domenica 13 novembre 2011

Così tanto per...


Prima feroce censore della bibita più famosa del mondo. Poi addirittura assunto come advisor dal gruppo che la produce. Mettendo insieme i fatti, puri e semplici, la storia è questa. Da commissario europeo alla concorrenza, Mario Monti perseguì il gruppo Coca-Cola per abuso di posizione dominante. Nel 2004, per evitare un contenzioso, raggiunse un accordo in base al quale il colosso americano rinunciò ad alcuni comportamenti censurati dal commissario Ue. Giusto il tempo di far dimenticare il braccio di ferro e nel 2006, sorpresa, Monti viene assunto dalla Coca-Cola come membro dell'international advisory board. Ruolo, quest'ultimo, che il probabile futuro premier italiano conserva ancora oggi. Eh già, nella caterva di incarichi che il presidente della Bocconi vanta, dal gruppo Bilderberg alla Trilaterale, da Goldman Sachs al think tank Bruegel (già ricordati da ItaliaOggi del 3 novembre scorso), c'è anche una poltrona particolarmente «frizzante». La vicenda, a ogni modo, parte nel 1999. Monti, appena nominato commissario Ue alla concorrenza su proposta del governo D'Alema, fa partire un procedimento nei confronti della Coca Cola per l'ipotesi di abuso di posizione dominante. Il Professore, all'epoca, accusa il colosso statunitense di offrire agevolazioni sleali ai rivenditori del prodotto. Tra queste, in particolare entrano nel mirino alcuni rimborsi promozionali garantiti ai rivenditori che facevano scorta di prodotti Coca-Cola e alcuni contratti in esclusiva che obbligavano i rivenditori a comprare solo dalla multinazionale di Atlanta.

L'inchiesta di Monti dura la bellezza di cinque anni fino a quando nel 2004, alla vigilia della sua uscita dalla Commissione Ue, Monti riesce a ottenere dalla Coca-Cola un accordo in base al quale la società rinunciava agli accordi in esclusiva con i rivenditori. Passano due anni e il colosso americano, forse memore della recente battaglia, decide di farsi amico l'ex commissario-censore. E offre a Monti un posto nel suo international advisory board. Dove tutt'ora siede il premier italiano in pectore.


MILANO - Forse ieri Mario Monti per prima cosa avrà ripensato a quando proprio lui, nel febbraio 1986, ha chiesto con lettera aperta pubblicata dal Corriere della Sera all' allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga la nomina a senatore a vita di Paolo Baffi. Nell' appello, sottoscritto con Ricardo Franco Levi, c' era il senso dell' onore evidentemente rintracciato per una nomina che poteva figurare come un risarcimento dello Stato al governatore della Banca d' Italia che, per aver fatto muro contro le trame del sistema P2-Sindona-Calvi, era stato accusato ingiustamente e alla fine si era dimesso da Via Nazionale. Un quarto di secolo dopo a ricevere «quella nomina» è ora lo stesso Monti, uno degli italiani che può vantare un curriculum fra i più europei, con una vocazione internazionale che ha ispirato anche la sua presidenza alla Università Bocconi. Carica «ereditata» da Giovanni Spadolini, al quale è stato spesso paragonato oltre che per affinità intellettuali e spirito liberale, anche per i numerosi incarichi da «tecnico» che ha ricoperto. Spesso su indicazioni che potrebbero essere definite bipartisan, nel senso che sono arrivate sia da governi di centrodestra sia di centrosinistra. Con Spadolini poi ha condiviso sempre l' europeismo. E sarà probabilmente il richiamo all' «Agenda 2020» uno dei suoi primi atti da senatore a vita nei quali potrà essere cercata, da chi lo desidera e anche da chi proprio non se lo augura, una prima traccia di «programma» ideale da (eventuale) nuovo premier. Ne ha riparlato pubblicamente solo qualche mese fa definendo quegli impegni sottoscritti dall' Europa come un «ancoraggio che per l' Italia è particolarmente importante sfruttare». Ancoraggio che del resto, alla luce anche degli impegni stringenti nei confronti della Ue, assume un significato ancora più forte quando si ricorda una delle frasi che forse descrive meglio l' italiano-europeo Monti: quando, nel ' 99, il suo nome è stato in ballottaggio con quello di Emma Bonino per il posto di commissario Ue, il giorno dopo la sua nomina Marco Pannella ha organizzato una conferenza stampa per sostenere che «con Monti» avevano vinto i «poteri forti». E lui a un giornalista ha risposto così, sorridendo: «Di poteri forti non ne conosco. Tranne uno: l' Europa e da oggi mi fa piacere aver contribuito a renderlo più forte». Del resto non era nemmeno la sua prima volta in Commissione. Il suo nome per la nomina viene segnalato come indipendente nel 1994 dal governo di Silvio Berlusconi. E gli vengono assegnate le deleghe a Mercato interno, servizi finanziari e integrazione finanziaria. Ma è nel suo secondo incarico, quello appunto conteso con Emma Bonino, che Monti diventa SuperMario. Perché questa volta, riconfermato per la Commissione Prodi da Massimo D' Alema, riceve la delega alla Concorrenza. Diventa dunque il numero uno dell' Antitrust europeo. E con la «sfida» alla Microsoft di Bill Gates afferma con i fatti che l' Europa può diventare più forte, se lo vuole. Il 14 dicembre ' 98 un camion si ferma in Avenue Cortenbergh a Bruxelles e scarica le molte scatole che contengono le carte e le carpette del ricorso di Sun Microsystem alla Commissione europea contro il gigante Microsoft. Una causa che si protrae per anni. Nel 2004 Monti infligge al gruppo americano una maximulta da 497 milioni di euro e lo condanna a consegnare agli altri produttori i codici sorgente di Windows per rendere i server compatibili con quello di Gates. Una sentenza che segna una svolta anche nell' hi tech: Monti ha spiegato più tardi che la Commissione non ha accettato, pur rischiando, un compromesso perché era fondamentale «stabilire una certezza giuridica su cosa vuole dire abuso di posizione dominante nelle tecnologie dell' informazione e della comunicazione». E sette anni dopo un «riconoscimento» gli viene attribuito proprio dagli Stati Uniti quando, qualche mese fa, Monti è il primo non americano a ricevere l' Antitrust Achievement Award, premio che l' American Antitrust Institute attribuisce ogni anno. Per la Commissione non verrà più appoggiato da Berlusconi del 2004. Ma in Europa Monti continua a svolgere un ruolo fondamentale. E chi aspira ad assegnargli come riduttiva l' etichetta di tecnico, dovrebbe seguire con attenzione il percorso diplomatico e di ricerca di consenso che Monti effettua nei 27 Paesi quando, su incarico del presidente Josè Barroso, lavora al rapporto risultato fondamentale e presentato nel maggio 2010 sulla integrazione fra le varie economie mirato a rimuovere gli ostacoli al mercato interno e a organizzare una strategia per il suo rilancio. Spezzando anche una lancia a favore degli eurobond. Nel nome della convergenza. E proprio sull' Europa e sull' euro Monti, da editorialista del Corriere della Sera , rivolge, pur con la consueta forma pacata, discreta e in sintesi «british», una delle critiche più severe a Berlusconi nella «Lettera al premier» intitolata «L' euro, la crisi e il nostro Paese» pubblicata il 30 ottobre. Gli ricorda le sue parole: «L' euro non ha convinto nessuno» e lo ammonisce: «A ogni rialzo dei tassi, dovuto alla scarsa fiducia nell' Italia, Lei finisce per imporre sacrifici ancora maggiori agli italiani. Anche le parole non sorvegliate hanno un costo». Parole molto sorvegliate e con uno sfondo tecnico, critiche che peraltro ricorrono con grande frequenza nei suoi ultimi scritti. Si può rintracciare la volontà o anche solo la disponibilità a guidare un nuovo governo? Lui, che dice «di non aver mai partecipato alla disputa fra governo tecnico sì governo tecnico no», ha sempre sottolineato di preferire «i governi politici, che guidino i cittadini nelle scelte anche difficili da fare». Tuttavia, quando dopo il ribaltone di fine ' 94 gli è stato proposto dal presidente Oscar Luigi Scalfaro di guidare un nuovo esecutivo, Monti ha declinato l' invito. Ma non per un dubbio sulla natura tecnica o politica del governo. Bensì ha subordinato la disponibilità all' ampiezza dell' appoggio. E per la stessa ragione ha rifiutato altre offerte da parte di Berlusconi (ministro degli Esteri nel 2001 e dell' Economia in sostituzione di Giulio Tremonti nel 2004). Perché se c' è un' anima politica nel tecnico Monti risiede proprio nel «dovere del consenso». Che può far dire di no. Ma pure di sì a chi ha reso più forte l' Europa anche battendo Bill Gates.

Bocconi Sergio

Ma, il neopremier Mario Monti è anche questo: "Forse non tutti i cittadini lo sanno o se lo ricordano (e su questa ignoranza ha contato, oltre che sul complice silenzio dei politici e dei giornalisti, Giorgio Napolitano nel nominarlo) che Mario Monti è stato costretto, nella sua qualità di Commissario europeo sotto la presidenza Santer, a dare le dimissioni “per l’accertata responsabilità collegiale dei Commissari nei casi di frode, cattiva gestione e nepotismo” messi in luce dal Collegio di periti nominato appositamente dal Parlamento Europeo. La Relazione fatta da questi Saggi al Parlamento, nonostante la prudenza del linguaggio ufficiale, fa paura. Si parla infatti dell’assoluta mancanza di controllo nella “rete di favoritismi nell’amministrazione”, di “ausiliari esterni” e di “agenti temporanei”, di “minibilanci espressamente vietati dalle procedure amministrative”, di “numerosissimi esterni fuori bilancio, ben noti all’interno della Commissione con il soprannome di sottomarini”, che operano con “contratti fittizi”, dietro “raccomandazioni e favoritismi”; di abusi che hanno comportato, con il sistema dei “sottomarini” l’erogazione non controllata di oltre 7.000 miliardi nell’ambito dell’Ufficio Europeo per gli Aiuti umanitari d’Emergenza (miliardi usciti dalle nostre tasche, naturalmente, e che dovevano andare, ma non ci sono arrivati se non in minima parte, ai bambini della Bosnia, del Ruanda morenti di fame)." (Continua qui)

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