giovedì 26 gennaio 2012

Conflitto d'interesse? Si, ma non ditelo a nessuno


I mmaginate il figurone che avrebbe fatto, dando le dimissioni subito. Coro di elogi: finalmente uno che non ci prova neanche a tenere i piedi in due scarpe! Non lo ha fatto, purtroppo. Anzi, ha chiesto all'Antitrust: devo proprio lasciare la presidenza del Cnr? Così, giorno dopo giorno, il ministro Francesco Profumo ha finito per dar l'impressione, gli piaccia o no, di volersi tenere quella sedia di riserva. Come si tiene di riserva la «morosa vecia», non si sa mai, in attesa di vedere come va la nuova.

La legge 193 del 2004, in realtà, pare chiara. All'articolo 2 dice che «il titolare di cariche di governo, nello svolgimento del proprio incarico, non può (...) ricoprire cariche o uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate in enti di diritto pubblico». E gli dà, all'articolo 5, scadenze precise: «entro trenta giorni dall'assunzione della carica di governo, il titolare dichiara all'Autorità garante della concorrenza e del mercato (...) le situazioni di incompatibilità». Dopo di che, se proprio ci fosse qualche dubbio interpretativo, «entro i trenta giorni successivi al ricevimento delle dichiarazioni di cui al presente articolo, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni provvedono agli accertamenti...» eccetera eccetera. Profumo, accolto con dichiarazioni di pubblica stima da una larga parte del mondo della politica, della scuola e dell'università, ha giurato in Quirinale il 16 novembre. I primi 30 giorni sono scaduti il 16 dicembre, i secondi 30 giorni il 15 gennaio. Da allora ne sono passati un'altra decina. Senza che venisse fatta chiarezza.

Un mucchio di tempo, per un governo così rapido e operativo in altre decisioni da riuscire, nel giro di un paio di settimane dall'insediamento, a cambiare la prospettiva di vita e di pensione a milioni di persone. Un mucchio di tempo. Trascorso senza che l'esecutivo mostrasse su questo punto (come sulla scelta della trasparenza assoluta delle ricchezze immobiliari e finanziarie, dei vitalizi e delle prebende, dei voli blu e altro ancora) la fretta e il decisionismo sventolati in altri settori. Al punto che lo stesso titolare della Pubblica istruzione e dell'Università, incalzato dai giornalisti dopo che il tempo era già scaduto e mentre sul Web divampava la protesta dell'Usi e altri sindacati del pubblico impiego e dei ricercatori che si riconoscono nel sito «articolo 33.it», ha insistito: «Sto aspettando la risposta dell'Antitrust». In ogni caso, ha aggiunto, «da quando sono stato nominato ministro è stato nominato un vicepresidente al Cnr che se ne occupa e c'è pure un sottosegretario che ha la delega».

Peccato. Peccato perché, se anche non ci fosse una legge che ai comuni mortali sembra assolutamente ovvia, quelle due poltrone sono così platealmente incompatibili che pare perfino impossibile (e anche un po' umiliante) dovere ricordare come controllore e controllato, in un paese normale, non possano coincidere nella stessa persona non solo per due mesi abbondanti ma neanche per due minuti. E stupisce che un uomo di statura professionale e scientifica, non il solito vecchio occupatore sudaticcio di poltrone clientelari, possa immaginare che sia sufficiente la scelta di «autosospendersi» dalla presidenza del Consiglio nazionale delle ricerche. Come se non si rendesse conto di quanto la riluttanza a mollare la prestigiosa poltrona avuta soltanto pochi mesi prima di diventare ministro stia pericolosamente rosicchiando la sua credibilità agli occhi di chi cerca nella politica delle figure diverse, limpide e generose in cui credere e riconoscersi.

Peccato per lui, peccato per il mondo della scuola affamato di punti di riferimento dopo la contestatissima stagione di Maria Stella Gelmini, peccato per il Cnr. Il quale, come spiegava giorni fa Massimo Sideri sul «Corriere» rivelando lo spinosissimo atto d'accusa della Corte dei conti contro gli sprechi del nostro massimo istituto di ricerca, ha bisogno di essere rovesciato come un calzino. Sono anni che, mentre ragazzi di genio come il romano Alessio Figalli erano costretti ad andare a conquistarsi a 26 anni una cattedra di matematica all'università texana di Austin o come il fisico milanese Alessandro Farsi erano spinti a trasferirsi nella newyorkese Cornell University per scoprire il «mantello dell'invisibilità», il Cnr continua a ingrigirsi e ingobbirsi. Basti ricordare gli stupefacenti rincorsi al Tar contro la decisione ministeriale di fissare un'età massima di 67 anni (sessantasette!) per quanti volevano concorrere per i rari posti di direttore d'istituto lasciati finalmente liberi dalla più stravecchia e imbullonata struttura dirigente che mai un ente di ricerca abbia avuto nella storia del pianeta. Una situazione inaccettabile.

Possiamo rassegnarci, come ha denunciato mille volte Salvatore Settis, a regalare agli altri paesi i nostri figli migliori che vanno a vincere la maggior parte dei concorsi internazionali mentre il Cnr, a torto o a ragione, assomiglia pericolosamente sempre più a un carrozzone dove, dicono i giudici contabili, solo il 31% dei soldi finisce nelle strutture scientifiche e tutto il resto se ne va, scriveva Sideri, negli «stipendi del consiglio d'amministrazione, delle segreterie, dei dirigenti amministrativi e della burocrazia centrale»? No. Mai e poi mai. Francesco Profumo è restìo a mollare perché è convinto di avere lo spessore giusto per risanare, appena possibile, il Consiglio Nazionale delle Ricerche? Magari ha addirittura ragione. Ma certo la decisione di restare lì appeso come un caciocavallo a un parere dell'Antitrust non rafforza lui, né il CNR «decollato» (al di là delle perplessità su certe scelte squisitamente politiche ai vertici...) e men che meno il governo al quale appartiene. È impossibile, infatti, che la scelta non venga interpretata dai maliziosi così: si vede che in fondo in fondo non è poi sicuro che Monti duri a lungo...

Gian Antonio Stella

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