sabato 19 novembre 2011

Ai piromani altra benzina


Il glorioso settimanale della sinistra britannica, New Statesman, è durissimo con il governo Monti e la tecnocrazia europea. Scrive che “per la prima volta paesi europei sono guidati da individui che non hanno avuto il benestare del popolo alle urne”. “Se i leader democraticamente eletti non soddisfano i mercati, il Fmi e la Commissione europea, allora vengono licenziati”, recita un editoriale della rivista che fu di George Bernard Shaw. New Statesman dice che la democrazia in Italia e Grecia è stata soppiantata dal “dominio dei tecnocrati”, voluti e promossi da “organismi internazionali non eletti come la Commissione europea e il Fondo monetario”. Dice anche che “il potere degli organismi internazionali ha sminuito la democrazia” e parla di “apoteosi tecnocratica che guida il Fondo e la Commissione europea”. Così facendo, “il deficit democratico al cuore dell’Europa è diventato un abisso democratico”.

Un giornale di segno opposto, il Daily Telegraph, evoca la lotta di Margaret Thatcher contro i burocrati di Maastricht: “Gli architetti dell’Unione europea non hanno mai voluto essere una democrazia”. Scrive sempre il Telegraph con Christopher Booker che “l’élite europea ha appena destituito due primi ministri eletti”, mentre Charles Moore lamenta che “ora che la crisi dell’Unione europea raggiunge il suo momento di verità abbiamo bisogno di leader eletti al potere, non di tecnocrati. Mario Monti è stato nove anni commissario europeo e il suo indirizzo postale era Rue de la Charité, Bruxelles. Questo non è il tempo dei tecnocrati e dei francofortesi”.

Durissimo lo Spectator con un lungo commento di Fraser Nelson. Il direttore del celebre settimanale britannico attacca “l’Eurozona che ha creato un apparato mostruoso affidato sostanzialmente a un manipolo di individui”. E ancora: “La Old Opera House di Francoforte – un tempo il più bel edificio in rovina della Germania post bellica e oggi il suo più stupefacente restauro – è diventata il simbolo della rinascita europea. E’ stato lì che il mese scorso Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno incontrato l’élite burocratica dell’Unione europea, organizzando quello che in un altra epoca sarebbe stato definito un putsch. Merkozy e i burocrati si erano stancati dei vertici dell’Eurozona, dove i leader discutono incessantemente ma non arrivano mai a una decisione comune. C’era bisogno di formare un gruppo più ristretto, in grado di esercitare il potere con fermezza ma anche in maniera informale. Quella sera, mentre Claudio Abbado dirigeva l’Orchestra Mozart di Bologna, nasceva la cupola dell’Unione europea. Soltanto pochi mesi fa l’idea che il capo di un governo europeo cercasse di destabilizzarne un altro, o addirittura provocarne la caduta, era del tutto impensabile. La scorsa settimana, invece, i leader di due paesi dell’Ue sono stati costretti a dimettersi”. Il problema è nella leadership di Francoforte: “Il fondo di salvataggio dell’euro, che ha una potenza di fuoco di mille miliardi di euro, è gestito da uno staff di quindici persone. Evidentemente oggi è possibile controllare un continente formato da diversi stati nazione mettendo insieme pochi individui che la pensano allo stesso modo nei camerini di un teatro dell’Opera di Francoforte. E tutto nel nome dell’unità dell’Europa”. Secondo lo Spectator, l’Italia era un osso più duro della Grecia di Papandreou: “A parte l’interesse sul debito, l’Italia ha uno dei più grandi surplus dell’Eurozona. Il suo nord è una delle regioni più ricche del continente e lo sarebbe ancora di più se ci fosse una lira da svalutare per aiutare gli esportatori. Le famiglie sono risparmiatrici e il debito è alto ma stabile”. Lo Spectator definisce l’operazione che ha portato i tecnocrati al governo come “l’incontro fra la gerarchia europeista e il potere finanziario tedesco: una sorta di Bruxelles sul Reno”.

“Il piromane torna sulla scena del crimine”. Anche l’Economist, con toni più compassati ma altrettanto chiari, esprime dubbi sull’operazione: “Hai un PhD, allora puoi governare”. Il magazine britannico sostiene che “i tecnocrati saranno bravi a dire quanto debba soffrire un paese, come rendere sostenibile il debito o risolvere una crisi finanziaria, ma non saranno bravi a distribuire il dolore. Questa è una questione politica”.

Sul Wall Street Journal, Walter Russell Mead parla di “guerra culturale” e di un tentativo tedesco di imporre regole prussiane a paesi culturalmente diversi come l’Italia. Ironizza con la Francia, che “è fondamentalmente un paese da Club Med con alcune caratteristiche del nord (storicamente rinvenibili fra ugonotti ed ebrei, comunità da cui vengono molti degli imprenditori francesi di maggior successo)”. Di “tecnocrazia barcollante”, con riverberi statunitensi, parla sulla rivista conservatrice National Review Victor Davis Hanson: “Stiamo vivendo la crisi di fede nei nostri guardiani illuminati degli ultimi trent’anni”. Hanson biasima le “caratteristiche in comune della tecnocrazia occidentale: credenziali accademiche, nomine governative, politiche progressiste e un passe partout per godere della propria ricchezza personale senza essere percepita in contraddizione con le politiche egualitarie”. Hanson è durissimo anche con quei “giornalisti tecnocratici che amano l’autocratica Cina e odiano i Tea Party”. Sempre su National Review ne scrive Andrew Stuttford: “Come aveva capito Berlusconi, è la moneta il problema, non il paese. Chiedere a Monti, un sostenitore della moneta unica, che è stato commissario europeo quando venne varata, di diventare primo ministro è come chiedere a un piromane di tornare sulla scena del crimine e dargli un’altra tanica di benzina”.

1 commenti:

samuela ha detto...

Quando si dice la faccia come il culo. Dov'erano fino a due settimane fa?
Le considerazioni sul Nord Italia dovrebbero essere sbattute in faccia alla Lega che in massima parte ha sempre preso l'UE per cosa scontata.