sabato 21 gennaio 2012

Monti tecnici e liberalizzazioni topini

Monti: un altro brodino di Marco Cavallotti

Chissà perché, io mi ero messo in testa che le liberalizzazioni fossero un'altra cosa, e che dovessero costituire il contesto, l'ambiente, nel quale i vigorosi tagli alla pletorica e sconclusionata spesa pubblica potessero risultare meno dolorosi, aprendo la strada ad una maggior libertà di iniziativa. Comprendevo le preoccupazioni di chi ripete che i tagli alla spesa pubblica significano anche – soprattutto – tagli all'impiego, con il dramma sociale che ne può conseguire: e dunque ero ben lieto che si cercasse di evitare che la burocrazia asfissiante e un sistema di controlli totalizzanti e insieme inefficienti soffocassero sul nascere ogni tentativo di respirare aria nuova, di mettere in piedi attività libere alternative.

Ho ascoltato il sermone serotino del premier, e sebbene nulla di chiaro e di preciso sia stato detto ho scoperto che né tagli, né liberalizzazioni davvero significative sono all'ordine del giorno. Partiamo dai grandi assenti: i tagli, che potrebbero essere associati alle dismissioni utilizzate per riportare a livelli accettabili il debito pubblico – ma non si è parlato neanche di loro. I tagli sarebbero ovviamente il risultato di un processo di ridefinizione e di forte riduzione dei compiti dello Stato, e di contestuale ripensamento delle tabelle degli organici, con sistemazione in ruoli ad esaurimento del personale in esubero. Un processo non certo brevissimo, né per la sua progettazione, né per la sua esecuzione – la riduzione del personale sarebbe graduale e seguirebbe il ritmo dei pensionamenti –: un processo che darebbe tuttavia, questo sì, la sensazione di un cambio di passo: e come è noto la speculazione internazionale è capacissima di cogliere i segnali veri – anche se ad effetto in là nel tempo – e di distinguerli da quelli che corrispondono a pure e semplici pezze messe lì per spostare il problema di qualche mese. Quanto alle privatizzazioni, ho la sensazione che si tratti per lo più di provvedimenti amministrativi, come ho già scritto : aumentare il numero dei notai non ha molto a che fare con la liberalizzazione del notariato; consentire l'apertura di alcune centinaia di farmacie non significa liberalizzarne l'apertura – e in fondo queste misure riguardano poche migliaia di persone –; permettere al benzinaro dettagliante di acquistare benzina dove gli pare va benissimo, ma la decisione influirà ben poco su prezzi che sono costituiti in gran parte da tasse, delle quali alcune, per giunta, legate ad eventi catastrofici che nessuno nemmeno più ricorda.

Insomma, mi pare che queste liberalizzazioni siano istituite per decreto, con altre nuove norme, invece che con la semplice soppressione dei mille lacci e vincoli che frenano la nostra attività economica. Si dirà che per questo ci vorrebbero convinzione ed entusiasmo: una sorta di nuovo contratto con gli Italiani nel quale risultino chiari una prospettiva e un futuro, in un contesto globalizzato che divorerà e annichilirà coloro che non sapranno concepire un mondo diverso da quello che stancamente stiamo cercando di conservare ormai fuori tempo massimo. Ci vorrebbe politica, e grande politica, mentre un governo “tecnico” sta palesandosi sempre più inadeguato alla drammaticità del momento. Un governo tecnico che ha avuto un effetto dirompente sulla già malandatissima politica e sui partiti, ormai boccheggianti: ma una democrazia malata non si cura strozzandola. Quando si scriverà la storia di questi anni turbolenti, si dovranno ricordare i ruoli assunti da chi era investito di responsabilità, non sapendo riformare con un sistema elettorale che ci ha espropriato della possibilità, pur esigua, di scegliere; annichilendo le competenze; “svuotando” un parlamento pletorico e inconcludente, al punto da farlo rimpiangere; cercando fuori da esso – e fuori dal sistema di selezione democratico – quelle capacità che tutti dovrebbero saper riconoscere come primariamente “politiche”.

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