martedì 3 gennaio 2012
Le caste ingrassano, gli altri si ammazzano
Roma - Due imprenditori in Sicilia, un agricoltore nelle Marche, un pensionato a Bari. Vite e storie diverse, ma per tutti lo stesso cupo finale: tra Capodanno e ieri si sono tolti la vita, colpiti dalla crisi, piegati dal peso dei debiti, spezzati dall’ansia di non farcela, consumati dalla disperazione. Michele Calì allevava polli a Santa Venerina, ai piedi dell’Etna, ma non è riuscito a far quadrare i conti tra usurai e controlli dei nuclei anti-sofisticazione, così ieri ha deciso di spararsi un colpo alla tempia. Roberto Manganaro, 47 anni, insieme al fratello era titolare di una «storica» concessionaria di moto, fondata dal padre mezzo secolo fa a Catania. Da un po’ soffriva di depressione, ma a far precipitare le cose è stata la disastrosa congiuntura economica. Come quasi ovunque nel mondo anche per loro gli affari sono precipitati. Il fatturato aziendale è crollato, e i due fratelli alle prese con i bilanci traballanti hanno dovuto licenziare qualche dipendente. Per Roberto, che li considerava «familiari aggiunti», il colpo è stato durissimo, il dolore insopportabile si è confuso col suo male esistenziale. E la notte di Capodanno l’imprenditore siciliano si è imbottito di barbiturici e si è ucciso impiccandosi. Se Manganaro è la vittima di «una società mangia-tutti», secondo il sacerdote che ha celebrato il suo funerale tra le lacrime dei parenti, l’agricoltore marchigiano di Montefiore dell’Aso che ieri s’è impiccato in un magazzino è vittima della paura. L’uomo, 54 anni, molti spesi a lavorare nelle campagne intorno a Fermo, non aveva debiti da capogiro né sulle spalle il peso di famiglie che dipendevano da lui per sbarcare il lunario, eppure negli ultimi mesi si era trasformato. Amici e parenti dicono che fosse «ossessionato dalla crisi», un’ansia che è cresciuta alla fine dell’anno, trasformandosi in paura. Paura di non farcela ad attraversare indenne quel 2012 in odore di recessione. Paura forse irrazionale, almeno nel suo caso, ma incontrollabile. E fatale. La stessa angoscia che ha travolto il pensionato barese di 74 anni che tra Natale e Capodanno ha trovato nella cassetta delle lettere, tra le cartoline d’auguri, una missiva dell’Inps che gli chiedeva di restituire 5mila euro in rate mensili da 50. Per lui, che di pensione intascava appena 700 euro al mese, quel piccolo debito è diventato un tarlo capace di corroderlo e di togliergli il sonno. Ne ha parlato con il fratello, con gli amici e con un medico che gli ha prescritto dei tranquillanti. Non sono serviti. Il primo gennaio, a ora di pranzo, l’uomo ha aperto una finestra affacciata sul cortile interno del suo palazzo nel centro di Bari, si è arrampicato sull’infisso e si è lasciato cadere, schiantandosi al suolo. Tre storie, ma non certo tre casi isolati. Negli ultimi mesi in tanti, in troppi, soprattutto imprenditori, tra la fatica e l’ansia di tirare la cinghia e la disperata via d’uscita di tirare le cuoia hanno scelto la seconda strada. Anche quando a schiacciarli non erano solo i debiti, ma paradossalmente, crediti con la pubblica amministrazione impossibili da riscuotere. Come per Giovanni Schiavon, l’imprenditore edile padovano che a metà dicembre si è sparato alla tempia dopo aver atteso, invano, l’arrivo di 200mila euro che gli servivano per non spedire in cassa integrazione i suoi dipendenti per Natale.
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