domenica 17 ottobre 2010

L''assalto


Roma - L’assalto alla fortezza berlusconiana è partito. Un attacco concentrico che vede impegnati tutti gli avversari storici e non del Cavaliere: i giudici, Fini, Casini, la sinistra, la grande stampa, la piazza, pezzi di Pdl e, forse il più insidioso, la crisi economica che impedisce al premier il guizzo, il balzo in avanti. In questo momento sembra che si sia rinforzata una sorta di Santa Alleanza che vuole Berlusconi fuori da palazzo Chigi. La magistratura: è da quando è sceso in campo che pezzi politicizzati delle Procure gli fanno la guerra. Centinaia di processi, altrettante perquisizioni, migliaia di udienze e inchieste che si moltiplicano appena il premier è in difficoltà. Anche l’ultima, che vede il Cavaliere e il figlio Pier Silvio indagati a Roma sul caso della compravendita dei diritti tv di Mediaset, non è altro che una costola dell’inchiesta principale di Milano. Berlusconi è convinto che i motivi dello scontro con le toghe siano da ricercare nella difesa tutta corporativa della magistratura. A cui non va giù la separazione delle carriere e delle funzioni di pm e giudici; la responsabilità civile dei giudici; la riforma del Csm; la riduzione dei tempi biblici dei processi. L’ultimo fronte aperto con i giudici, questa volta amministrativi, è in Piemonte dove il riconteggio delle schede elettorali potrebbe detronizzare il governatore leghista Cota.

E poi c’è la pratica Fini: l’avversario interno che sta aspettando solamente che il colpo decisivo dei magistrati. A parole il leader del Fli si dice favorevole ad approvare il lodo Alfano ma in realtà tentenna. E poi, anche se arrivasse il sì allo scudo giudiziario in salsa costituzionale, non è scontato che i giudici della Consulta rinviino la loro decisione sul legittimo impedimento. In quel caso i processi di Milano riprenderebbero a correre e il premier rischierebbe di essere impallinato dalle toghe militanti. Soltanto Fini ha in mano lo strumento per concedergli la protezione e questo rende il premier debole e ricattabile. Intanto, terrorizzato dalle urne, il Fli lavora incessantemente all’ipotesi di un governo tecnico. Anche Casini resta ambiguo. Il suo elettorato è vicino a quello pidiellino e in più occasioni i centristi si sono dimostrati più attigui al centrodestra che non al centrosinistra. Giusto ieri, per esempio, il leader dell’Udc ha rimarcato la sua idiosincrasia nei confronti delle ali estreme dell’opposizione. In sostanza ha ribadito l’altolà a Di Pietro, Grillo e popolo viola. Ma a Casini non è andato giù che con il recente discorso dei 5 punti Berlusconi abbia di fatto determinato la scissione degli udiccini siciliani, fedeli all’esecutivo. Un danno enorme su cui però Casini è disposto a soprassedere qualora si avverasse il suo sogno: fare il funerale al bipolarismo italiano e giocarsi la partita del dopo Berlusconi da leader.

La sinistra, seppur malandata, in calo di consensi e condannata a rottamare politicamente i propri leader, sembra aver rialzato la testa. Le quotazioni di Vendola sono in ascesa costante e comunque anche il Pd non vede l’ora di benedire un governo tecnico. Allergici alle urne, i piddini sarebbero disposti ad appoggiare chicchessia pur di vedere il Cavaliere pensionato. Poi c’è la grande stampa, mai stata tenera nei confronti del premier, che in questo periodo lo sta dipingendo come un ronzino a fine corsa. Sempre indulgente con gli avversari politici, con Berlusconi si scatena. Anche la piazza, all’apparenza assopita dopo la campagna di Repubblica su Noemi e la D’Addario, sembra aver riacquistato la voce. Ieri, per esempio, le tute blu hanno riempito Roma grazie all’alleanza antiberlusconiana di studenti, precari della scuola, operai di Termini Imerese, popolo viola, Verdi ed Emergency.

Adesso, poi, il Cavaliere si sente minacciato anche da pezzi del Pdl. Alle sue orecchie sono giunte molte voci di peones che farebbero carte false per tenere in piedi la legislatura. Sotto la lente soprattutto quei parlamentari di prima legislatura che, qualora non tagliassero il traguardo dei cinque anni nel Palazzo, direbbero addio al vitalizio. E di fronte ai quattrini sarebbero disposti a tutto: a dare il loro appoggio a un altro governo qualora si aprisse la crisi, per esempio; o addirittura a fare il salto della quaglia e abbandonare il Pdl. Ma l’avversario più tosto si chiama economia. Berlusconi sa che lui e Bossi hanno il consenso ma è consapevole che aumenta pure il tasso di sfiducia nella politica. La causa prima, oltre a un eccesso di litigiosità, è il freno imposto alla riforma fiscale, vero atout in mano al Cavaliere. Le risorse scarseggiano e il taglio delle tasse e il quoziente familiare sono misure che costano troppo. E quando in ballo ci sono i conti, Tremonti è inflessibile nel dire «niet».

0 commenti: