giovedì 3 novembre 2011
Padroni
VICENZA — È stata picchiata, forse anche violentata dal marito. Lui è un imam che guida una moschea del Trevigiano, che da mesi la sta perseguitando. Lei è una donna la cui unica colpa è di volersi integrare: guidare l'auto, togliere il velo e imparare l'italiano. Richieste inaccettabili per il marito. Ora Fatima (nome di fantasia) è scappata portando con sé i bambini e si è rifugiata a casa della sorella. L'uomo è stato iscritto nel registro degli indagati dal pm Cristina Gava, dopo le segnalazioni dei carabinieri della locale stazione che si stanno occupando del caso, per maltrattamenti in famiglia, per violenza sessuale e stalking. I due, di origine marocchina, si erano sposati al loro paese. Il 32enne aveva trovato in un'azienda del Trevigiano un buon posto di lavoro come operaio specializzato. Appena possibile aveva chiesto alla moglie, che in Marocco aveva conseguito poco prima la laurea in giurisprudenza, di raggiungerlo per riunire la famiglia, e così era stato.
Dal loro matrimonio, nel frattempo, era nato un bimbo che ora ha sei anni, e una femminuccia di tre. I problemi sono nati quando Fatima ha cominciato ad ambientarsi, con entusiasmo, nel nuovo Paese, senza però rinnegare né le proprie origini né la propria religione, ma chiedendo al marito di concederle di beneficiare di quelle nuove libertà che si affacciavano nella sua vita. Non voleva più essere costretta a portare il velo. Voleva poter guidare l'auto per portare i bambini a scuola, imparare l'italiano per riuscire a rapportarsi con le altre mamme che incontrava o per fare la spesa. Il marito, dopo il suo arrivo in Italia della moglie, aveva invece rafforzato il suo attaccamento alla religione arrivando a guidare un centro di preghiera. Le disobbedienze della moglie erano punite con le botte, di cui la donna, in questi giorni con una mano ingessata, porta ancora i segni. Fino a quando, non potendone più, aveva raccolto poche cose ed era scappata di casa. Da quel momento il 32enne non le ha più dato pace. Fatima, ospite nel Vicentino, aveva trovato un lavoro come badante ma i continui appostamenti del marito hanno spinto i datori di lavoro a cercare una nuova assistente. Dopo i numerosi interventi dei carabinieri davanti alle scuole perché il marito si presentava con l'inutile intento di prelevare i figli prima dell'arrivo della moglie, il maresciallo Donato Summa aveva consigliato alla donna di presentare denuncia per stalking. Fatima aveva acconsentito ma poco dopo l'aveva però ritirata, per paura di ritorsioni. E sarebbe sempre di quel periodo di pressioni che l'uomo l'avrebbe trascinata in una zona boschiva e violentata. Ora la procura di Vicenza vuole accertare le eventuali responsabilità.
Romina Varotto
Le imponeva il velo anche se era appena un adolescente. La obbligava a occuparsi della casa e, se si ribellava, volavano le botte. E poi gli insulti. E ancora: non poteva uscire con i suoi amici di scuola ma solo con le famiglie di connazionali nordafricani. E guai a voler vestirsi all'occidentale: bastavano le due tute sportive con le quali andava tutti i giorni a scuola. Quei vestiti diventavano sempre più piccoli per quel corpo di ragazzina che cresceva ogni giorno di più.
Era un'aula del tribunale troppo piccola quella di ieri per ospitare un problema così grande come quello dello scontro tra civilità. Un conflitto concretizzatosi ieri in un processo per maltrattamenti di un padre marocchino ai danni di una figlia di 17 anni. Il dibattimento è stato rinviato a fine mese quando toccherà deporre ai testi della difesa e potrebbe intervenire anche il padre, difeso da Paolo Iannetti, con una dichiarazione spontanea. Da alcuni mesi, la vittima, assistita da Lorenzo Picotti, vive in una casa accoglienza dopo aver lasciato la casa che condivideva oltre che con il padre anche con un fratello e lo zio. Proprio il parente è già finito sotto processo perchè aveva costretto la nipote a commettere atti a sfondo sessuale. Lo zio ha già risolto la questione penale ed ha patteggiato la pena. Ieri, invece, si discuteva del rapporto tra il padre e la figlia, arrivata in Italia nel 2006 quando aveva solo 12 anni dopo aver lasciato in Marocco la madre con il fratello più piccolo.
La giovane, però, conosce subito la spietata legge del padre che con continui richiami anche all'Islam le impone una vita piena di obblighi e divieti anche a causa dell'assenza della madre. Viene costretta a restare in casa e a fare il pane. Deve pulire i pavimenti anche se non si sente troppo bene. Lei non si ribella o lo fa troppe poche volte, ha il terrore delle minacce del padre che le intima più volte il ritorno in Marocco. Il calvario termina nell'estate del 2009 quando il genitore insieme allo zio torna in Marocco. E in quel periodo che la giovane trova il coraggio di raccontare le sue disavventure prima ad un insegnate della scuola della Bassa veronese dove vive e poi ad un assistente sociale. Emergono così gli abusi sessuali subiti e spuntano anche le umiliazioni del padre. È la sua salvezza. Per lei si aprono le porte di una comunità d'accoglienza dove vive da due anni. Resta solo il padre che quando la va a visitare le chiede sempre se si mette il velo e se le offrono da mangiare carne di maiale.
Giampaolo Chavan
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