Resettare tutto, sfasciare il Pdl, massacrare la Lega, rimanere nel centrodestra, aprire ai centristi e lanciare il messaggio più o meno criptico: un nuovo governo, dove Fini dovrebbe pesare di più, aperto anche a Casini. L’obiettivo: isolare Bossi. Ieri Gianfranco ha esordito così: «Non ci limiteremo a vivere di rendita, abbiamo nell’anima e nel cuore la voglia di continuare nel meraviglioso disegno che è il cambiamento della nostra Patria». E ancora: «Nessun traguardo può esserci precluso, ogni obiettivo può esser raggiunto, siamo ambiziosi».
Oggi Gianfranco Fini davanti al suo popolo potrebbe andare oltre. Ecco il disegno del leader di Futuro e libertà: una sorta di golpe di velluto per scansare Berlusconi più che abbatterlo frontalmente, naturalmente evitando il passaggio delle urne. La strategia di Fini è obbligata da due considerazioni. La prima è che i suoi sono divisi tra chi vuole lo scontro frontale con il Cavaliere e chi frena. La seconda è il terrore delle elezioni anticipate che potrebbero smascherarne la reale forza, prosciugandone le forze in Parlamento. E poi lo getterebbe nel dilemma di future alleanze con forze storicamente lontane da sé.
Accontentare falchi e colombe: questa la mission di Fini, che nelle ultime ore ha limato il suo intervento per tenere insieme tutti ed evitare ulteriori spaccature tra i suoi. E fare la sintesi tra i katanga alla Granata e i lealisti di Moffa e Menia, vuol dire pigiare su tasti condivisi dalle due anime di Fli. Attaccherà a testa bassa il Pdl, Fini, denunciandone la gestione padronale del partito e denuncerà la rivoluzione tradita da Berlusconi. Come ha già fatto davanti ai giovani in serata: «Non vi chiederò mai di cantare Meno male che Gianfranco c’è. Le persone passano, le idee restano». Gianfranco premerà sul tema della legalità, cercando di rappresentare il centrodestra buono, pulito e onesto in contrapposizione a quello del malaffare rappresentato dai berlusconiani. Centrodestra, però. Nessuna fuga in avanti verso fantomatiche ipotesi di terzo polo. In questo senso darà spazio ai timori dell’ala moderata che l’ha sempre messo in guardia sui rischi di scivolare in un eccessivo occhieggio alla sinistra: «Siamo e dobbiamo rimanere di destra, non possiamo essere ostaggio delle richieste dell’opposizione, non dobbiamo diventare i Di Pietro di destra».
Ma il vero attacco sarà a Bossi e alla Lega. Tirerà la corda il più possibile ma non romperà, Fini. Nessun ritiro dei ministri dall’esecutivo, nessun appoggio esterno. Ma una nuova road map per le riforme, difficile da digerire per il Carroccio. Se davvero qualcuno staccherà la spina di questo governo, quello dovrà essere il Senatur. Attaccherà il Carroccio ma anche il ministro dell’Economia Tremonti, uomo di raccordo tra Bossi e il Cavaliere. Ne contesterà i tagli lineari ma soprattutto l’essere stato sdraiato sulle posizioni leghiste. E il boccino a quel punto sarà nelle mani di Bossi. Fini in fondo è convinto che la Lega non potrà permettersi di far saltare il banco col rischio di buttare a mare il federalismo, agli occhi dei leghisti a portata di mano. Un anonimo finiano ammette: «Saranno loro a pensionare Berlusconi, non noi».
E poi le ultime notizie, giunte alle orecchie del presidente della Camera, che lo hanno allarmato non poco. Secondo i boatos Berlusconi starebbe per trattare con i centristi e restare fuori dalla partita sarebbe rischiosissimo per Fini. Ecco perché i canali con Casini, che non si sono mai interrotti, si sono intensificati tanto da ipotizzare un nuovo scenario: qualora si arrivasse alla crisi, si potrebbe chiedere un nuovo governo in cui sia incluso proprio Casini. In questo modo si eviterebbe l’accusa di una sorta di ribaltone perché, come ammette un uomo vicino a Fini: «Berlusconi resterebbe premier».
Ecco la strada per non tradire l’elettorato e i milioni di italiani che hanno votato il simbolo Pdl con la scritta «Berlusconi presidente». Ecco il grimaldello per continuare a logorare il Cavaliere dall’interno, senza cadere nelle braccia della sinistra. Poi il tempo, ma soprattutto le procure - è il ragionamento di Fini - farà il resto. Gianfranco è convinto che il berlusconismo sia finito ma invece di sbattere la porta e chiedere il giudizio degli italiani, sa che il suo progetto può essere coronato soltanto stando dentro la casa del centrodestra. E dall’interno eroderne le fondamenta. In fondo, sia falchi che colombe, sono convinti che il Pdl si stia sgretolando e annunciano che nelle prossime settimane arriveranno altri scontenti dal Pdl.
Fini ha l'appoggio esterno della
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Spunta il "Manifesto" delle buone intenzioni
«Noi amiamo l’Italia, la nostra Patria e la vogliamo orgogliosa e consapevole, unita nelle sue differenze, civile e generosa, tollerante ed accogliente; una Nazione di cittadini liberi, che credono nell’etica della responsabilità». Comincia così il «Manifesto per l’Italia, la carta dei valori di Fli, la cui lettura è stata affidata a quell’attore consumato di Luca Barbareschi. Si parla di
«diritti certi», «Stato più efficiente e meno invadente», «mercato e concorrenza», di
«promozione della legalità contro tutte le mafie», di
«etica pubblica e senso civico». Il refrain è il
«merito», il no ai
«privilegi», alle
«caste», alle
«rendite di posizione» associato a un’Italia
«solidale, attenta ai più deboli e agli anziani, fondata sulla sussidiarietà, che valorizzi l’associazionismo e il volontariato». Si parla anche di
«funzione educativa e sociale della famiglia» e contenstualmente la si smonta parlando di
«diritti civili di ognuno», così anche gli omosessuali sono contenti. Dopo i proclami su
«ambiente, paesaggio, bellezze naturali» e
«patrimonio culturale e storico» si parla di economia e si blatera di
«giovani, donne e green economy», di
«cultura, ricerca e università», di
«fisco equo» e di severità con chi
«vìola le leggi, evade le tasse, fa il furbo o il parassita».
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