sabato 24 luglio 2010

Burqa


Roma - Il burqa e il niqab che coprono il volto delle donne vanno vietati per motivi di sicurezza. E questo, senza implicazioni religiose, perché non è il Corano che li impone. La posizione del governo è chiara nel parere espresso pochi giorni fa dal Comitato per l’Islam italiano, organo consultivo del ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Il documento è stato trasmesso dal Viminale al presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera. Donato Bruno lo attendeva per proseguire l’esame di varie proposte di legge, che vogliono modificare la norma del 1975, in cui si vieta l’uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo che renda difficile il riconoscimento della persona in un luogo pubblico o aperto al pubblico, «senza giustificato motivo».

La polemica sul velo infuria in Occidente, dalla Francia ai Paesi Bassi al Belgio, alla Spagna dove Camera e Senato hanno dati pareri diversi, fino al Quebec. E anche in Paesi islamici come la Siria, contro l’integralismo viene vietato il niqab alle studentesse universitarie. In Italia, una proposta del leghista Roberto Cota vorrebbe il divieto esplicito degli indumenti indossati dalle «donne di religione islamica», come burqa e niqab. Salvatore Vassallo del Pd, invece, intende modificare la legge per consentire l’uso di questi due tipi di velo. E la cattolica Paola Binetti, che ha lasciato il Pd per l’Udc, propone di tutelare gli indumenti legati a qualsiasi religione, a condizione che lascino il volto scoperto.

Il punto, per la Commissione parlamentare, era proprio capire se il velo integrale dovesse essere consentito per i «giustificati motivi» previsti dalla legge e per rispetto delle motivazioni religiose. Il Comitato ministeriale taglia la testa al toro: «Portare il burqa o il niqab - scrive lo studioso delle religioni Massimo Introvigne, relatore del documento - non è un obbligo religioso, né tale obbligo può trovare fondamento nella lettura del testo sacro dell’Islam». Dunque, le ragioni religiose non possono essere d’ostacolo. Ci vuole una nuova legge, perché «la riconoscibilità delle persone dev’essere garantita», soprattutto ora con la minaccia del terrorismo integrale, ma la questione va «deconfessionalizzata». E nelle nuove norme si raccomanda di far riferimento chiaro a burqa e niqab, ma senza accostarli a nessuna religione in particolare, visto che anche altre usano il velo.

«La religione (in particolare quella musulmana) non c’entra nulla - spiega il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano, che coordina i lavori del Comitato - anche alcune confessioni sikh adottano questo indumento. Il ministro Maroni ha fatto suo il parere, che è quindi quello del governo e alla Camera ora riprenderanno i lavori sulla modifica della legge. Mi auguro che seguire questa linea possa rasserenare gli animi, perché non si tratta di un’imposizione né di un’ingerenza in questioni religiose, ma del rispetto verso le persone di qualsiasi credo».

Composto per metà da rappresentanti di fede islamica e per il resto da studiosi ed esperti delle religioni, il Comitato ha esaminato il problema riguardo non al velo che copre solo i capelli e il collo, come l’hijab, o al chador che avvolge la persona ma non ne cela il viso, bensì al burqa imposto alle donne in Afghanistan per coprire con una retina anche gli occhi e al niqab, che lascia scoperti solo quelli. Si esaminano le sure del Corano che parlano del velo per concludere che neppure le mogli del Profeta lo portavano e che la prescrizione religiosa non c’è. Il consiglio di Stato, però, nel 2008 bocciò l’ordinanza di un sindaco che lo vietava, legandolo alla tradizione religiosa. E a maggio 26 convertite italiane all’Islam scrissero alle autorità rivendicando il diritto di coprirsi per esprimere la loro «femminilità». Il governo, ora, recide ogni legame tra velo e islam.

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