lunedì 14 novembre 2011
Così tanto per...
Tutta questa speculazione contro i titoli italiani è solo un grande bluff di Alessandro Marrone
Berlusconi si è dimesso e Monti gli succede con un governo tecnico. Le dimissioni sono avvenute sotto la pressione della crisi del debito pubblico, con la speculazione all’attacco dei titoli italiani e lo spread tra i BTP e i Bund tedeschi che è passato dai 200 punti di luglio ai 600 di novembre, e gli interessi pagati sul debito italiano saliti al 7%. Perché questa improvvisa pressione speculativa contro l'Italia, se fino a metà giugno il FMI e le altre istituzioni internazionali ritenevano il Paese non a rischio? I fondamentali dell’Italia sono buoni. Nessuna banca è fallita in Italia, a differenza della Gran Bretagna. Non c’è stata e non c’è nessuna bolla immobiliare, a differenza degli Stati Uniti. Le banche italiane non posseggono grandi somme di titoli tossici greci, a differenza di quelle francesi e tedesche che sono esposte per 350 miliardi di euro. Il deficit italiano nel 2011 è inferiore a quello francese, il debito pubblico in valore assoluto è inferiore a quello tedesco. Nel 2009 la somma del debito pubblico e del debito privato dell’Italia (337% del PIL) grazie agli altri risparmi delle famiglie era più basso di quello della Gran Bretagna (531%), della Spagna (371%) e della Francia (352%). Il PIL italiano nel 2010, nonostante la crisi mondiale, è cresciuto dell’1,5%. Ad agosto 2011 la disoccupazione italiana era al 7,9%, 2,1 punti in meno della media dei paesi aderenti all’euro che è al 10%. Sempre ad agosto 2011 la produzione industriale dell'Italia è salita del 4,3%, e il fatturato delle imprese italiane è cresciuto del 12% su base annua, trainato da un buon export. L’inflazione per tutto il 2011 è rimasta sotto il 3%.
Insomma una economia sana e solida, per quanto dannatamente frenata da bassa crescita e bassa produttività. Anche la gestione del debito pubblico da parte del governo Berlusconi è stata buona: il debito pubblico italiano tra il 2008 e il 2011 è cresciuto del 12,7%, contro il 25,6% della Gran Bretagna, il 20,3% della Spagna, il 16,9% della Germania e il 14% della Francia. Nel 2008 sono stati recuperati 11 miliardi di euro dalla lotta all’evasione fiscale, somma più che raddoppiata a 25,4 miliardi nel 2009. Da giugno a novembre, in cinque mesi, il governo ha approvato due manovre finanziarie e la legge di stabilità che prevedono tra l’altro:
- il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013, e l’abbassamento del debito pubblico dal 119 al 112,6% del PIL nel 2014, anche tramite l’aumento dell’IVA e altre misure per un totale da 70 miliardi di euro. Già nel 2011 si registra un avanzo primario nel bilancio dello stato, al netto cioè della spesa per interessi sul debito, dello 0,9% del PIL;
- la riforma delle pensioni, con l’equiparazione dell’età di pensionamento per le donne nel settore pubblico e privato, l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni dal 2026, il passaggio definitivo al sistema contributivo, l’aggancio dell’età pensionabile alla vita media;
- la riforma del mercato del lavoro, il famoso articolo 8 della finanziaria, che permette la contrattazione a livello aziendale necessaria alle imprese per investire, come successo dagli accordi di Pomigliano e Mirafiori tra la FIAT e tutti i sindacati tranne la CGIL;
- la riduzione delle tasse sui conti correnti, dal 27,5% al 20%, e l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, dal 12,5% al 20%, un provvedimento che aiuta i cittadini risparmiatori e pone un freno alle transazioni finanziarie;
- la dismissione di immobili e terreni pubblici.
La politica economica del governo, per quanto discutibile, c’è stata ed è andata nella direzione delle richieste dell’UE quanto a riforma delle pensioni, tagli alla spesa, dismissioni e pareggio di bilancio. Niente a che vedere dunque con il rischio default della Grecia o con la paralisi di governo. Ma allora perché tutta questa speculazione contro i titoli italiani? Si è detto per la mancanza di credibilità internazionale del governo Berlusconi. E’ vero. Ma la mancanza di credibilità non è dovuta alla mancanza di una politica economica, che nel bene o nel male c’è stata. E' dipesa piuttosto da tre fattori.
1) Gli scandali, le gaffe, e l’incapacità di Berlusconi di creare consenso nell’establishment internazionale, dalle istituzioni europee ai poteri forti che pubblicano giornali come Time o Economist (da qui le critiche continue su questi giornali, a volte fondate e a volte no).
2) La tendenza di molti italiani, inclusi giornalisti, intellettuali e analisti che fanno opinione, a parlare esageratamente male del proprio Paese all'estero, molto più di quanto fanno gli altri europei: gli inglesi all'estero non criticavano la Sterlina neanche quando in due mesi perdeva il 20% del proprio valore contro l'Euro, figurarsi poi i francesi che ancora non ammettono avere le proprie banche a rischio perchè piene di titoli tossici greci.
3) La campagna mediatica e politica condotta per anni da una parte dell’opposizione basata sullo sputtanamento continuo della vita privata del premier, violando le norme sul segreto istruttorio o sul rispetto della privacy. Se Le Monde avesse pubblicato per anni le intercettazioni delle telefonate di Sarkozy a Carla Bruni in cui il presidente parlava di sesso o faceva battute sulla Merkel, anche la credibilità internazionale di Sarkozy ne sarebbe stata danneggiata.
Ma Le Monde a differenza di Repubblica non sputtana il proprio paese pur di attaccare l’avversario politico. Molti italiani invece continuano a fare come i Comuni e i Principati italiani dal Medioevo in poi, che pur di sconfiggere la fazione avversa chiamavano in aiuto gli eserciti francesi o inglesi o tedeschi in Italia. Così negli anni scorsi c’è chi a sinistra diceva “Berlusconi non può governare perché il Financial Times dice che se ne deve andare”, come se fosse un giornale di Londra e non il popolo italiano a decidere chi debba governare l’Italia. A loro volta francesi o inglesi o tedeschi, oggi come secoli fa, sono ben contenti che gli italiani siano divisi e li chiamino in soccorso, perché passando possono fare razzia nel nostro Paese. Certo oggi non si tratta più di portare la Monna Lisa al Louvre come fece Napoleone giusto due secoli fa, ma di comprare a prezzi di saldo industrie e banche strategiche italiane. Cosa già accaduta nel 1992-1993, quando con la crisi politica e il governo tecnico di allora furono svendute a compratori stranieri gran parte dell’industria chimica e farmaceutica italiana. Ed è per questo che anche a grossi investitori europei non dispiace che la speculazione attacchi l’Italia, che lo spread aumenti, che le azioni delle grandi imprese e banche italiane vadano giù a prezzi di saldo, e che il governo democraticamente eletto se ne vada per far posto a un ex Commissario dell’UE come Monti. Monti è un bravo tecnico e speriamo che faccia bene. Soprattutto, speriamo che Monti non faccia come i Comuni e i Principi italiani del passato, sennò il sacco economico dell’Italia sarà ben maggiore del valore della Monna Lisa.
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