venerdì 16 luglio 2010
Giustizia e governi
Riformare la giustizia per liberare il Paese. Ci risiamo, un altro governo rischia il tracollo per via giudiziaria di Tiziana Maiolo
Ci risiamo, un altro governo rischia il tracollo per via giudiziaria. Silvio Berlusconi è in bilico. Ha fatto qualche errore, soprattutto nella scelta dei dirigenti di partito. E anche per non aver incastrato l’opposizione ripresentando la legge sulle intercettazioni già fatta votare a una Camera dal ministro Mastella del governo Prodi. Ma su una cosa ha da tempo l’intuizione giusta: questo Paese non è riformabile, i suoi antichi vizi non saranno mai estirpati, se non si riesce a mettere mano seriamente alla “questione giustizia”. Il che significa prima di tutto scardinare la corporazione dei magistrati (anche rivoluzionando il Consiglio superiore) e poi avviare senza timidezze una riforma del processo penale che si ispiri a quello dell’antica Roma poi fatto proprio dai sistemi anglosassoni. E’ proprio il concetto di “magistratura” che deve sparire ed essere sostituito dai giudici. Tutti gli altri protagonisti, accusa e difesa sono solo avvocati, la cui parola, essendo di parte, come tale dovrà essere trattata. Anche e soprattutto dagli organi di informazione.
Se non si riesce, attraverso una buona riforma, a sciogliere il perenne conflitto tra la magistratura e il mondo politico, ogni governo sarà a rischio e il voto popolare vanificato. La via giudiziaria è proprio l’ultima spiaggia, contro un Silvio Berlusconi che è apparso finora invincibile sul piano elettorale e difficilmente attaccabile con la normale dialettica parlamentare. Non solo perché mai nella storia d’Italia c’era stata una maggioranza numericamente così solida, ma anche perché, una volta tanto, il premier ha potuto contare su una serie di ministri capaci e stimati. Il “fuoco nemico”, cioè quello sparato dai tristissimi partiti delle minoranze, era partito un anno fa in una specie di festival dei guardoni che partiva da Noemi Letizia per arrivare a Patrizia D’Addario e che ci ha intrattenuto per un’estate intera. Il “fuoco amico” del presidente Fini e dello sfasciacarrozze Bocchino ha preferito ascoltare le sirene della gauche-caviar (quella di liberté, égalité, jet privé) e agitare tematiche “politicamente corrette” come il voto agli immigrati, che hanno fatto arrabbiare quel poco che restava del suo elettorato. Ma anche creato difficoltà al governo.
Ed ecco finalmente il vincente coniglietto dal cilindro, la via giudiziaria. Aveva funzionato benissimo all’inizio degli anni novanta per decretare la fine della Prima Repubblica, ma anche come clava contro il ministro di giustizia Clemente Mastella per uccidere in culla il governo Prodi. Non potendo abbattere direttamente Berlusconi, contro il quale diversi procuratori si esercitano fin da quando non era ancora stato eletto né candidato, si applica la politica dell’accerchiamento. Cominciano a cadere ministri, sottosegretari, dirigenti politici. E anche magistrati. La corporazione coglie l’occasione per espungere dalla casta quelli non di sinistra, sospettati di intelligenza con il nemico, l’odiato Berlusconi.
Non conosciamo le carte processuali né i testi delle intercettazioni di questo ridicolo processo che i giornalisti chiamano P3 pur sapendo benissimo che non c’è nessuna loggia massonica inquisita né all’attenzione da parte della magistratura requirente. Non siamo veggenti come l’onorevole Bocchino, il quale sa (lo ha detto a gran voce) che Denis Verdini avrà da impallidire quando ne usciranno altre, di intercettazioni. Ma, anche senza leggere le carte, possiamo fare una facile previsione: l’inchiesta sull’associazione segreta finirà in una bolla di sapone. In sintesi, ci sono alcuni personaggi (il principale è Flavio Carboni) che si danno un gran da fare per piazzare persone nei posti giusti o per fare pressioni su organi istituzionali perché si verifichino determinati eventi. Nulla di ciò che Carboni e i suoi amici auspicano si verifica: il Lodo Alfano viene bocciato, non ci sarà alcuna ispezione al palazzo di giustizia di Milano eccetera.
L’inchiesta conta 14 inquisiti, di cui 4 arrestati. Si spera (ne va della reputazione della nostra magistratura) che non sia vero quel che si dice negli ambienti giornalistici, e cioè che al centro dell’inchiesta ci siano solo delle cene a casa Verdini in cui si facevano chiacchiere e qualcuno millantava regolarmente quel che poi non si verificava. Si spera che i Pubblici ministeri romani abbiano in mano solide prove su appalti truccati e altri gravi reati.
Se non è così, possiamo dire con tranquillità che si tratta del solito pallone che poi si sgonfierà, messo insieme da magistratura politicizzata, “fuoco nemico” e “fuoco amico”. Un pallone che si sgonfierà quando il danno sarà fatto. Un pallone che rischia di produrre una situazione di particolare gravità con l’eventuale caduta del governo nel momento della più grave crisi economica che il nostro paese abbia subìto. Qualcuno se ne prenderà la responsabilità?
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2 commenti:
Tra i commenti dell'articolo ce ne sono due che sono scritti da vere indottrinate!
Ahahah, sul serio? Tanto per cambiare. No?
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