domenica 15 gennaio 2012

Il fallimento del dio monti


Finora Mario Monti era stato applaudito, riverito, lodato. E lui si era illuso che la sua strada fosse in discesa. Le sviolinate dei giornali producono effetti euforizzanti. Ma un conto è la realtà virtuale, un altro è quella del marciapiede. Adesso il premier si sarà accorto che i festeggiamenti ricevuti erano soltanto attestati di fiducia preventiva, incoraggiamenti gratuiti, una generica approvazione delle sue buone intenzioni. Nulla di più.

I sogni di gloria sono finiti. Il declassamento subìto venerdì dall’Italia, passata in un baleno dalla serie A alla serie B, è un segnale: il miracolo non è avvenuto. Al contrario, il nostro Paese si avvicina di più alla Grecia che non alla Germania. La terapia teutonica Monti si è rivelata una stregoneria alla Wanna Marchi. Se un fallimento simile fosse toccato all’esecutivo di centrodestra, Berlusconi sarebbe stato linciato. Forse qualcuno avrebbe chiesto per lui la fucilazione cautelare e predisposto la seconda edizione di Piazzale Loreto. Al Cavaliere per mesi, addirittura anni, furono attribuite le colpe di tutto, anche della crisi internazionale, delle bolle finanziarie, della disoccupazione, dello sfilacciamento delle istituzioni, del debito pubblico. Ora che Monti ci ha trascinati in fondo al burrone, dopo averci promesso il paradiso, i signori commentatori di pronto intervento non osano aprire bocca. Sono imbarazzati. E lui, il premier, lo è più di loro. Ci ha ammazzato di tasse, ma non ha cavato un ragno dal buco. Ha preso in mano il Paese malato con l’impegno di guarirlo e invece gli è rimasto paralizzato sotto i ferri.

Secondo le agenzie di rating l’Italia è in coma.Prognosi infausta. Ci si aspettava una reazione dal bocconiano sobrio. Nulla. È stato sobriamente zitto. Zitto lui e muti i suoi sostenitori sprovveduti. L’uno e gli altri sono attoniti, increduli; forse hanno capito - speriamo - che la tragedia nazionale è una appendice di quella europea, che l’epicentro del sisma finanziario non è Roma, ma Bruxelles, dove regna il marasma senile di un’Europa velleitaria che si ostina a difendere un euro ubriaco e inidoneo, per ovvie ragioni, di servire e rappresentare una ventina di Paesi. Bisognerebbe rassegnarsi all’evidenza: se i governi sono diversi, come possono avere una moneta in comune? Più le cose sono semplici e meno entrano in testa alla gente, specialmente quella che si dà arie professorali.

Non è mai successo che un tecnico abbia raddrizzato una azienda storta. Figuriamoci se un gruppetto male assortito di docenti è in grado di rivitalizzare una nazione amministrata coi piedi per quaranta e passa anni. Una nazione che ha considerato Giulio Andreotti il miglior fico del bigoncio democristiano, il Pci un partito affidabile (al punto da essere votato da oltre un terzo degli elettori), la Costituzione sorta dalle ceneri del fascismo un dogma imprescindibile, il sindacato un esercito in difesa dei lavoratori, la Chiesa un punto di riferimento politico ( non solo morale). Una nazione che si è data un welfare senza avere i soldi per pagarselo e ricorrendo al debito pubblico allo scopo di finanziarlo; che ha dato pensioni a chi avesse lavorato 15 anni, 6 mesi e un giorno; che continua a dare pensioni a ciechi che scorrazzano in Bmw; che assicura assistenza sanitaria a tutti, inclusi gli evasori fiscali mascherati da poveri; che ha scambiato l’impiego pubblico per un ammortizzatore sociale; che ha il più alto numero di enti inutili e di auto blu.

E ci fermiamo qui per carità di patria. Poi arriva un certo Berlusconi che vuole fare la rivoluzione liberale e la magistratura cerca di ammanettarlo in tutti i modi e, poiché non ci riesce, lo sottopone a un processo dietro l’altro costringendolo a difendersi e impedendogli di governare, di avere la lucidità per farlo. Ma arriva anche un certo Romano Prodi che ci massacra di tasse per farci entrare nella moneta unica, che si rivelerà una potente fregatura. Infine arriva perfino Mario Monti, l’uomo della provvidenza con la frusta fiscale in pugno e ci flagella. Risultato: dalla A retrocediamo alla B. Se anziché un premier fosse stato un allenatore di calcio lo avrebbero già cacciato. Non soddisfatto, il bocconiano si lancia nelle liberalizzazioni. E chi mette sotto per primi? Quei ricconi di tassisti e di edicolanti e di benzinai. Perché lui l’equità ce l’ha nel sangue. Se i parcheggiatori non fossero quasi tutti abusivi liberalizzerebbe anche loro. Potrebbe ripiegare sui lavavetri e le mignotte di strada, trascurando quelle delle banche che sono in odore di santità. Se questo è il salvatore, chi ci salva da lui?

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