mercoledì 27 ottobre 2010

L'ennesimo scandalo... bufala?


Milano - I racconti della ragazza «potrebbero essere un tentativo di ricatto, una trappola, una storia inquinata». Anche Il Fatto Quotidiano, che ieri lancia in prima pagina la notizia, lo fa con cautela, come a prendere le distanze da una vicenda ancora ampiamente oscura. Ma il risultato non cambia: nel giro di una manciata di minuti, ieri mattina, parte in grande stile il tam tam intorno al nuovo, infamante atto d’accusa contro il premier Silvio Berlusconi. La Procura di Milano, scrive Il Fatto, sta «vagliando» il racconto di una giovane marocchina già appartenente «al giro di Lele Mora» che afferma di avere avuto uno o più «contatti ravvicinati» con Silvio Berlusconi. Si ipotizza, insomma, una sorta di caso D’Addario-bis, aggravato dalla verde età della protagonista, che non ha ancora compiuto i diciott’anni.

Come si può immaginare, l’anticipazione del quotidiano diretto da Antonio Padellaro manda ieri mattina in fibrillazione le redazioni di tutti i media concorrenti. I cronisti giudiziari milanesi vanno in corteo a bussare alla porta di Edmondo Bruti Liberati (nella foto), procuratore della Repubblica. Ed è il capo della Procura milanese a pronunciare quella che suona come una sconfessione piena dello scoop: «In questa procura non ci occupiamo di pettegolezzi. Non esiste alcuna denuncia di questo tipo». Fine del caso, dunque? Non esattamente. A fare capire che la faccenda non è destinata ad esaurirsi tanto rapidamente non c’è solo la circostanza che Il Fatto annunci per oggi una nuova puntata. Ci sono anche una serie di riscontri arrivati ieri intorno a voci che circolavano da settimane negli ambienti giornalistici e politici. Sono riscontri che dicono che una indagine effettivamente c’è, nonostante la smentita di Bruti Liberati. Ma dicono anche che il racconto della ragazza è stato già smentito in più punti dalle indagini che la Procura milanese sta compiendo intorno alla spinosa vicenda.

Su un punto, la smentita di Bruti Liberati è impeccabile: non esiste una denuncia. La ragazza non ha sporto querela nei confronti del presidente del Consiglio. Però ha messo a verbale il nome del Cavaliere in più di un interrogatorio. Da quegli interrogatori è scaturito un fascicolo di inchiesta affidato al pubblico ministero Antonio Sangermano, fino a pochi mesi fa assegnato al pool specializzato in reati sessuali, coordinato dal procuratore aggiunto Pietro Forno. Si tratterebbe di un fascicolo del cosiddetto «modello 45», dove la Procura colloca le vicende in cui non è ancora configurabile un reato. Fascicoli esplorativi, insomma, senza indagati. Secondo indiscrezioni attendibili, tutto nasce (almeno in apparenza) per caso: la giovane araba viene fermata per un controllo e risulta priva del permesso di soggiorno. A quel punto, gioca il tutto per tutto: «Guardate che conosco Berlusconi».

Sul momento sembra una boutade. Ma la marocchina insiste. Racconta di essere stata a casa di Silvio Berlusconi ad Arcore insieme ad altre ragazze. E aggiunge una serie di dettagli su quanto sarebbe poi avvenuto nella residenza del premier. Il Giornale non sa quali siano questi dettagli. Ma una cosa è certa: dopo queste dichiarazioni, la forza di polizia che sta interrogando la giovane si ferma, e trasmette il tutto alla Procura milanese. Qui Bruti Liberati decide di procedere, anche se con grande cautela. Si consulta con il suo vice Pietro Forno, e il fascicolo viene affidato a Sangermano, uno specialista di reati a sfondo sessuale. La ragazza viene interrogata molte volte. Fornisce nuovi dettagli, fa molti nomi. E qua iniziano i problemi: perché buona parte delle notizie fornite dalla giovane non trovano conferma, e anzi vengono smentite dagli accertamenti della Procura. I magistrati hanno la sensazione di trovarsi di fronte ad una testimone ampiamente inattendibile e inutilizzabile, perché anche i dettagli veri o verosimili vengono pesantemente indeboliti da quelli rivelatisi falsi. «Non esiste una inchiesta e non è mai esistita», ribadiscono in serata fonti della Procura milanese. Eppure il fascicolo, in qualunque modo lo si voglia chiamare, esiste. Ed è per le dichiarazioni raccolte in quel fascicolo che la traballante superteste ha ottenuto di essere ospitata in una residenza «protetta», in attesa che la Procura decida cosa fare.

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