domenica 14 novembre 2010
11 piccoli profughi...
... che pensavano di restare impuniti e continuare a spacciare indisturbati. E sarebbe ora di smettere di accogliere tutti indistintamente e ci sarebbe da chiedersi se i profughi sono davvero profughi.
Filmati per mesi a vendere droga
TORINO - Nigeriani e gabonesi. Avevano colonizzato - da anni - via Cecchi, trasformandola in una piccola succursale di Tossic Park. I residenti hanno inviato decine di esposti, organizzato marce di protesta e presidi contro il racket. La risposta della polizia, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Borgna, dopo mesi di indagine, ha scardinato gli equilibri di una vera e propria associazione criminale: 11 arresti, centinaia di clienti identificati, decine di denunce per favoreggiamento e altri reati minori. Gli undici africani finiti in cella e destinati a restarci sono quasi tutti rifugiati politici «per motivi umanitari» o aspiranti tali. Alcuni hanno il permesso di soggiorno. Professione, badante, operaio generico, muratore. Mai lavorato, nessuno, neanche un solo giorno. Un paio erano inseriti nel circuito assistenziale del Comune.
Un déja vu di un’altra inchiesta antidroga di pochi giorni fa. Con il capo della gang, un nigeriano, padre di due bimbi assistiti dal Comune, al centro di un narcotraffico che vale milioni di euro. La storia che si ripete. I fascicoli degli arrestati raccontano vicende che hanno un comune denominatore, cioè l’impotenza dello Stato nel combattere questo particolare tipo di immigrati. Uno è stato espulso in Nigeria nel 2006 ed eccolo di nuovo a Torino, come se niente fosse. Gli altri hanno chiesto asilo politico in vari Stati della Ue, con alterne fortune; in attesa del responso, si dedicano allo spaccio su scala industriale di eroina, cocaina, crack e marijuana.
I poliziotti hanno aspettato mesi prima di passare all’azione. «E’ inutile intervenire sui singoli sequestri di piccole dosi di stupefacente - spiega il vicequestore Gian Maria Sertorio, dirigente del commissariato Dora Vanchiglia - non ci sono misure efficaci per questo tipo di contrasto. Sotto la guida della procura, abbiamo preferito raccogliere le prove, con le immagini registrate dalle videocamere e gli appostamenti, anche con agenti travestiti da operatori ecologici, con le tute Amiat, di centinaia di passaggi di droga, in modo da ricostruire il narcotraffico in ogni particolare».
I pusher erano felicemente convinti di non correre alcun rischio. Divisi per settore: il gruppo della cocaina, quello dell’eroina white e pure della droga leggera, riservato in prevalenza alla comunità peruviana. In comune, solo le vedette, sistemate nel quartiere come una sorta di «guardia privata» dei narcos, con la funzione anche di body guard dei capi e dei custodi della droga, nascosta nei modi più fantasiosi: negli specchietti delle auto parcheggiate, in buchi ricavati nei muri dei fabbricati, nascosta nei passeggini dei bimbi o nel dedalo delle cantine e delle soffitte. Pusher radicati da anni sul territorio. Arroganti, indisturbati da sempre. Credevano di trascorrere un paio d’ore in questura e tornare subito in via Cecchi. Invece sono stati trasferiti in manette al carcere.
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