martedì 27 luglio 2010

Predicare bene e...


Roma - La cifra farebbe gola a chiunque, comprese le anime belle del Movimento cinque stelle, i grillini. Centonovantatremila e passa euro (193.258,87 euro), la somma spettante alla lista Grillo per il risultato alle regionali nella sola Emilia Romagna, dove il movimento del comico ha eletto ben due consiglieri con un formidabile 7% (161mila voti). Ebbene, i grillini li riscuoteranno quei pubblici denari, venendo così meno all’impegno preso contro la casta (da mandare a vaffa), oppure no? La risposta è un giallo in piena regola. Anche se l’unica certezza in proposito sembra essere la richiesta ufficiale di rimborso elettorale inviata all’Ufficio di presidenza della Camera il 5 marzo 2010, protocollata dalla segreteria di Montecitorio e firmata dal promotore della lista Grillo in Emilia Romagna, il neo consigliere Giovanni Favia.

Lo stesso grillino che lo scorso 20 aprile a Modena aveva dichiarato: «Noi abbiamo rinunciato ai rimborsi». Nel documento inviato a Fini, invece, Favia scrive che, in qualità di promotore della lista, «richiede l’erogazione del rimborso connesso alla consultazione elettorale in oggetto». E dunque? La gaffe è stata scoperta dall’agenzia Dire, che ha fatto due riscontri e ha notato la contraddizione. La somma da versare sul conto corrente del Movimento cinque stelle è nero su bianco nelle tabelle allegate alla delibera sui rimborsi elettorali che l’ufficio di presidenza di Montecitorio proprio oggi è chiamato ad approvare (la scadenza per i pagamenti è il 31 luglio). E allora, i grillini emiliani avranno o no quel bonifico? Dopo che la voce si è diffusa, il Movimento Cinque stelle è corso ai ripari per spiegare l’accaduto. Nessun rimborso, solo «un errore materiale della Camera», così almeno sostengono i grillini. «Noi quei soldi non li vogliamo - ha spiegato Favia -. Ho appena chiamato la segreteria della presidenza della Camera e mi sono assicurato che dalla deliberazione sarà stralciata la parte relativa ai rimborsi per il Movimento dell’Emilia Romagna».

Sarà certamente vero, però una telefonata non basta per bloccare la procedura già avviata da marzo. A Montecitorio serve una richiesta scritta di rinuncia al rimborso, e infatti i grillini hanno dovuto mandare un fax con l’esplicita rinuncia, e solo a questo punto Montecitorio ha preso atto della decisione su quei 200mila euro. Però i dubbi restano. Perché aspettare tanto tempo (e aspettare che lo scoprisse la stampa) per annullare la precedente richiesta di rimborso?

Anche qui i grillini hanno pronta una spiegazione: «La nostra non era una richiesta formale ma una semplice e mail dove non era nemmeno specificato un tesoriere del movimento né un numero di conto corrente. All’epoca non avevamo ancora stabilito con Beppe Grillo se rinunciare ai rimborsi o devolverli in beneficenza. Ho spedito la mail solo per evitare che quei soldi finissero nel calderone e se li spartissero gli altri partiti (ma non è così, semmai i soldi non riscossi rimangono nelle casse del Tesoro, non vanno agli altri partiti, ndr)». Il grillino emiliano dice di essersi mosso, all’epoca, di comune accordo coi grillini del Piemonte (altra regione dove Grillo ha fatto il boom). Però anche qui non tutto fila liscio. Perché la lista Grillo del Piemonte non è mai stata inserita nei soggetti beneficiari dei rimborsi della Camera, avendo inviato un formale rinuncia, cosa che i grillini dell’Emilia Romagna non hanno fatto. Quindi? Niente, «sono stati più bravi di noi», è la risposta di Favia.

Sarà, ma in molti hanno visto in quest’incidente burocratico (dalla strana tempistica) un pericoloso scivolone per la credibilità dei grillini come anti-Casta. Episodio che si innesta in un momento particolarmente turbolento dei grillini, con accuse di «vecchia politica» o addirittura di «voto di scambio» che volano tra le sedi del Movimento dalla Campania al Nord. Maretta anche per la scelta di Beppe Grillo di registrare a proprio nome (quindi unico titolare con diritto d’uso) il simbolo del Movimento. Molte promesse rischiano di volatilizzarsi.

Come quella che, se eletti, i neo consiglieri (come Favia) si sarebbero ridotti lo stipendio a 1300 euro. Li hanno abbassati di molto, è vero, ma fermandosi comunque a 2500 euro mensili, non 1300. Un rimborso da 200mila euro, dopo le battaglie a colpi di Vaffa contro i partiti, sarebbe stato un autogol clamoroso. Meno male che la stampa se n’è accorta prima che fossero incassati.

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