venerdì 30 luglio 2010
Riconteggi
Ora accoglie i ricorsi Pd ma 5 anni fa in Puglia il Tar negò a Fitto il riconteggio dei voti di Felice Manti
Da Nord a Sud cambia tutto. Anche la giurisprudenza. La prova? Ieri sono uscite le motivazioni della sentenza del Tar sul voto in Piemonte che ha disposto il riconteggio dei 15mila voti raccolti da due liste alleate del governatore leghista Roberto Cota dopo l’esposto dell’ex presidente Pd Mercedes Bresso. I punti fermi sono sostanzialmente tre: «Le liste Consumatori e Deodato Scanderebech sono illegittime» benché regolarmente autorizzate; «il riconteggio va a tutela degli elettori» ma bisogna vedere «quali effetti demolitori» possono scattare sul presidente eletto e sui consiglieri. Perché, è la tesi dei legali Pd, «è facoltà del giudice amministrativo correggere il risultato elettorale» mentre il presidente leghista è sereno: «Quei voti non saranno validi per le liste, ma per me sì, lo dice la legge». Torino, 29 luglio 2010.
Ma allora perché appena 5 anni fa, in Puglia, le cose andarono in maniera diametralmente opposta? Quando il governatore uscente Raffaele Fitto (oggi ministro) venne battuto per 14.100 voti (lo 0,6%) dall’allora semiparvenu Nichi Vendola, lo sconfitto annunciò ricorso al Tar, denunciando una serie di irregolarità. Molto più palesi di oggi, stando almeno alle cronache dei giornali nazionali dell’epoca. E soprattutto con una platea di voti da ridiscutere molto più vasta, vista l’enorme, mostruoso numero di schede considerate allora nulle. Più di 80mila, di cui la metà contestate. Eppure sia il Tar, che in seguito il Consiglio di Stato, contro una giurisprudenza consolidata, dissero sostanzialmente «non ci sono prove, quel che era fatto, era fatto».
La denuncia di Fitto era dettagliatissima: verbali sbianchettati, correzioni maldestre, somme sbagliate, fogli lasciati in bianco e tuttavia timbrati e firmati senza un perché, e almeno cinquemila voti attribuiti a Fitto scartabellando i 3.870 verbali esaminati. E ancora: sezioni in cui il numero dei voti validi è inferiore a quello attribuito ai quattro candidati presidenti, voti ai Ds raddoppiati rispetto a quelli effettivamente ottenuti. E invece? La Regione negò la visione delle schede, con la scusa che le aveva «in custodia, non in detenzione stabile» persino alla Commissione governativa per l’accesso agli atti amministrativi. Una scelta che Tar e Consiglio di Stato, grazie all’accorata difesa dell’allora presidente della Provincia di Lecce Pd Giovanni Pellegrino (altro fatto curioso...) motivarono così: «In materia elettorale chi promuove il giudizio ha l’onere di provare circostanze concrete che, se fondate, porterebbero alla modifica del risultato in suo favore». Nel caso del ricorso di Fitto invece ci sarebbero solo «doglianze generiche, tendenti a ottenere un generale riesame dei risultati in sede giurisdizionale, deduzioni non sostenute neppure da un principio di prova, contestazioni elaborate a tavolino».«La correzione dell’esito elettorale deve essere la logica conseguenza di irregolarità effettivamente riscontrate e contestate durante il procedimento elettorale, che poi si rivelino rilevanti sull’esito finale, non già il frutto di un postumo tentativo di ricostruzione di affermate irregolarità, scaturito solo quale reazione per un esito della consultazione non soddisfacente».
E il diritto di spulciare, ricontare, rivedere le schede? Facile: «Gli atti sono immediatamente accessibili dai rappresentanti di lista durante lo scrutinio - dice il Consiglio di Stato il 7 aprile, motivando il niet - e hanno facoltà di effettuare contestazioni da inserire nel verbale». Insomma, per capirci, la versione del Tar è questa: Tutto chiaro, no?
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