giovedì 28 ottobre 2010

Scajola, Fini, la magistratura e le dimissioni


Claudio Scajola si accomodi, prego. Può riprendersi la sua poltrona di ministro quando e come vuole. Se vale il trattamento di riguardo, un vero e proprio trattamento ad personam, riservato al presidente della Camera, Gianfranco Fini per quella «sciocchezzuola», come ama ripetere sorridendo, della casetta di An finita, oramai sissabenecome al cognatino Tulliani, allora a maggior ragione, il ragionamento deve valere almeno per un'altra persona. Ad esempio per chi, come l'ex titolare dello Sviluppo economico, si è trovato investito dal polverone mediatico, sollevatosi a proposito del famoso appartamento con vista sul Colosseo, e non ha aspettato un minuto di più, dopo aver dato una sbirciatina ai titoli dei giornali (primo fra tutti il nostro) a dimettersi.

Già, perché la prima, robusta, sostanziale differenza tra Fini e Scajola, due politici di lunga navigazione, che dovrebbero essere, glielo riconosciamo, abituati alle scuffiate, è che il primo è rimasto aggrappato, anzi, strenuamente inchiodato, alla vellutata poltrona di Montecitorio, mentre il secondo ha immantinente fatto i bagagli, anche se avrebbe potuto restare al suo posto, non avendo commesso alcun reato, non avendo ricevuto neppure alcun avviso di garanzia. Già, perché la seconda, robusta, sostanziale differenza è proprio questa: Scajola non ha ricevuto alcun avviso di garanzia, mentre Gianfranco Fini è invece indagato per truffa aggravata a proposito della famosa «sciocchezzuola» dell'appartamento di Montecarlo.

E sono mesi che è indagato, anche se nessuno lo sapeva. Perché la cauta Procura di Roma, limitandosi a ossequiare scrupolosamente la legge (quindi seguendo una prassi che ha qualcosa di veramente anomalo, in un'Italia dove le Procure spifferano tutto, appena possono, ai cronisti) ha aspettato di annunciare che il presidente della Camera era indagato, contemporaneamente alla richiesta di archiviazione dell'intera, surreale vicenda. Richiesta di archiviazione che, peraltro, è sempre utile precisarlo, non smentisce una riga che è una riga dell'inchiesta pubblicata dal Giornale. Perché? Perché nelle carte dell'inchiesta si legge che sì il prezzo di vendita non risultava equo ma che andrebbe valutato il costo della ristrutturazione. E, per quest'altro aspetto, i pm preferiscono non entrare nel merito rimandando, si legge sempre nelle stesse carte, la valutazione del danno a una eventuale causa civile.

Assistere a una simile, encomiabile camminata sulle uova è un esercizio che può aiutare a far riflettere anche i più distratti fra noi. Se, infatti, andiamo un po' indietro con la memoria, pur tralasciando quelle migliaia di sussurri e venticelli che, appena usciti tempestivamente dai palazzi di giustizia, sono subito rimbombati come terremoti se l'indagato o il neanche indagato era ed è il premier Berlusconi, non ci risulta che prima d'ora un pm abbia avuto sì tanto rispetto per la privacy di un personaggio politico o pubblico che fosse.

Tutto ciò che cosa ci spinge a pensare? Nulla di moralmente illecito, beninteso. Ma solo che, evidentemente, Gianfranco Fini, che sia considerato negli abiti di Gianfranco Fini o in quelli del presidente della Camera, poco importa, può contare comunque sul rispetto e sulla aprioristica fiducia delle Procure. In ossequio, dunque, a quella famosa presunzione d'innocenza che, in tutti quegli sputtanamenti giornalistici costruiti sui soffietti di tante solerti Procure, non è mai stata particolarmente ossequiata in questo Bel Paese.

Tenete conto poi che i pm sono stati così prudenti e rispettosi della privacy della famiglia Fini, nel valutare l'affaire Montecarlo, da non aver mai sentito il bisogno di interrogare i protagonisti della vicenda. Né la compagna, Elisabetta Tulliani (che non ci pare abbia avuto un ruolo secondario nella gestione di quell'appartamento), né il cognato, che secondo lo stesso Fini potrebbe essere il vero proprietario della casa. Né, ancora, quei potenziali acquirenti della casetta monegasca che avevano dichiarato di aver offerto molto di più dei trecentomila pagati dalla off-shore, respinti al mittente nonostante fossero stati più generosi.

Se il ragionamento che abbiamo fatto fin qui fila, e in tutta onestà ci sembra che non faccia una grinza, allora il cerchio delle diverse credibilità, si può chiudere esattamente nel punto da dove avevamo cominciato a tracciarlo. Nonostante mille opacità, che restano in una vicenda che cristallina non è mai stata fin dall'inizio. Nonostante il fatto che la Procura abbia deciso di indagarlo, nonostante il mosaico dell'affaire Montecarlo sia stato ricostruito in ogni tassello, Gianfry ha deciso di non mollare. Di starsene lì, al suo posto. Imperturbabile. Mentre l'ingenuotto, sensibile e un po' d'antan, ministro Claudio Scajola, ha aperto il libro dei principi comportamentali del politico e dell'uomo retto, si è riletto il significato di parole come etica e morale e ha deciso di lasciare il suo scranno. Perché, in fondo, l'unico modo per liberarsi dalle responsabilità sta nell'assolverle. E non nell'autoassolversi. C'è una bella differenza, no?

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