sabato 20 novembre 2010

Strani mormorii


«È troppo tempo amore che noi giochiamo a scacchi, mi dicono che stai vincendo e ridono da matti». Questo è un messaggio d’amore per Gianfranco Fini. Lo ha scritto una ragazza citando una canzone di De Gregori. Il titolo come si sa è Non c’è niente da capire. È un biglietto pescato in un blog, buttato lì subito dopo l’ultimo videomessaggio del presidente della Camera. La ragazza crede ancora in Gianfranco, ma non capisce a che gioco stia giocando. La politica è solo una partita a scacchi? Allora davvero non c’è nulla da capire. Questa è l’aria che si respira tra il popolo finiano. Temono che la ribellione dell’eterno secondo scivoli in un finale shakespeariano, tipo «tanto rumore per nulla». O peggio. Ricordate la battuta del predellino? Siamo alle comiche finali. I finiani sperano di non diventare loro (ancora una volta) i protagonisti di una ridolinata. Marco V. scrive su Facebook nella pagine di Futuro e libertà (2.259 fan): «Questo tira e molla, questi tatticismi, questo gioco del cerino ci ha stancato. Il mondo ci ride dietro...».

C’è chi si chiede se quello di Fini sia un dietrofront. Se si cambia linea. Se il senso di responsabilità sia una scusa per concordare con Berlusconi almeno un pareggio. C’è la sensazione che qualcosa stia cambiando. Il Cavaliere non era finito, moribondo, sotto assedio? L’entusiasmo dello stato nascente, della sbornia anti berlusconiana si sta trasformando in angoscia. Il Manifesto per l’Italia lo stanno firmando in pochi. Ma non è quello il problema. Il dubbio grande è che l’ottimismo «futurista» non voglia confrontarsi con la realtà. E in questo caso la realtà si chiama voto. La «destra migliore» ha paura della democrazia. La risposta di Gianfranco sa di scusa: «Io preoccupato che si vada alle elezioni? Assolutamente no, ma non servono all’Italia». Malignità. Di solito le elezioni non servono quando si pensa di perderle. Intanto i finiani scrivono: «Non ho capito il senso. E voi?». «Fini è ambiguo. Ma se con Berlusconi finisce alla volemose bene tutti gli italiani scoppieranno a ridere». «È apparso poco chiaro negli obiettivi, oscuro da un punto di vista comunicativo, una specie di poco chiara retromarcia». «Sarà una tattica politica, ma ho l’impressione che si gridi alla ritirata».

La tattica stanca. Non hanno tutti i torti quelli che cominciano a preoccuparsi per questa lunga melina sulla fiducia. Nel sottobosco di Futuro e libertà c’è più di qualcuno che comincia a sospettare che Fini sia in sintonia con gli intellettuali, ma fatichi a dialogare con le persone. È una questione di carattere e negli anni la sua freddezza è aumentata. Anche chi ha scommesso su di lui resta spiazzato dai suoi stop and go, da una politica che sa troppo di tatticismo, di certi passi indietro che sanno di paura o il braccetto che gli viene ogni volta che deve affondare il colpo. Non è un ripudio. È più un senso di noia e di fastidio. Ma che cavolo stiamo facendo? Tra i tanti che scrivono c’è qualcuno che mostra di conoscere Fini. «Lo seguo dalla fine degli anni Ottanta e ho capito che è un politico estremamente tattico e prudente. È eccessivamente riflessivo e cauto. La marcia indietro deriva dalla paura di perdere pezzi del suo partito. Probabilmente non si fida dei propri uomini. Teme che possano essere comprati? Teme che siano ricattabili? Forse. O nulla di tutto questo. Solo l’esistenza di una trattativa sotterranea. Lo stallo deriverebbe dall’esigenza di risolvere i problemi del Palazzo, prima dei problemi degli italiani». È interessante leggere quello che scrive la base finiana. Si capiscono due o tre cose. Uno: non vogliono il governo tecnico, preferiscono giocarsela alle urne. Due: sono più anti berlusconiani di Di Pietro. Nei messaggi di questi giorni si discute se dare o meno il diritto di parola a chi attacca il leader o è chiaramente filo Pdl. Tre. Sono galvanizzati dal presunto tradimento della Carfagna. «Mara ti aspettiamo a braccia aperte».

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