venerdì 30 luglio 2010

Parlerà agli italiani...

... e il chissenefrega non ce lo mette? Piuttosto spieghi ai suoi elettori il perchè di certe scelte e di certe critiche alla sua stessa coalizione. Spieghi il perchè di certe svolte "sinistre". Spieghi anche perchè ha rotto i coglioni fino a questo punto. Gli italiani hanno votato UN governo ed UN programma che LUI finora non ha voluto rispettare e continua a non rispettare. Se Berlusconi è all'anatema, Fini è alla frutta.


«Siamo all’anatema», dice Gianfranco Fini, evocando lo strumento che veniva usato per risolvere le controversie teologiche e di potere, quando due Papi erano troppi per guidare una Chiesa. Insomma più che un traditore, il presidente della Camera si sente un eretico al cospetto di Berlusconi, del suo «strano modo di concepire un partito liberale di massa», del metodo «assai maldestro» adottato per disfarsi di quello che il Cavaliere considerava ormai un anti-papa. «Parlerò agli italiani», annuncia Fini, che non ha intenzione di lasciare lo scranno di Montecitorio, come il premier gli ha chiesto, imponendo all'Ufficio di presidenza del Pdl di inserire «due righe» nel documento che ha sancito lo scisma. «Va scritto che se ne deve andare dalla Camera», ha intimato ieri mattina Berlusconi. «Ma presidente, non si può fare», lo ha supplicato Ghedini. Niente da fare. «Dica quel che vuole», ha sorriso Fini: «Non mi dimetto. Questo incarico non è nelle sue disponibilità». Ora che il divorzio si è compiuto, ora che il premier parla di «incompatibilità», per l'ex leader di An «non c'è più possibilità di recuperare alcun tipo di rapporto»: «Quello che si poteva fare l'ho fatto».

L'intervista al Foglio è stato l'ultimo gesto, che non è piaciuto a molti dei suoi, e che il presidente della Camera ha spiegato così: «Dovevo evitare che passassi per quello che vuole rompere. Ora però continuare oltre non avrebbe senso, non si farebbero passi avanti. Bisogna pensare a qualcosa di diverso». Perciò sono in gestazione i gruppi parlamentari autonomi che avranno l'inquilino di Montecitorio come punto di riferimento. E siccome nessuno ci aveva pensato prima, ieri sera è iniziato tra i finiani una sorta di referendum sul nome da dargli: «Italia nazione», «Nazione e libertà». La definizione sarà un dettaglio ma i gruppi saranno per Fini una sorta di linea Maginot, molto consistente se è vero che i futuri componenti sono più di trenta: «Berlusconi ha sbagliato i suoi calcoli. Pensava fossimo in pochi. D'ora in avanti — ha avvisato i suoi — vedrete che tenterà di aggredirci, di accerchiarci e poi lentamente di assorbirci, eliminando quella che considera un'anomalia».

Questa linea Maginot andrà vigilata e rinforzata. Per evitare crepe, in un fronte non del tutto coeso, Fini ha ribadito ciò che il fedele Ronchi aveva pubblicamente anticipato: «Saremo leali al governo». Certo c'è una contraddizione tra lo strappo con il premier e la «fedeltà al centrodestra», ma se il presidente della Camera si appella al «patto stipulato con gli elettori», è perché non può permettersi operazioni trasformistiche, non intende farlo, dato che il bipolarismo resta la sua stella polare: «Infatti non ci sarà nessun ribaltone», sottolinea. La sua forza sta oggi nei numeri del gruppo, che soprattutto alla Camera «sarà decisivo, anzi determinante. E condizionerà l'azione di governo. Si tratta di un segnale molto forte, alla faccia di chi sosteneva che contiamo appena l'1,4%... Ma noi non siamo nè saremo mai dei traditori». Così rispedisce al Cavaliere l'accusa, sebbene debba ancora valutare «le conseguenze politiche» della rottura, quali scenari cioè si apriranno di qui in avanti. Perché tra i finiani c'è chi — come il senatore Augello — ritiene che il premier punti alle elezioni anticipate: «Gianfranco, è a questo che mira Berlusconi. La sua maggiore preoccupazione oggi è bloccare le operazione di Tremonti. Se ha deciso di drammatizzare lo scontro con te, lasciando tutti i nodi politici aggrovigliati, è perché pensa di tagliarli con un colpo d'accetta al momento opportuno. In fondo, attaccandoti così, sa che gli renderai la pariglia. E quindi...».

Fini al voto anticipato non ci crede, almeno non ancora. Molte sono poi le variabili da calcolare, i boatos da verificare. Per esempio l'atteggiamento dell'Udc verso il governo, le voci secondo le quali Berlusconi sarebbe pronto a fare una nuova offerta a Casini già a settembre. E ancora l'ipotesi che — in caso di ritorno alle urne — il Cavaliere offra ai centristi un'alleanza «tra partiti», riconoscendogli l'autonomia decisa nel 2008. Inizia per il presidente della Camera una nuova era, piena di incognite e con un fallimento che peserà anche sulle sue spalle. È da vedere se potrà mai riconciliarsi con il premier, che ancora l'altra sera ha confidato: «Quando si tornerà a votare magari lo riprendo, ma ora lo caccio». L'ex leader di An non mai ha digerito questo atteggiamento, però siccome ognuno è un po' berlusconiano a casa propria, ieri Fini ha avvisato tutti i suoi uomini: «D'ora in avanti se qualcuno dice una parola di troppo, lo caccio».

Francesco Verderami

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