giovedì 12 gennaio 2012

Cinesi a Roma (evasione fiscale e criminalità)


Iniziamo subito col dire che lascia increduli sentire il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, voler dedicare una via ai due cinesi, padre e figlia, uccisi da due rapinatori nordafricani a Roma. Su che basi un sindaco decide di fare qualcosa del genere, per quello che è solo e soltanto un fatto di cronaca violenta, come molti altri, nella stessa Roma o altrove? Cosa c'è di così particolare e speciale in questo episodio rispetto ad altri? Perché non dedicare una via, ad esempio, a Roma o altrove, a chi muore nell'indifferenza dello Stato (si pensi ai suicidi tra gli imprenditori o tra i disoccupati italiani)? E aggiungiamo che Giorgio Napolitano, attuale Presidente della Repubblica, mica cotiche!, è accorso al capezzale della moglie del cinese ucciso, a ulteriore dimostrazione di una eccezzionalità inquietante e paradossale. Tutto dovuto alla morte anche della neonata? Non sembra, però, che si tenda a sottolineare questo. Oppure...

Oppure, seguite i soldi. Si è già parlato del fenomeno dei Money Transfer. Qualcuno indagherà su questo aspetto e anche sulla famiglia degli uccisi e sul perché girassero con tutti quei soldi? Ma non è solo a quello che ci riferiamo. Il fatto che si mobilitino tanto alcune autorità cittadine e nazionali, così come una città come Roma venga rivoltata da cima a fondo per trovare due marocchini, non è dovuto ad una bambina uccisa, ma al potere economico della comunità cinese. Potere che è stato lasciato crescere, in varie realtà locali italiane (Roma, appunto, oppure Prato o Milano, ecc.), senza controlli, senza presenza dello Stato, senza indignazione dei più: quella degli Alemanno e dei Napolitano, che è l'ennesimo segno di una classe dirigente italiana che è sempre meno autorevole e sempre meno italiana. Un consiglio: per la realtà romana, tenete ben presenti, in particolare, i primi due articoli che seguiranno, risalenti ad un anno fa.

Il reportage/ Un rione in provincia di Shanghai (Nino Cirillo, Il Messaggero, 20 aprile 2011):

L’Esquilino, il quindicesimo rione di Roma - e soprattutto uno dei suoi sette colli, il che gli conferisce la formidabile patente di socio fondatore - oggi è tutto e il contrario di tutto. E’ Piazza Vittorio linda e pinta, riqualificata come dicono i sociologi, ma è anche un quartiere dove se per caso hai bisogno di un ferramenta puoi anche andartelo a cercare fuori del Raccordo. E’ il nuovo mercato al coperto di via Principe Amedeo che piace e funziona, ma è anche questo occhieggiare timido di bandiere tricolori accanto alle insegne di qualche negozio o alle finestre di qualche palazzo, come a dire «qui ci siamo ancora noi, gli italiani». E’ la scuola elementare «Federico Di Donato» di via Bixio, celebrato esempio di multiculturalità, una specie di laboratorio etnochic perché gli intellettuali del quartiere fanno la fila per iscriverci i loro figli e farli crescere insieme ai cinesini, ai rumeni , ai pakistani, ma è anche uno sgommare di Mercedes nere, la sera, con al volante certi cinesi in completo gessato che fanno tanto Chicago Anni ’30. Ecco, l’Esquilino è tutto questo e molto altro ancora. Sicuramente non è posto per comprar casa, gli affaroni degli Anni ’80, quando la piazza era in mano ai coatti e ai nigeriani, quando le facciate dei palazzi non erano mica quelle ridipinte di oggi, sono un ricordo: un appartamento può tranquillamente costare fra i cinque e i seimila euro a metro quadro, prezzi da centro storico come gli altri. Di sicuro è in mano ai cinesi che ci abitano almeno in ventimila, chi in qualche scantinato e chi invece ai piani alti dei palazzi dopo aver realizzato costose ristrutturazioni, perché anche tra loro le differenze sociali ci sono. Di sicuro hanno cominciato almeno vent’anni fa quest’invasione silenziosa e si può dire oggi che l’opera sia compiuta. I nigeriani che incendiavano le notti con bottiglie e coltelli, anche quelli, sono un ricordo. Adesso ci sono questi negozi tutti in fila, tutti con doppio nome -quello scritto con i nostri caratteri è sempre improbabile, da Victex a Elexa, da Kosmo Lupo a Love Yonk-, tutti a vendere le stesse scarpe e gli stessi abiti, ma se per casi entri ti sparano prezzi astronomici o ti rivelano che non hanno la taglia. L’impressione è che si tratti, nei migliori dei casi, di show room, di locali che usano solo per esporre la merce e venderla poi all’ingrosso. C’erano file di tir, infatti, nei primi tempi, ed erano soprattutto spagnoli. Da lì si capì che questi cinesi instancabili - tutti alla fine provenienti da un’area a sud di Shanghai - avevano riempito i palazzi di montagne di merce, merce ovviamente infiammabile, e fra gli italiani che allora erano ancora in tanti scoppiò una mezza rivoluzione. Oggi i depositi di merce dei cinesi sono tutti fuori del Grande Raccordo Anulare. La leggenda vuole - perché c’è sempre una leggenda a illuminare i passaggi della Storia - che sia stato un vero e proprio patto, agli inizi degli Anni ’90, a decidere le future sorti dell’Esquilino. Un patto fra i cinesi arrembanti e i vecchi commercianti ebrei del quartiere. Gli ebrei traslocarono senza problemi perché nel patto era previsto che a loro sarebbe toccata tutta la zona di San Giovanni, tutto l’inizio dell’Appia.

E così fu. Comincio un’operazione a tappeto. I cinesi si presentarono con buste di plastica stracolme di banconote a ogni fornaio, a ogni ciabattino, davanti a ogni piccola merceria, a offrire sostanziosissime buonuscite. Anche due-trecento milioni di vecchie lire a botta, e fecero in poco tempo piazza pulita. Poi passarono alle case, un appartamento dopo l’altro, un palazzo dopo l’altro. In questa sistematica occupazione degli spazi hanno lasciato le briciole, e le hanno lasciate tutte ai bengalesi che gestiscono in un regime praticamente di monopolio il nuovo mercato di frutta e verdura. Provare per credere: non sono rimasti più di due o tre, in tutto il mercato, i banconi nostrani. Ma allora perché i vigilantes? Com’è nata questa storia delle ronde pagate dai commercianti cinesi in un quartiere che, al di fuori di un breve tratto di via Principe Amedeo, dove gli africani continuano a ubriacarsi e far scoppiare risse, non desta più preoccupazione di altri? Possibile che qualche scippo (viaggiano sempre con tanto contante addosso e i rumeni lo sanno) li abbia convinti a prendere un’iniziativa così clamorosa? Non se ne riesce a cavare molto bussando all’Associazione del commercio italo-cinese, al 35 di via Bixio. Anzi, si ricava un bell’esempio di quanto restino lontani da noi. Avete letto il Messaggero, com’è la situazione dell’ordine pubblico nel quartiere? «Spiacenti, non possiamo dirle nulla fino a quando non avremo la traduzione dell’articolo in cinese». La sensazione che resta è che in questa storia delle ronde non siano d’accordo neppure fra loro. Proprio in via Principe Amedeo, comunque, ce ne sono due di queste guardie giurate, stanno impazzendo attorno a una mappa di negozi perché i numeri sono i nostri ma i nomi sono in carattere cinese. Vi sembra normale questo pattugliare le strade? Loro non si scompongono: «L’abbiamo fatto anche a Tor Bella Monaca e nessuno si è scandalizzato». Ma neanche qui nessuno si scandalizza. «In fondo stiamo meglio anche noi rispetto a vent’anni fa - confessa l’architetto Titta Pagliarulo, Caronte di questo piccolo tour, uno che la sua casa in via Turati l’acquistò nel lontano 1985 - tutto il quartiere è migliorato. E loro, i cinesi, davvero non creano problemi. All’inizio passavano e non salutavano, e credevamo fossero maleducati. Invece, molto più semplicemente, continuano a non conoscere una parola d’italiano». Nel frattempo, sotto un palazzo di via Ricasoli, uno di quelli che gli alti burocrati sabaudi scelsero come residenza romana dopo l’Unità, uno di quei palazzi dall’inconfondibile stile piemontese, stanno cominciando, accompagnate da una discreta eccitazione, le riprese di un film. Come se non bastasse quello che s’è appena visto.

Roma, insegne e banche fantasma: l'Esquilino e i milioni sporchi dei cinesi (Elena Panarella, Il Messaggero, 20 Aprile 2011):

Nessuna insegna, doppie vetrate e una microspia nascosta. Apparentemente sembrano delle attività commerciali chiuse. Ma all’interno c’è un grosso movimento: di soldi e persone. Per entrare viene utilizzata una sorta di parola segreta. Tanta segretezza nasconde vere e proprie banche fantasma, gestite da cittadini cinesi. Il tesoro dell’Esquilino, quartiere dove i capitali che si accumulano sempre di più fanno gola alla malavita e devono perciò essere difesi. Non è un caso se in questi giorni siano arrivate le ronde gestite da società private di vigilanza e pagate dai commercianti. Che si tratti di un circuito parallelo di banche, lo confermano le indagini della Guardia di Finanza. Solo alcuni mesi fa ne ha scoperte due in via Turati e in via Cairoli. Poco tempo prima, ne avevano chiuse altre quattro. Per tutte sono contestate le medesime irregolarità: mancato rispetto delle norme bancarie, spiegano i finanzieri senza però aggiungere di più visto che le indagini sono ancora in corso. Gli stessi residenti, attraverso il comitato di quartiere Esquilino Sicuro, hanno fatto una serie di segnalazioni alle forze dell’ordine in merito «a questi strani movimenti». Ma perché non vengono utilizzate le banche vere? Perché versare in questi strani palazzi migliaia di euro? Forse perché è più facile eludere, rispetto al canale bancario, i presidi antiriciclaggio e, conseguentemente, ostacolare l’individuazione dell’origine dei fondi?

Intanto una cosa è certa: il governo italiano ha fissato una nuova limitazione per i trasferimenti di denaro tramite servizio Money Transfer (quello solitamente utilizzato dalle comunità straniere), ed è quindi possibile inviare all’estero un massimo di mille euro ad operazione. Insomma se fino a poco tempo fa era possibile inviare all’estero presso paesi non Ue altre somme di denaro, ora un nuovo emendamento riduce questa possibilità a versamenti fino a 1.000 euro, per cifre che dovessero superare tali soglie scatterebbero in automatico i controlli e monitoraggi da parte della guardia di finanza. E allora ecco che c’è chi ricorre a banche fantasma. Una realtà nota al Commissario della Sicurezza del I Municipio Roma Centro Storico, Augusto Caratelli: «Si tratta di una situazione molto delicata - spiega - Furgoni blindati, portavalori, con tanto di uomini armati fino ai denti prelevano in anonimi negozi buste contenenti somme di denaro di commercianti cinesi che operano proprio nel rione, gli stessi residenti del comitato difesa «Esquilino Caput Mundi» denunciarono questi movimenti e la guardia di finanza ne ha chiusi almeno sei. Ma perché i commercianti cinesi versano somme di denaro in anonimi negozi senza scritte e quindi senza titolo così come prevede la normativa italiana? - prosegue Caratelli - La banca d’Italia è informata su tali oscure attività di riscossione e trasporto di valori? Si tratta di realtà che una volta chiuse riaprono con una ragione sociale diversa e il giro non viene mai interrotto. Vengono versati dai 500mila euro fino a un milione a settimana e le rapine che subiscono non vengono denunciate anche perché i soldi versati probabilmente arrivano anche dal commercio di merce contraffatta». «Solo pochi mesi fa - spiega il presidente della Commissione Sicurezza del Campidoglio - avevamo affrontato questa tematica e inviato una serie di proposte per contrastare i disagi vissuti quotidianamente dai residenti del quartiere, innanzitutto per la ipertrofica concentrazione di decine di attività cinesi e bengalesi, svolte in vecchi magazzini o garage, che creano situazioni di insicurezza soprattutto nelle vie interne del territorio. Le misure adottate finora non bastano. Lo confermano le notizie sulla presenza all’Esquilino di banche cinesi fantasma».

Esquilino, ronde armate per negozi cinesi - I commercianti si tassano: troppe rapine (Elena Panarela, Il Messaggero, 19 aprile 2011):

Esquilino, quartiere multietnico, strade colorate di sete, negozi e odori orientali, vetrine spoglie e insegne sbiadite, viavai di giovani di ogni nazionalità. Un quartiere però che negli ultimi anni ha visto un escalation di rapine, sequestri, estorsioni. E anche omicidi. E tanti, tanti soldi che girano. L’Esquilino è anche questo. Ecco perché l’associazione commerciati cinesi, che raggruppa molti dei negozianti e imprenditori cinesi di Roma, ha deciso di correre ai ripari. E per sentirsi più sicura ha fatto scendere in campo le sue ronde. Uomini armati, vigilanti esperti della Mib Security e Service, che percorreranno in lungo e in largo le strade dell’Esquilino. Ogni pomeriggio, dalle 15 alle 20, controlleranno vie e negozi, entreranno nei locali, e chiederanno ai proprietari «se hanno notato qualche persona strana o hanno avuto dei fastidi», spiega un vigilante. Alla chiusura dei negozi, faranno in modo che tutto fili liscio quando il commerciante abbassa la saracinesca e torna a casa con l’incasso. Perché è questo un momento molto a rischio, racconta chi lavora dietro i banconi da una vita. Queste ronde sorveglieranno oltre 300 negozi cinesi. Perlustreranno la zona in coppia o a bordo di una Smart e saranno riconoscibili dalle fasce rosse che indossano, sopra la divisa, con la scritta in italiano e cinese: «Confederazione sicurezza della comunità cinese di Roma». E se l’esperimento risulterà efficace sono previsti anche dei cani al guinzaglio degli agenti. «Così vogliamo proteggere le nostre attività. E’ da un po’ di tempo che non ci sentiamo sicuri, e allora siamo corsi ai ripari. Per troppo tempo si è parlato di ronde cittadine, resta il fatto che noi pagando di tasca nostra vogliamo tornare a casa senza paura», spiega Lee Wang, che lavora in un negozio di piazza Vittorio. Ora si tratta di un progetto sperimentale, che proseguirà per tutto un mese, «ma vedremo cosa succede in questi giorni e studieremo la cosa».

«Hanno subito molti furti e rapine negli ultimi tempi, per non parlare dell’aumento della microcriminalità - spiega il proprietario della Mib Security e Service, Amedeo Pantanella - hanno bisogno di sentirsi sicuri è per questo che ci hanno interpellato. Siamo partiti in via sperimentale per trenta giorni, giusto il tempo di pianificare bene orari e percorsi, anche se in queste settimane abbiamo fatto una serie di monitoraggi». E poi aggiunge: «I nostri uomini, in servizio a piedi e in macchina, raccoglieranno notizie utili da trasmettere alle forze dell’ordine. Passeranno nei negozi per verificare se tutto prosegue per il meglio, questo servizio è comunque una sorta di deterrente». E chi lavora nei negozi e negozietti marcati Chinatown rigetta con forza l’accusa di «realtà senza regole - spiega Huxian Wu che vende magliette e felpe - Non siamo tutti uguali, la delinquenza è ovunque. Non ha nazionalità. E poi noi viviamo qui da tanti anni e ci sentiamo anche romani, vogliamo sicurezza anche noi».

Lia svela gli affari del marito: si indaga sui money transfer (Sara Menafra, Il Messaggero, 8 gennaio 2012):

Follow the money, segui i soldi, dicono gli investigatori americani. E la regola vale anche stavolta, nel crudele delitto di Tor Pignattara. Tanto più che ieri mattina, nell’ennesimo interrogatorio in ospedale, la madre della piccola Jou, Liyan Zheng ha svelato il mistero della borsa che aveva con se e che i rapinatori le hanno tagliato via con una specie di uncino: «Non l’ho detto perché avevo paura, ma da tempo mio marito si occupava di una attività di Money transfer e spediva soldi di amici all’estero, anche non in Cina. Quando ci hanno aggrediti abbiamo capito subito che volevano la borsa e lui ha cercato di reagire per non fargliela prendere». Che Zhou Zheng si fosse arricchito recentemente non era sfuggito a nessuno nel quartiere. Come era stato notato il suo matrimonio extralusso, con macchine di grossa cilindrata parcheggiate davanti al ristorante. Ed è un fatto, su cui gli inquirenti stanno ragionando, che l’attività di money tranfer sia il nodo principale su cui punta la criminalità organizzata cinese. L’ha spiegato anche il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, sentito dalla commissione parlamentare antimafia il 28 settembre scorso: «Per la criminalità cinese, si segnalano le indagini che hanno riguardato i money tranfer. Tali attività illecite vengono poste in essere da gruppi criminali di tipo orizzontale, semistrutturati a livello familiare allargato». Chi ha colpito gli Zheng avrebbe dunque organizzato il colpo - un omicidio premeditato - prevedendo che nella borsa della madre di Joy, Liyan Zheng, avrebbe trovato parecchi soldi. Forse anche di più dei sedicimila rubati e poi di fatto abbandonati in via Fieramosca, una volta notato che le banconote erano intrise di sangue e che portarseli appresso sarebbe stato troppo pericoloso. O che comunque quella refurtiva andava eliminata perché foriera di guai, di una reazione da parte dei soci di Zhou Zheng. E qui vengono i nodi ancora da chiarire: il primo è legato all’attività di Zhou Zheng. Come è entrato nel giro dei money tranfer? Lo faceva da solo o su commissione di qualche organizzazione? Il secondo punto sono i clienti. Gli uomini del Nucleo investigativo dei carabinieri stanno lavorando sulla lista di persone che si rivolgevano ai Zheng. «I nostri clienti erano amici, cinesi e non, che chiedevano aiuto a mio marito. Nell’ultimo periodo però la voce si era sparsa ed eravamo stati minacciati», ha detto Liyan.

Di certo, ieri pomeriggio, il negozietto di Money transfer di via Bordoni in cui il giovane Zhou Zheng doveva depositare i soldi la notte del 4 gennaio è rimasto chiuso quasi per tutto il giorno. Appena girato l’angolo, in via Eratostene ce n’è un altro, gestito da Mohamed Wafa, bengalese che non ha voglia di raccontare quanti clienti si rivolgano a lui e per spedire quanti soldi. Ma una cosa la spiega: «I sistemi di trasferimento si bloccano se spedisci più di mille euro a settimana da uno stesso mittente. Alcuni fanno più chiamate di controllo e altri meno, dipende». E’ lo stesso meccanismo che ha in mente il generale Leandro Cuzzocrea, che coordina il nucleo valutario delle Fiamme gialle, quando chiarisce come funzionano le operazioni «frazionate»: «Il collettore spedisce anche per chi non ha il permesso di soggiorno o per chi dietro una attività innocua come può essere quella di badante o commesso nasconde altro e ha bisogno di spedire parecchi soldi in patria. Una volta raccolto il denaro, basta un operatore compiacente. Che fa tutte transazioni sotto la soglia stabilita dalla legge, di 1000 euro a settimana, ma attribuendola a nomi di fantasia». Forse Zheng era un «collettore».

Per chi non è facile dirlo, anche perché i soldi che da Roma partono diretti in Cina siano un mare. Praticamente la metà di quelli che da tutto il Lazio sono stati trasferiti all’estero, se contiamo che il totale è di 1.867 milioni nel 2010, dei quali 1.786 provenienti dalla sola provincia di Roma e, di questi, 900 milioni verso la Cina. La capitale è il principale centro di smistamento, la prima città d’Italia per rimesse verso la Repubblica Popolare. Una parte di questi soldi, proviene da attività illegali, chiariscono gli investgatori. Il dubbio è che la famiglia Zheng possa aver toccato il tasto sbagliato.

La nostra fetta di Cina (che non paga le tasse) (Ottofranz, via Intermarket & More, 9 gennaio 2012):

Vorrei attirare la vostra attenzione su un fatto che pur nella sua tragicità, sta scoperchiando un vaso di Pandora. Mi riferisco ai fatti di Torpignattara. Vi prego di sgombrare il campo da qualsiasi ipotesi xenofoba o razzista perchè non è questa la mia visione. Ho il massimo rispetto dell’operosità della comunità cinese. Ma in un momento in cui il mio Governo mi impedisce di fare operazioni in contanti oltre i mille euro, e promuove l’operazione Cortina, non posso fare a meno di chiedermi come un baretto di periferia possa produrre 16 mila euro di incasso. Erano troppi anche i primi 3000. E non credo assolutamente alla storia delle rimesse. Perchè basterebbe un indagine minimamente seria con nomi e cognomi e giustificativi commerciali per cominciare a sollevare quel velo sulle operazioni che avrebbero portato a quelle rimesse A voler affrontare approfonditamente l’argomento ho la netta sensazione che si scoprirebbero cose interessanti. Magari che in un modo o nell’altro quando c’è di mezzo un’attività cinese esiste sempre, dico sempre, in qualsiasi aspetto una fortissima componente di illegalità. Nell’abbigliamento, la miriade di laboratori che ormai sono endemici in zone franche come Prato, il comasco, parte dell’Emilia e della Toscana arrivando ai territori patria della Camorra, vengono prodotte merci dove la materia prima arriva per la quasi totalità dalla Cina, la produzione sfrutta manodopera con un sistema assolutamente illegale che produce concorrenza sleale e che, partendo da un evasione contributiva e di diritto del lavoro, non può che continuare la sua illegalità con l’evoluzione dell’evasione di IVA e quant’altro.

Tutta questa filera va ad alimentare in altissima, e quando dico altissima immaginatevela altissima, percentuale i mercatini rionali, oltre ad una pletora di scadenti negozietti di serie B e C (molte volte gestiti anche da Italiani) Il tutto produce un danno complessivo alla nostra ormai debolissima distribuzione ordinaria che potrebbe costituire quello che in altro ambito viene definito “colpo del coniglio”. Oggi qualsiasi capo di abbigliamento che vedete comparire nei mercatini rionali , ha una buona possibilità (molto vicina al 100%) di essere di provenienza cinese nella materia prima e di produzione cinese in Italia. E le possibilità che nei suoi vari step, comporti evasione fiscale sono del 100%. Naturalmente nessuno ci obbliga ad acquistare, ma sarebbe interessante che mentre vedo passare in Tv lo spot dell’evasore fiscale, passasse anche uno spot dell’acquirente stolto che gira la faccia dall’altra parte. Ricordando che la catena non si chiude comunque con un vantaggio nazionale, anzi il contrario. La comunità cinese ha una fortissima componente autarchica ed è impermeabile alla contaminazione del nostro prodotto nazionale se può farne a meno. Solo i più giovani in alcuni casi, che possono tranquillamente considerarsi eccezioni, fanno interscambio. Tutta la ricchezza prodotta riprende la via di casa sotto forma di rimesse. Infatti stanno nascendo ormai come funghi anche negozi alimentari dove il gioco si ripete, e dove i controlli servirebbero ancora di più in relazione anche ad un discorso sanitario.

Sarebbe interessante notare, che in un momento di contrazione fortissima di mercato dove operatori italiani sonno costretti a chiudere, operatori cinesi stanno aprendo attività i cui i costi di gestione non sono assolutamente in linea coi fatturati possibili. Esistono cattedrali ormai perfino nelle campagne desolate, che offrono megaspazi con migliaia di prodotti destinati a restare sugli scaffali per mesi, e che anche se ottenessero successo di vendita, a causa del prezzo bassissimo non potrebbero in alcun modo sostenere i costi di gestione. Non ci si può non chiedere il perchè di questo silenzio, anche se la risposta è scontata. Ma neanche si può far finta di non capire che prima o poi il parassita ucciderà l’ospite. Nel mondo animale quando i parassiti sono troppi, l’animale colpito si tuffa in acqua per liberarsene, perlonemo di una parte. Quasi tutti gli animali… meno l’alce. Vogliamo fare la fine dell’alce?

Il Campidoglio: dopo il lutto cittadino intitolare una strada (Il Messaggero, 10 gennaio 2012):

«Adesso cominceremo con il lutto cittadino il giorno delle esequie, che probabilmente sarà giovedì, poi ci sarà il Capodanno cinese che è dedicato alle due vittime e parteciperemo in quella occasione, poi potremmo anche pensare a intitolare una strada» alle vittime della rapina a Tor Pignattara degenerata nell'omicidio di Zhou Zeng e della figlia di soli nove mesi. Lo ha detto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. «Quello che però è importante - ha aggiunto il sindaco - è far sentire alla comunità cinese come a tutti quanti i cittadini di Roma che c'è un grande impegno per la sicurezza. Io mi sono impegnato con la comunità cinese a fare una serie di incontri sulla sicurezza anche nei quartieri a rischio come l'Esquilino e Tor Pignattara dove ci possono essere problemi per loro come per i cittadini romani».

2 commenti:

Nessie ha detto...

Ottimo anche questo di Lif - Euro holocaust. Ogni giorno che passa siamo sempre più crocefissi.

Anonimo ha detto...

IL CANCRO GIALLO HA COLPITO LA NOSTRA ECONOMIA, NELL'INDIFFERENZA DELLO STATO ITALIANO