sabato 20 novembre 2010

Tanto per cambiare...


PALERMO - Il senatore Marcello Dell'Utri avrebbe svolto una attività di «mediazione» e si sarebbe posto quindi come «specifico canale di collegamento» tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi. Lo scrivono i giudici della Corte d'Appello di Palermo nelle 641 pagine, depositate venerdì e in possesso dell'Ansa, della sentenza con la quale il senatore del Pdl Dell'Utri è stato condannato il 29 giugno scorso a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Il parlamentare era stato condannato per i fatti avvenuti fino al 1992 e assolto per quelli successivi. Il collegio presieduto da Claudio Dall'Acqua, a latere Sergio La Commare e il relatore Salvatore Barresi, gli hanno ridotto la pena dai nove anni subiti in primo grado a sette anni.

DELL'UTRI - Premette che non ha ancora letto le motivazioni però dalle prime anticipazioni che stanno emergendo dalle agenzie di stampa, Marcello dell'Utri si limita a dire: «I giudici hanno ricicciato le stesse cose della sentenza di primo grado. Sono sostanzialmente le stesse accuse del primo processo». «È una materia trita e ritrita - dice Dell'Utri all'Adnkronos - non c'è nulla di nuovo sono tutte cose che abbiamo già visto». Però, il senatore del Pdl continua a dirsi «fiducioso» e lo sarà «fino all'ultimo momento, altrimenti che faccio, mi uccido?». Dice anche di non sentirsi «preoccupato». «Non vedo come mi possono condannare sul nulla», ecco perché crede molto nel giudizio dei giudici della Corte di Cassazione. «Saranno i miei avvocati cassazionisti ad occuparsi adesso del caso, prepareranno una difesa adeguata per rispondere a tutte le accuse e alle motivazioni della sentenza di secondo grado». Dell'Utri ribadisce poi di non volere aggiungere altro perché «non ho ancora letto le motivazioni. Come faccio a parlare di una cosa che non conosco? So che hanno depositato le motivazioni ma non so altro».

LE MOTIVAZIONI - Per i giudici Dell'Utri «ha apportato un consapevole e valido contributo al consolidamento e al rafforzamento del sodalizio mafioso». In particolare, l'imputato avrebbe inoltre consentito ai boss di «agganciare» per molti anni Berlusconi, «una delle più promettenti realtà imprenditoriali di quel periodo che di lì a qualche anno sarebbe diventata un vero e proprio impero finanziario ed economico». Per questi motivi la Corte ritiene «certamente configurabile a carico di Dell'Utri il contestato reato associativo». Marcello Dell'Utri «ha svolto, ricorrendo all'amico Gaetano Cinà ed alle sue "autorevoli" conoscenze e parentele, un'attività di "mediazione" quale canale di collegamento tra l'associazione mafiosa Cosa nostra, in persona del suo più influente esponente dell'epoca, Stefano Bontate, e Silvio Berlusconi, così apportando un consapevole rilevante contributo al rafforzamento del sodalizio criminoso al quale ha procurato una cospicua fonte di guadagno illecito rappresentata da una delle più affermate realtà imprenditoriali di quel periodo». «Una mediazione» tra i boss e l'attuale presidente del Consiglio che durò per due decenni, con la quale avrebbe consentito «all'associazione mafiosa, con piena coscienza e volontà, di perpetrare un'intensa attività estorsiva ai danni del facoltoso imprenditore milanese imponendogli sistematicamente il pagamento di ingenti somme di denaro in cambio di "protezione" personale e familiare». Non oltre il 1992, hanno però sancito i giudici, periodo dopo il quale i pagamenti sarebbero cessati, come dichiarato da quasi tutti i collaboratori di giustizia.

MANGANO - I giudici della corte d'appello di Palermo presieduta da Claudio Dall'Acqua scrivono anche di Vittorio Mangano. Il mafioso fu assunto, su intervento di Marcello Dell'Utri, come «stalliere» nella villa di Arcore non tanto per accudire i cavalli ma per garantire l'incolumità di Silvio Berlusconi. I giudici ritengono credibile il collaboratore Francesco Di Carlo, che ha ricostruito il sistema di «relazioni» di Dell'Utri con ambienti di Cosa nostra. Credono fondato soprattutto il suo racconto su una riunione svoltasi a Milano nel 1975 «negli uffici di Berlusconi» alla quale parteciparono, oltre a Dell'Utri, anche i boss Gaetano Cinà, Girolamo Teresi e Stefano Bontade che all'epoca era «uno dei più importanti capimafia». La presenza di Mangano ad Arcore avrebbe avuto lo scopo di avvicinarsi a Berlusconi, «imprenditore milanese in rapida ascesa economica», e garantire la sua incolumità «avviando un rapporto parassitario protrattosi per quasi due decenni». Berlusconi avrebbe pagato «ingenti somme di denaro in cambio della protezione alla sua persona e ai familiari». La vicenda dei pagamenti da parte del Cavaliere si intreccia, secondo i giudici, con altri versamenti per la «messa a posto» della Finivest che all'inizio degli anni '80 aveva cominciato a gestire alcune emittenti televisive in Sicilia.

PATTO CON LA POLITICA - Però non risultano prove che confermino in maniera certa un presunto accordo tra mafia e politica durante la fase embrionale del partito Forza Italia, tra il ’93 e il ’94. La tesi, sostenuta dall’accusa che si avvaleva delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, è stata giudicata di «palese genericità» dalla corte. Il sostegno fornito a Forza Italia, secondo i giudici, non potrebbe essere inteso come il segno dell’esistenza di un patto, e dunque priva il giudizio di quegli elementi che indurrebbero, in questo specifico caso, alla configurazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

CIANCIMINO INATTENDIBILE - La Corte d'Appello ribadisce poi il suo giudizio circa la inattendibilità di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito. Proprio per questo motivo i giudici avevano deciso di respingere la richiesta dell'accusa di fare deporre Ciacimino come teste. «L'incontestabile progressione accusatoria che caratterizza con ogni evidenza le dichiarazioni sul conto dell'imputato - scrivono i giudici - non può che irrimediabilmente refluire in maniera oltremodo negativa sull'attendibilità e sulla credibilità di Massimo Ciancimino». La Corte ha ritenuto che «la pretesa rivelazione da parte del genitore sui presunti rapporti diretti Dell'Utri-Provenzano, che Massimo Ciancimino aveva peraltro taciuto per oltre un anno e 4 mesi, non era suscettibile di possibile utile approfondimento, oltre che manifestamente tardiva». «Tutte le superiori considerazioni - concludono i giudici - hanno dunque indotto la Corte a dubitare più che fondatamente della credibilità ed affidabilità di un soggetto come Massimo Ciancimino finora rivelatosi, sulla base degli atti esaminati dalla Corte e con riferimento a quanto riferito sul conto dell' imputato, autore di altalenanti dichiarazioni che non ha esitato a rettificare o ribaltare nel tempo con estrema disinvoltura, senza supportare le sue oggettive contraddizioni con giustificazioni ragionevoli, accreditandosi come portatore di presunte conoscenze, quasi sempre de relato, perché attribuite alle pretese, ma non verificabili, rivelazioni di un padre defunto».

DI PIETRO - Immediate le reazioni delle opposizioni. «Silvio Berlusconi va sfiduciato, tanto più dopo le motivazioni della sentenza Dell’Utri», dice il leader di Idv Antonio Di Pietro: «Adesso che anche le sentenze parlano di rapporti ravvicinati tra la mafia e il Presidente del Consiglio, speriamo che si trovino 316 parlamentari che lo sfiducino. Ci auguriamo che ciò avvenga prima che Berlusconi faccia ulteriori danni al Paese e che distrugga completamente la nostra credibilità all`estero».

PD - Vincenzo Vita annuncia che il Pd intende portare in commissione di Vigilanza sulla Rai il caso del «silenzio assoluto del Tg1 sulla sentenza Dell’Utri». «Va bene - afferma Vita- che la notizia è arrivata solo alle 19 e 30, ma un notiziario con mezzi molto inferiori come quello di Mentana è comunque riuscito a inserirla tra i titoli e a montare in tempo un servizio completo e dettagliato. Evidentemente il direttore del Tg1 ha deciso di non farlo. Riproporremo presto in commissione di Vigilanza il caso del Tg1 di Minzolini, perché la situazione non è più tollerabile. La maggiore testata del servizio pubblico si è ormai ridotta ad arma contundente contro l'opposizione e di propaganda per il premier e la maggioranza. Stasera siamo arrivati al paradosso: il notiziario si è occupato di mafia dedicando un servizio al caso Maroni-Saviano, proseguendo poi nell'opera di demolizione del governatore Lombardo, proponendo un'intervista all'ex ministro Conso sui fatti del 1993, poi ancora un pezzo sull'audizione di Ciancimino jr.al processo De Mauro, e ha chiuso l'ampia pagina sul tema con la cattura del boss Iovine. Silenzio assoluto, invece, tra i titoli del Tg, per le motivazioni della sentenza di condanna per concorso esterno del senatore Dell'Utri, che secondo i giudici ha fatto da mediatore tra Berlusconi e i boss. Minzolini si è limitato a far leggere la notizia dalla giornalista in studio in coda a tutti gli altri servizi».

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Voglio solo dire che un grande blog è arrivato qui! Sono stato in giro per un bel po 'di tempo, ma finalmente deciso di mostrare il mio apprezzamento per il vostro lavoro! Thumbs up, e andare avanti!.

Anonimo ha detto...

Lovely post acuto. Non ho mai pensato che fosse così facile. rispetti a voi!