sabato 13 novembre 2010

Agli italiani


Italia svègliati. Non puoi accettare che un governo liberamente e democraticamente voluto dagli italiani stessi cada per il capriccio personale di un voltagabbana che ha deciso di portare con sé nella tomba il premier e il suo governo. Non puoi accettare che un Paese difficile, nel pieno di una crisi internazionale, nel pieno di una legge finanziaria e in mezzo ad alluvioni e catastrofi, venga spinto al buio nell’abisso, solo per eliminare Berlusconi: perché qui non c’è un governo alternativo alle porte, c’è solo lo sfascio del presente, è l’unico collante che unisce le opposizioni vecchie e nuove. Non puoi accettare che in piena emergenza ambientale venga processato e delegittimato in tv, in piazza e in Parlamento chi si occupa della Protezione civile in modo fino a ieri ritenuto efficace. Non puoi accettare che un ministro, su cui possono divergere i giudizi, debba essere sfiduciato dal Parlamento, se crolla un’impalcatura di cemento a Pompei, come purtroppo è sempre accaduto. Non puoi accettare che un grande giornalista che dirige un grande giornale, debba pagare, unico tra tanti, un clima d’odio e di giornalismo militante con l’impedimento di far sentire la sua voce ai tanti lettori che lo seguono. Mi rivolgo alla pancia d’Italia e nel senso descritto nel suo vivace pamphlet da Beppe Severgnini, al ventre profondo del nostro Paese, la maggioranza silenziosa a cui si nega il diritto di avere opinioni diverse da quelle somministrate dai poteri mediatico-giudiziari.

Italia svègliati, e questa non è un’invocazione retorica o generica, ma realista e specifica. È giunto il momento di una presenza visibile ed energica di quell’Italia sfiduciata che non viveva con euforia i giorni della vita pubblica nostrana, che ha vissuto poi con disagio le sue involuzioni e ora vive con fastidio questa macchina da guerra che si è messa in moto per azzerare la dignità, la libertà, la rilevante quota di sovranità popolare e nazionale espressa da questa larga e profonda Italia. Questo non è un appello all’insurrezione, non è l’invocazione di un altro 25 aprile, come ha sciaguratamente scritto la Repubblica e come ha sensatamente denunciato Giampaolo Pansa. No, è l’invito alla maggioranza silenziosa del paese a mostrare la sua calma e civilissima indignazione per l’esproprio che sta subendo davanti ai suoi occhi della sua facoltà di decidere e a ribadire la sua lucida determinazione a non aprire crisi al buio. Occorre una protesta vera e civile, anche in piazza, anche per strada, per respingere una crisi assurda e priva di sbocchi. In questo bruttissimo momento del nostro paese in cui sembrano civili e moderati nei toni e nei propositi perfino Tonino Di Pietro e i comunisti, è necessario che gli italiani liberi e non militanti facciano sentire tutto il loro disagio. Che chiedano loro, gli italiani, di decidere nelle sedi proprie se e quando mandare a casa Berlusconi e il suo governo, se e quando non leggere Feltri e il suo giornale. E non siano i pronunciamenti di giudici, ordini, associazioni mafiose e caporioni.

È giunto il momento che qualcosa di simile al Tea party si formi anche in Italia, per restituire vitalità e cittadinanza attiva alla mitica e nascosta società civile, da troppo tempo addormentata e avvilita. Un movimento di base e non di partito che non risponda all’incattivimento con pari aggressività, anche solo verbale; ma risponda con la temperata forza dei ragionamenti e delle libere opinioni. È necessario che riemerga nel nostro paese quella borghesia sana e perbene, intelligente e anche educata che si disse moderata; e con lei quel popolo italiano che non vuole più sentir parlare di guerra politica e di strappi. Non mostrate i muscoli, l’unica prova di forza sia il numero, semmai. Mostrate il volto vero del paese che non vuole più vivere questo clima di guerra che porta alla paralisi. Un paese che difende il governo che ha eletto, ma che non appartiene a nessuno, nemmeno a Berlusconi; ma a se stesso, alle sua città, alle sue famiglie. E che faccia capire a tutti che solo l’interesse del Paese può essere superiore a tutto, non quello di una parte o di un’altra, di un potere o di un altro, di un leader o di un altro. Basta con i casi personali. Un popolo civile che reputa una benedizione il bipolarismo perché serve a garantire la responsabilità dei ruoli e la governabilità; ma che non vuole applicare il bipolarismo al popolo, ai valori, a tutto quanto. Il bipolarismo va circoscritto all’assetto politico-parlamentare. Non va applicato ad altezza d’uomo e all’universo mondo. Perché non si può vivere la vita in bianco e nero, perché non ne possiamo più di guerre civili, di razzismi politici e culturali, di odii feroci e di milizie in campo. Il mondo non si divide in due, e da nessuna parte ci sono solo i buoni o solo i cattivi; il bipolarismo è solo un sistema politico-elettorale, non può diventare un criterio di giudizio universale. Altrimenti non è bipolarismo, è manicheismo. Mi piacerebbe che nascesse dal basso una forza larga e tranquilla nel Paese, che avesse questi obiettivi e che difendesse il voto espresso dagli italiani, l’interesse superiore del Paese e l’esigenza suprema di avere un governo. E che non gridasse al lupo al lupo, alle dittature in corso o alle porte, perché poi, anche i lupi più lontani e sordi, alla fine, si svegliano.

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