domenica 15 gennaio 2012

Taglia sull'evasore


Roma - Premi ai dipendenti del ministero delle Finanze per le tasse evase scovate. Non è un inedito assoluto, ma uno di quei segreti ben custoditi che solo di rado filtrano dalle stanze ben sigillate di via XX Settembre. Stavolta a scoperchiare il calderone delle regalie di Stato è il leghista Roberto Castelli, che la racconta come post sulla sua pagina personale di Facebook. Scatenando le ire di chi, da cittadino comune, pur trovando odiosa l’evasione fiscale, trova ancor più odioso che ci sia una «taglia» sull’evasore. Tanto più perché i dipendenti, il loro stipendio, già lo ricevono a prescindere dai risultati ottenuti. «A proposito di tasse - scrive l’ex ministro - vi racconto questa che non ho mai raccontato. Non tutti sanno che gli addetti del ministero delle Finanze prendono una percentuale sulle tasse evase che scovano. Pertanto hanno tutto l’interesse a trovare più tasse evase possibile in un patente conflitto di interesse. Nel 2005 i dipendenti del ministero si sono divisi 800 milioni dicasi 800 milioni di euro sulla cifra scovata (non pagata poi dai supposti evasori). Ho protestato in consiglio dei ministri ma mi hanno risposto che così voleva la legge. In soldoni gli usceri hanno preso tra i due e i tremila euro mentre i dirigenti apicali cinquantamila. Niente male come gratifica natalizia».

Già, niente male. Anche se c’è da dire che la cifra della beneficiata segnalata da Castelli è sovradimensionata: furono «appena» 410 i milioni di euro che i dipendenti delle Finanze si spartirono in seguito a un decreto firmato il 29 dicembre 2006 dall’allora ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, come incentivo - ma trattandosi di un «regalo» a posteriori che senso ha parlare di incentivo? - per i maggiori incassi dell’erario grazie alla lotta all’evasione: 60 milioni relativi al 2004, anno evidentemente piuttosto fiacco per i blackbusters, e ben 350 relativi al 2005.

Ora, si può trovare più o meno opportuna la taglia sull’evasore. Ma ci sono alcuni punti della questione che non convincono. Prima di tutto, il fatto che il premio venga calcolato in base alle evasioni accertate, indipendentemente dal fatto che lo Stato riesca a mettere le mani sul maltolto (o meglio: sul mai versato). Particolare questo che, se permettete, ha la sua importanza. Altro punto oscuro, la suddivisione del montepremi, che secondo il testo del decreto doveva essere stabilita «in sede di contrattazione integrativa». Quel che è certo è che un po’ di quel premio andò a tutti gli allora 77.217 dipendenti del ministero, indipendentemente dal ruolo effettivamente rivestito nella caccia all’evasore. Insomma: todos caballeros, dall’usciere al dirigente. Naturalmente con qualche differenza: i dipendenti più bassi in grado si dovettero accontentare di poche migliaia di euro (comunque ben più di una tredicesima media), mentre i papaveri portarono a casa una gratifica da 40-50mila euro. A secco invece rimasero i militari della Guardia di Finanza, quelli che la guerra per lo scontrino la combattono in prima linea. Furono i rappresentanti del Cocer, il Comitato di rappresentanza dei finanzieri, a denunciare la stranezza. Dopo qualche polemica piuttosto accesa (del resto, di Fiamme, ancorché gialle, si parla) e un pugno di articoli sui giornali i militari si dovettero rassegnare a non ricevere il premio, togliendosi una sola piccola soddisfazione: vedere esclusi dalla lista dei regali almeno i dipendenti del ministero condannati per dolo o per danni erariali. A loro, non fosse stato per la protesta dei finanzieri, Padoa-Schioppa il premio antievasori lo avrebbe erogato senza battere ciglio.

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