini è solo. Sul trapezio, nel fascio di luce. Resta immobile, con quel misto di confidenza e di ansia che a volte l'immagine ravvicinata rivela su un viso altrimenti impassibile. Non c' è rete e tutti guardano in alto. E tutti sono (come sempre il pubblico) allo stesso tempo ammirati e increduli. Non può farcela e deve farcela. L'acrobata Fini scruta il momento del salto azzardato che deve portarlo esattamente nel punto e nella posizione in cui sta ora, ma dopo avere spiazzato con precisione, in una sequenza perfetta, l'altro acrobata dalla sua postazione. L'altro acrobata si chiama Berlusconi. […] Conseguenze? Tutte da calcolare.» Non dimenticatevi i fazzoletti!

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