lunedì 30 novembre 2009

Opinioni

Che cosa c'è dietro il no della Svizzera ai minareti. Perché la confederazione elvetica ha votato contro i simboli musulmani di Marina Valensise

Non verranno più costruiti minareti sul suolo svizzero. Il referendum di domenica, voluto dal fronte conservatore composto dall’Svp, dalla destra populista dell’Udc e della destra cristiana dell’Udf, si è stato approvato con oltre il 57 per cento dei voti. La proposta di inserire il divieto di costruire nuovi minareti in Svizzera ha ottenuto anche la maggioranza del voto dei cantoni (22 su 26) e comporterà la modifica dell’articolo 72 della Costituzione, che regola i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose: il divieto sarà inserito come una misura “atta a mantenere la pace fra i membri delle diverse comunità religiose”. Non si sono fatte attendere le reazioni internazionali. Per il ministro degli Esteri svedese e presidente di turno dell'Ue, Carl Bildt, il rifiuto alla costruzione dei minareti è “un segnale negativo” e il Consiglio d’Europa parla di “grande preoccupazione”, così come il ministro degli Esteri, Franco Frattini, si dice “preoccupato”. Il Partito popolare svizzero aveva raccolto centomila firme in un anno e mezzo per ottenere che la questione fosse sottoposta al voto perché l’erezione di torri o torrette collegate alle moschee era rinenuto il simbolo di una “rivendicazione di potere politico-religiosa”. I sondaggi degli ultimi giorni indicavano che la strada sarebbe stata quella del rifiuto, con il 53 per cento degli intervistati che si schierava per il no. La campagna che ha preceduto il referendum è stata animata e tacciata di razzismo: una moschea di Ginevra è stata danneggiata e lo stesso presidente della Confederazione, Hans-Rudolf Merz, si è rivolto alla nazione con un messaggio per dire che “ai musulmani dovrebbe essere garantito il diritto di praticare la propria religione anche in Svizzera, ma nelle valli elvetiche non echeggerà il canto del muezzin”. Contro il divieto, giudicato discriminatorio e pericoloso, si erano schierati il governo e la maggioranza dei partiti. Ma non erano solo i problemi di carattere religioso a preoccupare il governo svizzero. Già prima del voto, il Consiglio federale svizzero, organo esecutivo del governo della Confederazione, si è espresso contro l’iniziativa dell’Svp, giudicato discriminatorio e pericoloso, e che rischia di danneggiare i rapporti della Svizzera con il mondo arabo. La confederazione svizzera, infatti, ha molti investimenti nei paesi mussulmani e le multinazionali elvetiche hanno scelto di schierarsi contro o non prendere una posizione sul tema. L’esito del voto svizzero ha più un carattere ideologico che pratico. In tutti i cantoni, infatti, si contano solo quattro moschee con l’annesso minareto, mentre solo circa 200 i luoghi di culto musulmani. Il primo minareto svizzero è stato costruito nel 1865 a Serrie’re (Neuchatel) da Philippe Suchard, magnate del cioccolato e appassionato di architettura orientale, ma era solo ornamentale. La prima vera moschea con minareto è stata eretta nel 1963 a Zurigo, poi sono seguite quella di Ginevra, di Winterthur e di Wangen bei Olten. Nessuno di questi minareti è utilizzato per chiamare i fedeli alla preghiera, perché sono applicate le disposizioni sull’inquinamento acustico. In Svizzera solo il 5 per cento della popolazione è musulmana e la maggioranza proviene da Bosnia, Kosovo, Macedonia e Turchia. Nessuna sorpresa, invece, per gli altri due quesiti referendari. E’ stata respinta con il 68 per cento dei voti la proposta di vietare le esportazioni belliche, mentre il decreto che stabilisce di destinare all’aviazione civile le risorse ricavate dalle tasse sul traffico aereo è stata approvata dal 65 per cento dei votanti.

E in effetti, con il no ai minareti, gli svizzeri hanno detto che non si vive senza identità... alla faccia di chi vuole creare il nuovo ordine mondiale e cancellare le identità.

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