sabato 28 novembre 2009

Logiche da pentapartito

Nasce il Barroso II: poltrone per tutti nella nuova Commissione Europea di Giovanni Marizza

Se al gioco del lotto esistesse la ruota di Bruxelles, sarebbe il caso di giocare il 27. Ieri, infatti, 27 novembre 2009, sono trapelati i nomi dei componenti della nuova Commissione Europea, il “governo” del Vecchio Continente guidato dal portoghese Josè Manuel Barroso al suo secondo mandato. La somiglianza con l’italiano governo Spadolini II del 1982 è impressionante: 27 commissari ha l’esecutivo europeo e di 27 ministri disponeva il governo italiano di 27 anni fa. Identiche anche le motivazioni: accontentare non solo tutti i partiti, ma anche tutte le provenienze geografiche. Né 27 anni fa in Italia servivano 27 ministri, né oggi in Europa servono 27 commissari: la metà sarebbe più che sufficiente. Il fatto è che l’Unione Europea è costituita da 27 Paesi membri e, pur di accontentarli tutti, si dà un commissario a testa. E già questo fatto è grottesco, perché se Malta e il Lussemburgo (pur con tutto il dovuto rispetto per Malta e il Lussemburgo) dispongono di un commissario esattamente come la Germania, la Francia e il Regno Unito, significa che c’è qualcosa che non va. Inoltre, pur di accontentare tutti i Paesi membri, in Europa vengono escogitate competenze bizzarre e fantasiose all’insegna delle duplicazioni e degli sprechi, come il Commissario ai media, quello agli aiuti umanitari o quello alle misure antifrode. C’è anche un Commissario all’unione doganale, uno per lo sviluppo rurale, un altro per la concorrenza. Ma ce n’è pure uno dedicato agli affari marittimi, uno alla politica regionale, un altro per la tutela dei consumatori (non bastava quello dell’antifrode?) e addirittura un Commissario per il multilinguismo. Proprio come nell’Italia pentapartitocratica del 1982, quando - pur di sistemare adeguatamente tutti i partecipanti al banchetto - si istituiva un ministero per il bilancio, uno per le finanze e un altro per il tesoro. Ce n’era uno per la pubblica istruzione e uno per la ricerca. Uno per il lavori pubblici, uno diverso per i trasporti e uno ancora per l’industria, il commercio e l’artigianato. Uno per il lavoro e la previdenza sociale e uno per la sanità. Un dicastero per la funzione pubblica e un altro per le partecipazioni statali. Uno per il turismo e spettacolo e un altro, differente, per i beni culturali e ambientali che sono notoriamente meta dello stesso turismo di cui sopra. Ma soprattutto ce n’era uno per le Regioni (comprese, ovviamente, quelle del Mezzogiorno) e uno diverso per il Mezzogiorno, costituito dalle medesime regioni anzidette. L’apoteosi dello spreco. E se fosse servita un’ulteriore poltrona, non si sarebbe esitato a spacchettare, chissà, magari il ministero di grazia e Giustizia (strano Paese, quello che antepone la grazia alla Giustizia!). Ma almeno nell’Italia della prima repubblica governava la maggioranza, mentre nell’Europa del terzo millennio governano tutti, sia il Partito Popolare che ha stravinto le ultime elezioni europee, sia il Partito Socialista che le ha straperse. La neonata Commissione europea, infatti, è composta da personaggi scelti (dai governi nazionali, non da Barroso che si limita a prenderne atto) probabilmente anche per la loro competenza professionale, ma prima ancora per la loro appartenenza politica. Proprio come il governo Spadolini del 1982, che in base all’infallibile manuale Cencelli annoverava fra le sue folte schiere 12 ministri democristiani, 8 socialisti, tre socialdemocratici, due repubblicani e un liberale, a loro volta scelti in modo da accontentare tutte le correnti e sottocorrenti. E non era finita lì: oltre ai partiti e alle correnti, anche le provenienze geografiche dovevano essere rigorosamente rispettate. Ecco allora che le regioni più popolose e rappresentative esprimevano più ministri (quattro al Lazio, tre ciascuno a Lombardia e Piemonte), quelle di medio calibro (Sicilia, Puglia e Toscana) ne avevano due ciascuno e le altre si dovevano accontentare di uno solo. Una cosa squallida e deprimente, sì, ma sempre meglio dell’Europa odierna, che assegna un commissario a ciascun Paese, indipendentemente dal fatto che gli abitanti di quel Paese siano decine di migliaia o decine di milioni. In Italia, inoltre, le provenienze geografiche dovevano essere rispettate con l’accortezza di non far rappresentare la stessa regione da personaggi del medesimo partito. E così il Piemonte, che di ministri ne aveva tre, era rappresentato da un democristiano, un socialdemocratico e un liberale, che per un tocco di raffinatezza politico-geografica provenivano uno dal nord della regione (il novarese Nicolazzi), uno dal centro (il torinese Altissimo) e uno dal sud (il cuneese Bodrato). Solo i farmacisti e gli equilibristi del circo Orfei riescono a fare meglio. Poche sono le differenze sostanziali fra il Barrosum Secundum e lo Spadolinum. Una consiste nel fatto che il secondo governo di Spadolini durò, secondo la triste usanza del tempo, solo tre mesi (settembre, ottobre e novembre del 1982), mentre l’esecutivo europeo resterà in carica, a meno di imprevedibili tegole, per i prossimi cinque anni. Un’altra differenza sta nel fatto che in quel governo italiano di 27 anni fa i ministri erano tutti uomini mentre oggi Barroso dispone anche di nove commissarie donne. Sì, perché la lobby trasversale femminile del parlamento europeo era giunta a minacciare la sfiducia alla Commissione se il numero delle commissarie non fosse stato superiore a quello della Commissione uscente. Infatti prima erano otto, ora sono diventate nove: il ricatto ha funzionato.

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