lunedì 19 luglio 2010
L'ennesimo utile idiota
... come se il burqa non rappresentasse l'islam radicale. Burqa e niqab non sono simboli religiosi. Sono simboli di appartenenza estremista. E non vogliono capirlo. Ricominciamo daccapo, poi si chiedono (questi grandi e importanti prelati) come mai la gente fugge dalle chiese e dalla religione cattolica...
VENEZIA — Divieti di ingresso nei bar, nei ristoranti, nei luoghi pubblici e perfino per strada. La battaglia dei sindaci leghisti contro il velo islamico continua imperterrita. «Una mascherata da vietare» per lo sceriffo Giancarlo Gentilini, una sfilza di ordinanze anche per i sindaci di Montecchio (Vi), Creazzo (Vi), Montegrotto (Pd) o Codogné (Tv), che hanno deciso di multare pesantemente chiunque indossi «indumenti disegnati per nascondere il volto». Ma questa volta sulla questione è intervenuto il Patriarca di Venezia che ha messo in guardia dalle iniziative anti-burqa perché queste operazioni rischiano di «radicalizzare il problema invece di risolverlo».
Così infatti ha detto Angelo Scola in un intervento all’agenzia Reuters di qualche settimana fa e ripreso dalla Misna a proposito delle iniziative anti- burqa alla luce anche della nuova legislazione restrittiva in Francia e in Belgio. Il Patriarca è tornato sull’argomento ieri in prefettura, a margine della visita pastorale, rispondendo alle domande del Corriere Veneto. Quali sono i rischi di una legislazione anti-velo? «La libertà religiosa è integrale o non è . Non s i può rinunciare a questo principio. La questione del velo verrebbe affrontata in modo più equo all’interno del normale ambito sociale piuttosto che con una legge. Non sono un irenista, quindi so che tutto questo implicherà un lavoro lungo, paziente, non privo di fatiche e sofferenze, ma il processo di meticciato e di civiltà in atto è inesorabile». Quali sono le soluzioni per un possibile dialogo interreligioso? «Un criterio che assicuri il diritto inalienabile alla libertà religiosa di ogni persona e di ogni comunità religiosa, senza ridurre questi stessi diritti in altri. La lunghissima tradizione e il peso della cultura cristiana è fuori discussione nelle nostre terre e nel nostro Paese. Le richieste degli altri attori religiosi devono essere valutate partendo dal bisogno reale e dalla consistenza effettiva di quel bisogno». Può fare un esempio? «Quando una comunità musulmana chiede uno spazio per la costruzione di una moschea, si dovrà verificare concretamente se questa richiesta è proporzionata al bisogno effettivo della comunità, quanto grande è la comunità che lo richiede e chi la rappresenta. Bene. Nel dialogo e nel rapporto con le autorità costituitesi dovrà tenere conto di questo, non di altro».
Il dialogo dunque è possibile con il cosiddetto «islam moderato»? «Chiariamo una cosa: la formula "islam moderato" rischia di essere un’espressione vuota. Spesso si tratta di pochi intellettuali occidentalizzati le cui riflessioni possono essere molto interessanti, ma raramente sono espressive del fenomeno musulmano che riguarda un miliardo di persone. Il dialogo va impostato con l’islam dei popoli e quindi in Europa con le comunità islamiche, in modo particolare con i giovani». Il dialogo tra i popoli però è reso più difficile dalle condizioni materiali. La crisi continua aumenta le tensioni. E' stato fatto abbastanza? «La Chiesa offre un senso alla vita, dà indicazioni sulla strada da seguire, ma le scelte in materia economica competono alle autorità e al mondo finanziario. Credo però sia necessaria la mobilitazione di tutti perché la crisi ora sta mordendo la carne delle persone». Oltre alla crisi economica, c’è anche la crisi dell’uomo. Recentemente abbiamo assistito a violenti fatti di cronaca che hanno coinvolto le donne. Come si può intervenire? «Dobbiamo lavorare perché il dolore dia frutto, imparare da queste vicende tragiche che sono prove terribili. Non dobbiamo però troppo rapidamente cercare colpe nella società. Generalizzare è spesso il modo per dimenticare rapidamente e non imparare. Sono fatti che devono farci riflettere sul senso del "bell’amore" che attraverso la virtù della castità consente di integrare la dimensione sessuale nella capacità di tenere in ordine tutto l’io».
Alessio Antonini
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