lunedì 30 novembre 2009

Politically correct contro la svizzera

Gli svizzeri contro l'islamismo politico. Non possiamo che trovarli simpatici per questo di Ugo Volli

L'ho detto per la trombatura di D'Al Ulema e lo ridico oggi. Sono contento. Non ho ancora potuto leggere i giornali di oggi, quindi non so se hanno minimizzato o piantato su una tragedia. Ho visto però le prime reazioni, incredibilmente non solo dei "verdi" (bisognerebbe capire di che verde sono, di quello dell'erba o di quello delle bandiere del profeta), di Amnesty international (scusate, che c'entra? non si occupava della tortura?), dell'Organizzazione della Conferenza Islamica (che c'entra, eccome, è la base del futuro califfato), ma anche dei vescovi cattolici. Tutti più o meno hanno suggerito la ricetta che Bertolt Brecht attribuiva nel 1953, durante i grandi scioperi operai contro il regime, al comitato centrale del partito comunista tedesco: "avendo considerato che il popolo non ha fiducia nel governo in carica, il comitato centrale ha deciso di sciogliere... il popolo." Sto parlando naturalmente di quella gran sberla che i cittadini svizzeri hanno dato a Eurabia col referendum sui minareti delle moschee. Col 57 per cento dei voti e la maggioranza in tutti i cantoni salvo quattro, gli svizzeri hanno approvato un emendamento costituzionale che proibisce la costruzione di minareti alle moschee svizzere. Non fatevi ingannare dalla scarsa rilevanza pratica dell'argomento. Il nucleare in Italia è saltato con un referendum che riguardava il finanziamento della costruzione di una singola centrale, ma quella decisione di quasi trent'anni fa – secondo me sbagliata – ha bloccato lo sviluppo della tecnologia nucleare nel nostro paese fino ad ora e probabilmente per altri decenni ancora. Del resto contro il "dettaglio" dei minareti si era mobilitato uno schieramento formidabile: tutti i partiti politici, salvo i promotori dell'Udc-Svp, tutte le chiese, anche la comunità ebraica, il governo, il presidente della Svizzera. E gli elettori, infatti, sentendosi aggrediti, avevano mentito ai sondaggi, facendo credere che solo una minoranza del 30 per cento avrebbe votato a favore. E invece sono stati il doppio. Tutti razzisti? Tutti fascisti? No, è improbabile, sono pacifici svizzeri, affezionati a orologi, mucche pezzate e fonduta – e democrazia; o se volete svizzeri vecchia maniera orgogliosi della loro autonomia e abituati a difenderla con le buone o con le cattive dai tempi di Guglielmo Tell. Comunque gente che non vuole l'islamismo politico in casa: non una religione come tante, ma un sistema di dominio collaudato da quattordici secoli, che ora sembra avere i numeri, la forza e la complicità per sovrastare il vecchio nemico dell'altra sponda del Mediterraneo. In questo voto gli svizzeri si uniscono agli elettori delle ultime elezioni europee, anch'essi universalmente condannati per aver votato per forze "xenofobe e razziste". Su questo punto bisogna intendersi. Fra i nemici dell'Islam ci sono certamente degli autentici partiti razzisti e antisemiti che ricordano quelli degli anni Trenta, per esempio in Ungheria. Ma è abbastanza chiaro che se agli elettori è offerta una scelta elettorale che dica di no alla resa all'islamizzazione ma in maniera democratica e liberale, com'è il caso di Geert Willders in Olanda e di altri movimenti come gli svizzeri che hanno promosso il referendum, i risultati elettorali premiano questi. Se una scelta democratica ma anti-euraraba del genere è preclusa, allora c'è il rischio che prevalgano neofascisti, neonazisti e teppaglia del genere. La risposta peggiore che il sistema politico possa dare alle preoccupazioni evidenti di buona parte dell'elettorato è ignorarle o criminalizzarle, come la stampa usa fare in Italia e come hanno fatto in Svizzera. «L'odierna decisione popolare riguarda soltanto l'edificazione di nuovi minareti e non significa un rifiuto della comunità dei musulmani, della loro religione e della loro cultura. Il governo se ne fa garante», ha affermato per esempio secondo il Corriere della sera il ministro svizzero di Giustizia e polizia, Eveline Widmer-Schlump. Per carità, signora, lo sappiamo tutti che è una scelta estetica, l'islamismo non c'entra, quando mai. Se questa preoccupazione popolare per lo snaturamento e l'arabizzazione delle nazioni europee non trova un canale politico democratico, si rischia davvero di arrivare a rotture violente, di dare spazio a forze pericolose. In una concezione democratica e non leninista o aristocratica o da "stato etico", le forze politiche sono lì per realizzare le scelte dell'elettorato, non per "elevarlo", "educarlo" o spiegargli la "linea giusta", cioè quella che piace ai giornali, ai vescovi o agli opinion leader. Speriamo che questa consapevolezza induca i politici a riflettere e a rinunciare a sognare il loro paradiso multiculturale in terra di Eurabia. Spereiamo per esempio che si affossi una volta per tutte la folle idea di includere la Turchia nell'Unione Europea. Speriamo, ma non ci crediamo troppo. Temiamo semmai per un futuro molto agitato per il nostro malgovernato continente. Ma per ora, rallegriamoci con i vicini svizzeri. Se non altro per la dichiarazione di Tariq Ramadan, che come sapete è cittadino svizzero. La decisione è "una catastrofe", ha detto, «gli svizzeri hanno espresso una vera paura, un interrogativo profondo sulla questione dell'Islam in Svizzera» Non possiamo che trovarli simpatici per questo. Grazie Elvezia.

La Svizzera dice no alla costruzione di nuovi minareti. E in Italia c'è chi lancia accuse infondate di islamofobia. Florilegio di opinioni

Sia chiaro, la religione non c'entra nulla con il referemdum svizzero. Il voto contro l'aperura di nuovi minareti è squisitamente politica. L'islam non è infatti solo una dottrina, ma un sistema politico, che, come tale, si propone un obiettivo politico: la conquista degli infedeli, cioè di tutti coloro che non professano la fede musulmana. Naturalmente, quasi tutta la stampa italiana sposa la tesi del "partito xenofofo", intervista Tariq Ramadan, eleggendolo a difensore della fede, quando è vero il contrario. Ramadan, in buona compagnia con tutti gli imam che governano le moschee,non solo in Svizzera ma anche in Italia, dipende dai " Fratelli musulmani", altrochè leader moderato. Gli svizzeri se ne sono accorti e hanno detto "adesso basta". Il primo stop a Eurabia è arrivato. Aspettiamo fiduciosi i prossimi. Ci saremmo anche aspettati delle dichiarazioni da parte dei musulmani moderati del COREIS, ma non è stato così. Peccato.

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/11/2009, a pag. 1.29, l'articolo di Pierluigi Battista dal titolo "No, bocciata la libertà religiosa", a pag. 3, l'intervista di Gian Guido Vecchi a Giovanni Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano dal titolo "Strumentalizzare le religioni porta sempre frutti velenosi". Dalla STAMPA, a pag. 1-35, l'articolo di Franco Cardini dal titolo "Missili e campanili" e, a pag. 6, l'intervista di Ferruccio Sansa a Izzedin Elzir, portavoce dell'UCOII dal titolo "Se lasciamo i garage, i fanatici diminuiranno". Dalla REPUBBLICA, a pag. 8, l'articolo di Renzo Guolo dal titolo "I timori del contagio" e, a pag. 9, l'intervista di Francesca Caferri a Tariq Ramadan dal titolo "Un risultato scioccante è il trionfo della paura". Ecco gli articoli, preceduti dai nostri commenti:

CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista: "No, bocciata la libertà religiosa"

Pierluigi Battista scrive che questo referendum è "guerra preventi­va ai luoghi della preghiera". Si sbaglia. Il referendum è volto ad impedire la costruzione di nuovi minareti in Svizzera dove, al momento, ne esistono già quattro. Questo non ha nulla a che vedere con la libertà di professare la propria religione in luoghi di culto appositi. Infatti in Svizzera, al momento, esistono 200 moschee e, nel referendum, non si menziona nè l'opzione di eliminarle, nè di bloccare la costruzione di nuove. Ecco l'articolo:

La bocciatura svizzera dei minareti si gloria con nobili intenzioni stilistiche e architetto­niche, come se davve­ro lo splendore autoctono dei la­ghi e delle montagne avesse bi­sogno di essere protetto dall’in­trusione di torri sgraziate. Ma nel referendum svizzero hanno bocciato a maggioranza la liber­tà religiosa. Non la tutela del pa­esaggio, ma la guerra preventi­va ai luoghi della preghiera. Si sentono minacciati, ma han­no fatto di un minareto il quar­tier generale del nemico. Non hanno chiesto il controllo di ciò che viene predicato e agitato nelle moschee. Non si sono ri­bellati a costumi in contrasto con i principi che ci sono più ca­ri, dalla libertà della donna alla separazione tra politica e reli­gione, dalla democrazia all’auto­nomia delle leggi civili dalle pre­tese di un testo sacro. E non hanno nemmeno vellicato un istinto di sicurezza, che in Sviz­zera, per la verità, ha meno ra­gioni di esasperarsi che da noi. No, hanno manifestato un’ostili­tà preventiva e non negoziabile ai luoghi di culto. Hanno identi­ficato nel muezzin che dai mina­reti chiama i fedeli alla preghie­ra il nemico in agguato, il sim­bolo della minaccia, l’aggressio­ne a un’identità culturale. E se c’è un esempio della tanto evo­cata tirannide della maggioran­za, da ieri basta recarsi in Svizze­ra per contemplarne un model­lo. Hanno dato la risposta peggio­re alla minaccia islamista che in­combe sull’Europa, peggiore an­che dell’illusione multiculturali­sta i cui contraccolpi negativi so­no oggi al centro della riflessio­ne autocritica in Gran Bretagna e in Olanda. Se pensavano a una ritorsione per le persecuzioni e le discriminazioni religiose che infestano i Paesi in cui la legge non è che l’applicazione lettera­le e senza scampo della sharia, hanno imboccato la strada più pericolosa. Più pericolosa per le minoranze religiose che nel mondo dell’integralismo islami­co non hanno diritto di parlare, esprimersi, pregare, esporre i simboli del proprio credo. È ov­vio che i primi a rammaricarsi per il risultato svizzero siano sta­ti i vescovi: non si può risponde­re con i divieti a chi considera un reato punibile con la morte il semplice possesso di un croce­fisso. Non è con l’ostruzioni­smo che dovrebbe impedire la costruzione di un minareto che si possono salvare le chiese al­trove saccheggiate e bruciate, o avere più a cuore la sorte degli ebrei e dei cristiani che sono co­stretti alla clandestinità della lo­ro fede. Il divieto di minareto è inutil­mente offensivo, controprodu­cente. E colpisce il bersaglio sbagliato. Schiaccia i più mode­rati nelle braccia degli oltranzi­sti. Suscita risentimenti e vitti­mismi. Offre gratuitamente ar­gomenti a chi parte per l’Euro­pa con intenzioni ostili. Scam­bia catastroficamente la religio­ne con la politica. Anziché chiedere conto agli islamici dei loro comportamenti, li umilia osta­colando le loro preghiere. Inve­ce di esigere che tutto si svolga alla luce del sole, ricaccia nel­l’ombra chi vuole solo pregare e non ha intenzione di unirsi ai nemici dell’Occidente che consi­derano l’Europa terra di infedeli da combattere. Non c’è niente di male nella co­struzione di una moschea (che in Svizzera sono già duecento, peraltro) o di un minareto. Il male è che le moschee diventi­no luogo di reclutamento del verbo fondamentalista, e que­sto male è destinato a inasprirsi dopo il referendum svizzero. Il male non è la libera preghiera, ma il velo islamico non libera­mente scelto ma imposto da au­torità onnipotenti, padri padro­ni, mariti prepotenti. Non è il suono del muezzin, ma l’osten­tazione di un’ostilità minaccio­sa, come quella che ha cono­sciuto Milano quando, in gesto di sfida, si inscenò la genufles­sione islamica davanti al sagra­to del Duomo. Si capisce che alcuni esponenti della Lega esultino per il risulta­to svizzero. Si capisce un po’ me­no che siano seguiti da chi inve­ce non ha fatto della purezza et­nico- religiosa la propria bandie­ra. Che dovrebbe battersi per la reciprocità della libertà religio­sa e perché sia garantita l’inte­grità delle chiese e delle sinago­ghe, la sacralità dei luoghi di culto ovunque essi siano. Il re­sto è solo paura, terrore cieco. Ma la paura fa commettere erro­ri imperdonabili. Anche se espressi a maggioranza. Anche se la democrazia smarrisce se stessa, se non tutela le minoran­ze. Comprese quelle che prega­no in modo diverso.

CORRIERE della SERA - Gian Guido Vecchi: "Strumentalizzare le religioni porta sempre frutti velenosi"

Nel corso dell'intervista, Vian fa notare un aspetto interessante : "trovo un po’ ridicolo che ora i Verdi vogliano ricorre­re per i minareti alla Corte di Strasbur­go: la stessa che vorrebbe togliere i Cro­cifissi". In ogni caso, non condividiamo la sua visione di reciprocità. Quello che descrive lui, è un idillio (inesistente) fra cristianesimo e islam. Nei paesi islamici la libertà di culto per le altre religioni non è garantita. In ogni caso, come già scritto nella critica a Battista, facciamo notare che, in Svizzera, non è in gioco la libertà di culto, ma il blocco della costruzione di nuovi minareti. Due cose diverse. Ecco l'intervista:

CITTÀ DEL VATICANO — «Bisogna stare attenti, a strumentalizzare le reli­gioni. È una cosa che ha sempre portato frutti cattivi, velenosi». Giovanni Maria Vian, direttore dell’ Osservatore Roma­no , riflette pacato sulla genesi del refe­rendum, prima ancora che sul risultato: «Premesso che c’è il pieno rispetto del voto popolare, come del re­sto hanno detto le autorità ci­vili e religiose svizzere, trovo molto interessante ciò che ha osservato alla Radio Vati­cana monsignor Felix Gmür, segretario generale della Con­ferenza episcopale svizzera: non siamo riusciti a fare ab­bastanza per spiegare che era un referendum da respinge­re. Una sorta di autocritica che dobbiamo fare tutti, reli­giosi e non».

Autocritica in che senso, professo­re? «Ci sono già state iniziative del gene­re, di carattere politico estremistico, ad esempio in Austria. Una campagna mol­to aggressiva, giocata sulla paura, che purtroppo ha fatto breccia».
È preoccupato di ciò che può accade­re? «Di per sé, in Svizzera, non mi pare che cambi granché dal punto di vista della libertà di culto o religiosa: le mo­schee ci sono, i quattro minareti che esi­stono resteranno e del resto non vengo­no usati per il culto. Il problema è simbo­lico, più che altro».
La paura degli elettori, pe­rò, è reale… «Viene posto il problema della presenza dell’Islam, un tema che è sotto gli occhi di tutti e va affrontato con gran­de prudenza, tendendo pre­sente che la libertà di culto in Europa è fuori discussione. Per questo è interessante la reazione dei vescovi svizzeri: la pura deplorazione avrebbe poco senso. Rischierebbe di essere percepita come la reazione di una élite lontana dalle preoccupazioni della gente. È giusto invece dire: non siamo riusciti a far capire cosa c’è in ballo».
Che cosa? «Per i cattolici la religione è anche un fatto pubblico. Tra l’altro, trovo un po’ ridicolo che ora i Verdi vogliano ricorre­re per i minareti alla Corte di Strasbur­go: la stessa che vorrebbe togliere i Cro­cifissi. La propaganda contro i minareti, comunque, è contraddittoria da parte di quelle forze che a volte si appellano a pa­role d’ordine vuote».
Tipo la difesa della cristianità agita­ta dagli estremisti politici? «Tipo. C’è da ricordare che a Roma, simbolo della cristianità, a metà degli anni Settanta fu proprio il vescovo della città, Papa Paolo VI, ad acconsentire che si desse il via libera alla costruzione del­la moschea più grande d’Europa. Ma non c’è solo questo».
Che altro? «In ballo c’è anche la libertà dei cri­stiani nei Paesi islamici».
Il problema della reciprocità. C’è chi dice: se i Paesi islamici non danno li­bertà di culto, bisogna reagire con du­rezza. «No, come diceva l’arcivescovo Anto­nio Maria Vegliò: Gesù non si è compor­tato così. Questo non significa ignorare i problemi. I problemi vanno visti e af­frontati».
Già, ma come? «La cosa fondamentale, nei rapporti con l’Islam e tra Islam e cristianesimo, è il rifiuto dell’uso violento della religio­ne. È una menzogna ateistica sostenere che i monoteismi sarebbero di per sé violenti. Nella tradizione islamica, d’al­tra parte, c’è un problema non risolto nel rapporto tra religione e politica. Ec­co perché Benedetto XVI dice che biso­gna confrontarsi sulle radici culturali, ri­correndo ad un elemento comune come la ragione, il logos».
Ma è possibile, in concreto? «L’uso distorto e violento della reli­gione fa vittime anzitutto nei paesi isla­mici. In tema di reciprocità, è importan­te la visita che in questi giorni il cardina­le Jean-Louis Tauran sta facendo in Indo­nesia: dove si respira un’aria diversa da quella che soffia dai venti di intolleran­za. Lì sembra esserci un Islam maggiori­tario ma di tendenza moderata. Direi che la reciprocità si possa intendere in questo senso: una sfida comune a favori­re la tolleranza e la libertà di culto ovun­que».

La STAMPA - Franco Cardini: "Missili e campanili"

Cardini cerca di capovolgere la realtà nel suo articolo, giocando sull'assurdo. Un campanile in Svezia non la rende papista, un tempio ebraico a New York non fa degli States uno Stato ebraico, è tutto vero, ma c'è una differenza fra le religioni citate da Cardini e quella islamica. Le prime non hanno velleità di conquista del mondo, nè parlano di Jihad. I terroristi di oggi non sono integralisti cattolici o buddhisti, ma islamici. I minareti e le moschee, spesso, diventano centri di reclutamento fuori controllo per terroristi. Leggendo l'articolo di Cardini sembra che in Svizzera l'islam sia stato messo al bando, che non sia più possibile professare una fede diversa da quella cattolica. Non è così. Esistono circa 200 moschee. Nessuno ha intenzione di abbatterle, nè di bloccare la costruzione di nuove. Il referendum riguarda i minareti. Per questo non vediamo in esso l'umiliazione di "molte decine di migliaia di credenti rifiutando loro un simbolo di libertà religiosa". Per saperne di più su Cardini, leggere il libro di Alexandre Del Valle "Rossi, neri e verdi", ed. Lindau. Ecco l'articolo:

Non c’è bisogno di aver letto Landscape and Memory (1995) di Simon Schama sulla storia del paesaggio per sapere che ambienti e landscapes si modificano col tempo. Anche e soprattutto grazie all’opera dell’uomo: e che poco c’è in essi di puramente «naturale», niente di definitivamente «bello». Agli antichi elvezi, probabilmente, le torri e i templi dei romani sulle prime non piacevano affatto; e, agli elvezi romanizzati, non dovevan garbare granché i campanili. Che quindi qualche minareto avrebbe davvero compromesso l’armonioso paesaggio svizzero, con i suoi laghi e i suoi pascoli, è lecito dubitare. Le ragioni del «sì» degli abitanti della felice Confederazione Elvetica al referendum sul bando alla costruzione delle torri da cui si chiamano i musulmani alla preghiera debbono essere anche altre. «Simboli del potere islamico», è stato detto. Ma quale potere? Un campanile cattolico in Svezia significa forse che quel Paese è passato al papismo? I templi buddhisti di New York simboleggiano il passaggio degli States alla fede in Gautama Siddharta? E la monumentale sinagoga di Roma significa forse che la Città Eterna è in mano agli ebrei? «Niente minareti se non c’è reciprocità», ha cristianamente sentenziato qualcuno. Ma di quale reciprocità si tratta? Di campanili cristiani molti Paesi musulmani abbondano: dalla Turchia alla Siria alla Giordania all’Egitto all’Algeria; e il fatto che il re dell’Arabia Saudita ne vieti la costruzione autorizza forse moralmente gli svizzeri a negare un minareto a una comunità musulmana fatta di turchi o di maghrebini, che col monarca wahhabita non hanno proprio nulla a che fare? Ma le moschee sono fonte d’inquinamento fondamentalista, proclama qualcun altro. Dal che s’inferisce che l’unico modo per controllare e contrastare il fondamentalismo sia quello di umiliare molte decine di migliaia di credenti rifiutando loro un simbolo di libertà religiosa. E’ arrivata a questo, la nostra regressione verso l’intolleranza? Giratela come volete: ma il risultato del referendum svizzero è un altro tassello nell’allarmante puzzle della perdita delle virtù di tolleranza e di ragionevolezza di cui l’Europa e il mondo occidentale stanno dando di questi tempi prove sempre più chiare. E che questa febbre sia grave è prova il contestuale rifiuto, opposto dal medesimo popolo svizzero, all’altro referendum, che gli chiedeva il divieto dell’esportazione di armi e materiale bellico al fine di sostenere lo sforzo internazionale per il disarmo. Qui, di fronte a ovvi motivi di ben concreto interesse economico, il popolo per definizione più pacifico d’Europa - ma anche quello militarmente parlando meglio esercitato - ha rifiutato di arrestare il «commercio di morte». E’ vero, le armi fanno male alla gente. Ma in fondo anche il tabacco e gli alcolici: e allora perché non continuarne produzione e vendita, magari con l’apposizione di qualche scritta d’avvertimento (tipo: «Sparare al prossimo fa male anche a te»)? C’è del metodo, in questa follia. Curioso che il minareto somigli dannatamente a un missile, o anche a un bel proiettile lucente di fucile. I Mani di Charlton Heston, ex Mosè, ex Ben Hur, che tra 1998 e 2003 fu presidente dell’americana National Rifle Association, ne saranno estasiati. Lo ricordate, senescente eppur fiero della sua armeria simbolo di libertà, nel Bowling for Columbine di Michael Moore? Chi oggi esulta per l’esito del doppio referendum svizzero può prendere il vecchio Charlton a emblema del suo trionfo. A questo punto, per il momento, è arrivata la nostra notte.

La STAMPA - Ferruccio Sansa: "Se lasciamo i garage, i fanatici diminuiranno"

Izzedin Elzir, portavoce dell'UCOII, sostiene che "Anche per combattere questi eccessi sarebbe utile costruire nuove moschee (...) se abbandonassimo le sale avvilenti, quasi clandestine, usciremmo verso una realtà aperta. Se ci sentissimo accettati perderebbe terreno l'esasperazione". Più moschee e minareti, meno terrorismo. Come no. Non comprendiamo questa relazione. E ci chiediamo, se essa è veritiera, come mai il terrorismo islamico sia nato in paesi islamici, fondamentalisti e dove il dialogo interreligioso è inesistente. Ecco l'intervista:

Izzedin Elzir, lei è portavoce dell'Ucoii, l’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia. Nel nostro Paese fioriscono i progetti di moschee: sono davvero essenziali per la vostra comunità? «Sì, sono il luogo dove un musulmano fa le cinque preghiere. Molto di più: qui si insegnano religione e cultura. Si impara un modo di vivere e di convivere».
Gli attuali luoghi di preghiera non sono sufficienti? «Non ce la sentiamo più di pregare in garage e scantinati, non degni della nostra comunità, che umiliano e avviliscono».
Gli italiani, però, temono il diffondersi di luoghi di culto estranei alla fede cattolica e alla fisionomia delle città. «L'Italia è un Paese civile, bellissimo. Il nostro popolo, gli italiani intendo, crede fermamente nei diritti degli uomini e nella libertà religiosa».
Molti temono il diffondersi del fondamentalismo. «Anche per combattere questi eccessi sarebbe utile costruire nuove moschee».
E' sicuro? «Sì, se abbandonassimo le sale avvilenti, quasi clandestine, usciremmo verso una realtà aperta. Se ci sentissimo accettati perderebbe terreno l'esasperazione».
L'atteggiamento delle comunità islamiche verso gli estremisti non è a volte ambiguo? «Cerchiamo di isolare chi propaganda la guerra».
Accettereste di parlare italiano nelle moschee? «La predica del venerdì si fa già in arabo e in italiano. Non tutti i musulmani parlano arabo, la lingua ufficiale dell'Ucoii è l'italiano».
Non sarà facile convincere tutti, soprattutto la Lega. «Siamo aperti al dialogo. La Lega ha una posizione dura, ma c'è rispetto. Il confronto è l'unico strumento».
C'è chi sfiora il razzismo. «A me non piace fare la vittima. E' vero, l'islamofobia è diffusa, ma si risolve lavorando con tutti. Abbiamo un intenso dialogo interreligioso».
Come sono i rapporti con la Chiesa? «Ottimi. La Chiesa non è contro la costruzione dei luoghi di culto. Chi crede rispetta la fede degli altri».

La REPUBBLICA - Renzo Guolo: "I timori del contagio"

La posizione di Guolo è espressa dalla descrizione che fa dei partiti che hanno promosso il referendum: "destra xenofoba e nazionalista svizzera". Per Guolo essere realisti e arginare il fenomeno di islamizzazione dell'occidente significa essere islamofobi. Ecco l'articolo:

Uno stop che non riguarda la libertà di culto, incomprimibile nello spazio europeo anche fuori dall´Unione, ma la dimensione simbolica della presenza islamica nel paese. Con il referendum, tipica modalità della democrazia diretta elvetica, la destra chiedeva una modifica costituzionale che vietasse l´edificazione di nuovi minareti, definiti espressamente "simbolo di imperialismo politico-religioso". Affermazione che rivela come il nodo del contendere, che va oltre i confini della Confederazione e conferma come la forma del conflitto in Europa assuma, sempre più, i tratti del conflitto sui valori, sia ormai la visibilizzazione dell´islam nello spazio pubblico. Visibilizzazione negata, nel tentativo di marcare gerarchicamente il territorio attraverso l´espulsione di dimensioni simboliche, siano esse il minareto o il velo, considerate minacciose per l´identità locale declinata in chiave religiosa o etnica. Battaglia che la destra xenofoba e nazionalista svizzera e le correnti evangeliche più legate al cosiddetto "sionismo cristiano", movimento diffuso negli Usa che nell´islam vede un ostacolo alla realizzazione messianica della loro apocalittica dottrina, conducono in nome di un identità cristiana iperpolitica, che prescinde dalle posizioni delle leadership delle confessioni maggioritarie. Tanto che mentre i proponenti chiedevano di inserire il divieto in Costituzione, come misura «atta a mantenere la pace fra i membri delle diverse comunità religiose», le altre confessioni osteggiavano apertamente tale indicazione. La stessa Chiesa cattolica giudicava la vittoria del "sì" un ostacolo sulla via dell´integrazione e del dialogo. Icona di un cristianesimo senza Cristo, quella veicolata dalla destra cristiana xenofoba, in Svizzera come altrove, che tende a impugnare la Croce sottraendola alle Chiese, accusate di non interpretare il vero «sentire del popolo, spesso oscillanti tra il timore per la loro presa in un Continente secolarizzato e religiosamente plurale e l´opposizione alla discriminazione verso gli immigrati». Un voto, nonostante i troppo ottimistici pronostici contrari, in continuità con alcuni referendum del passato e con gli orientamenti emersi nelle ultime elezioni politiche. Anche se nella circostanza l´oggetto non era tanto, o solo, l´immigrazione proveniente dai paesi islamici, il 5% della popolazione, circa quattrocentomila persone, ma la rigerarchizzazione delle culture e delle religioni per via politica. Un voto destinato a rilanciare, anche lontano dalle rive del Lemano e più vicino a Chiasso, le polemiche sui luoghi di culto islamici; oltre che l´idea che la libertà religiosa, inscindibile dalla possibilità di edificare luoghi di culto, possa essere oggetto di pronunciamento popolare, magari a livello locale e senza più dover mascherare il quesito dietro a vaghe motivazioni estetiche o urbanistiche. Come se i diritti fondamentali fossero disponibili al giudizio della mutevole maggioranza del tempo. Un pronunciamento che deve far riflettere anche quanti ritengono l´integrazione dell´islam nelle società europee un corollario del nuovo pluralismo religioso e culturale che le caratterizza. I generici appelli al dialogo e al riconoscimento del pluralismo non bastano più per fronteggiare le derive xenofobe: servono pragmatiche politiche pubbliche capaci di produrre insieme coesione, sicurezza e libertà. Il "si" svizzero obbliga, infine, gli stessi musulmani a pensarsi meno in termini di comunità e più in termini di individui. Trasformazione che presuppone anche il superamento di posizioni e leadership tese a mantenere rigidamente coese le comunità; mentre il progredire dell´interazione con le società europee, vero antidoto alla politica esclusivista invocata da attivi imprenditori politici della xenofobia e favorita dallo stesso riflesso di chiusura di leadership che perseguono l´autoghetizzazione comunitaria per proteggere i musulmani dalla "contaminazione" con l´ambiente "impuro" circostante, implica un´apertura destinata a metterle in secondo piano. Scelta che implica l´accettazione di un islam europeo, lontano dai canoni di tradizioni o neotradizioni che, a torto o a ragione, appaiono agli autoctoni foriere di minacce.

La REPUBBLICA - Francesca Caferri: "Un risultato scioccante è il trionfo della paura"

Tariq Ramadan scrive: "I musulmani devono smettere di cercare di essere invisibili e inserirsi invece nel dibattito a tutti i livelli: parlare di ecologia, così come di economia. Le società europee dovrebbero essere più coraggiose: discutere di emarginazione, di disoccupazione, di povertà. Sono questi gli elementi che possono creare futuri nemici dentro all´Europa, non la religione". Musulmani invisibili? Se fossero tali, non avrebbero moschee e in Svizzera non si sarebbe sentita la necessità di bloccare la costruzione di minareti. Tariq Ramadan guarda con orgoglio alla Spagna, dove è appena stato fondato un partito islamico: "L´Europa deve mostrare fiducia nei confronti dei suoi stessi cittadini. Servono programmi coraggiosi, partiti coraggiosi: se il dibattito resta in mano ai partiti populisti le cose non miglioreranno". Tariq Ramadan si maschera da moderato ma, di fatto, teorizza l'islamizzazzione profonda dell'occidente mediante "il radicamento delle comunità musulmane all´interno della realtà europea". La prossima proposta quale sarà? Convertire in massa e obbligatoriamente gli infedeli? Tagliare la gola agli atei? Frustare e impiccare gli omosessuali e le donne che rifiutano il velo? Ecco l'intervista:

«Un risultato scioccante». Tariq Ramadan, uno dei massimi esperti di Islam europeo, controverso sostenitore della necessità di un radicamento delle comunità musulmane all´interno della realtà europea, reagisce così ai risultati del referendum in Svizzera. Un paese che conosce bene, perché è quello in cui risiede quando non insegna a Oxford o gira per conferenze nel resto d´Europa.
Scioccante perché, professor Ramadan? «Perché i sondaggi davano solo il 30% di supporto a questa iniziativa, e invece sono stati smentiti. E perché il risultato dimostra che i partiti più estremisti sono quelli che stanno guidando il dibattito sull´Islam in Europa. Succede in Svizzera, ma anche in Olanda e da voi in Italia. Si sta facendo leva sulla paura della gente per far passare il messaggio che l´Islam non è compatibile con la società europea. E questo è scioccante».
Dunque siamo di fronte a un fenomeno che va oltre i confini svizzeri… «Sì, certo. Guardiamo alla questione del velo in Germania, a quella delle scuole in Italia: il problema vero è quello della nuova visibilità delle comunità musulmane. Qualunque segno - un vestito, il colore della pelle, un simbolo religioso, una sala di preghiera - diventa un problema. C´è in Europa la paura costante che ciò che è diverso possa cambiare il continente».
Cosa si può fare per cambiare questo atteggiamento? «Io penso che il problema stia in entrambi i fronti. I musulmani devono smettere di cercare di essere invisibili e inserirsi invece nel dibattito a tutti i livelli: parlare di ecologia, così come di economia. Le società europee dovrebbero essere più coraggiose: discutere di emarginazione, di disoccupazione, di povertà. Sono questi gli elementi che possono creare futuri nemici dentro all´Europa, non la religione. L´Europa deve mostrare fiducia nei confronti dei suoi stessi cittadini. Servono programmi coraggiosi, partiti coraggiosi: se il dibattito resta in mano ai partiti populisti le cose non miglioreranno. Perché puntano solo alla contrapposizione».
Vede una responsabilità della comunità musulmana in questa mancanza di dialogo? «Sì certo. I musulmani non hanno finora lavorato abbastanza per far ascoltare la loro voce e far capire le loro posizioni».
Si aspetta qualche forma di violenza ora? «No, non in Svizzera. E francamente non in Europa. Quello che temo è piuttosto che i grandi paesi a maggioranza musulmana prendano delle posizioni dure. Le manifestazioni di rabbia avrebbero conseguenze politiche pesanti. Non arriveremo a nulla in questa maniera».

10 commenti:

Andrea ha detto...

A sentire la stampa sinistrorsa e filo-islamica viene da vomitare.

Se Ramadan dice che è una catasrofe, vuol dire che siamo, anzi per il momento, purtroppo, sono (gli Svizzeri), sulla strada giusta.

REFERENDUM ANCHE DA NOI !

CarloMartello ha detto...

Troppo poco. REFERENDUM SULL'IMMIGRAZIONE. Perché quando gli islamici saranno la maggioranza il referendum lo rifaranno e lo vinceranno, anzi non ci sarà nessun referendum...

CarloMartello

Andrea ha detto...

Non sono d'accordo, anche Lenin saggiamente (dal suo ABERRANTE punto di vista), restrinse le aspettative al comunismo " ora e subito " in Russia, senza inseguire la chimera dell'esportazione nel mondo.
Lo fecero, si, ma in seguito.

Copiamo le strategie del nemico... serve un segnale, un punto di svolta, un " precedente ".
Il resto arriverà dopo, a tempo debito.

La strada l'hanno aperta gli Svizzeri, seguiamoli !

Massimo ha detto...

La maggioranza degli Italiani voterebbe come gli Svizzeri. Per questo motivo hanno paura delle idee e carcano di imporre il bavaglio con la scusa del "razzismo", della "xenofobia", della "omofobia" e, in questo caso, della "islamofobia".
Ma alle idee non si può mettere il bavaglio. Al massimo si costringeranno quelli che le diffondono ad essere più prudenti e ad usare mezzi alternativi, che comunque raggiungono il bersaglio, come si è visto in Svizzera, dove una canea buonista più ampia della "gioiosa macchina da guerra" di ochettiana memoria, è stata battuta da un solo partito che ora + definito pudicamente "nazional-conservatore", ma fino a ieri era detto estremista e xenofobo.

Nessie ha detto...

Per ora dico: Grazie Elvezia! Ti sei mostrata all'altezza del tuo Guglielmo Tell. Avanti così...

Eleonora ha detto...

Si anche io per il momento ringrazio la svizzera... sempre sperando che non venga annullato quel bel voto.

Intanto, in francia, Bernard Kouchner, si dice “un pó scandalizzato” del voto svizzero, che é secondo lui “un’espressione di intolleranza". Aggiungendo anche che se non si possono costruire dei minareti, vuol dire che ”si opprime una religione”. Chiudendo poi in bellezza dichiarando: “spero che gli Svizzeri faranno marcia indietro su questa decisione, é una espressione di intolleranza e detesto l’intolleranza”.

Eleonora ha detto...

Massimo, ovvio che la maggioranza degli italiani voterebbe come gli svizzeri. Il "popolo bue" comincia ad aprire gli occhi.

Mefisto, di Ramadam da buona stronza lo pensavo anche io. Se quello lì dice che è un disastro, allora significa che va più che bene. ;)

CarloMartello, si, anche io vorrei (e l'ho espresso mi pare in un commento del post precedente) un referendum sull'immigrazione; divieto di costruzione di nuove moschee e blocco dell'immigrazione selvaggia.

Andrea ha detto...

Si ma questa volta non bisognerebbe lasciarli soli, gli Svizzeri, come è stato fatto con l'Irlanda e con la Repubblica Ceca, a fronteggiare il felliniano circo Barnum della UE & soci.

Certo che se si pensa solo al petrolio di Gheddafi non si va da nessuna parte...

Eleonora ha detto...

Mefisto, tutto quello che prendiamo dai paesi arabi, mi pare che viene pagato a caro prezzo. Ma col petrolio, gas o altre cose, non abbiamo obbligo di prenderci pure la marmaglia. Comunque concordo con te sul fatto di non lasciarli soli... il problema è che il governo ci ha già pensato. Il Pdl si è espresso. -_- Ovvio che il popolo italiano poi la pensa diversamente. Ma più di pensare non si può fare.

Nessie ha detto...

Mefisto però dice la verità. "Non lasciarli soli" significa che la Lega deve prendersi la responsabilità di fare il diavolo a quattro contro quelli della "cittadinanza breve" (5 anni e ius soli per gli immigrati) e del voto agli immigrati. Anche a costo di venire a fare il pranzo di Natale in Parlamento. Infatti il disegno del du Granata-Sarubbi verrà lanciato il 21 e 22 dicembre. Cioè sotto Natale. Ed è una bastardata!
E che, per il momento, la Lega lasci perdere le croci sulla bandiera. O meglio, prima si IMPEDISCE la faccenda (per me più grave) della cittadinanza e del voto agli immigrati. Poi si penserà a mettere croci sui drappi e bandiere. Ma prima si deve dare l'ALTOLA' e lo STOP.