sabato 12 giugno 2010

Post B.


Non fosse per il fatto che Silvio Berlusconi è immortale, verrebbe il sospetto che quelli visti ieri sono i primi movimenti di chi sogna di prenderne il posto. Esercizi di riscaldamento in vista dello scontro per l’eredità. Da un lato Luca Cordero di Montezemolo. Che indossa gli improbabili panni di fustigatore della casta: usa parole e concetti di Beppe Grillo, attacca i «politici trombati» che si riciclano in quelle «discariche» chiamate province, critica governo e maggioranza per la norma sulle intercettazioni («una legge non ben fatta») e gioca a far credere, per l’ennesima volta, che sta per fare il grande salto. «Serve una classe dirigente che abbia il coraggio di prendere posizioni. Parlare dalla tribuna senza entrare in campo è sempre facile», dice l’ex presidente di Confindustria. E si sa come è finita l’ultima volta che un imprenditore ha parlato di «scendere in campo». Intorno a Montezemolo, a Santa Margherita Ligure,una coreografia che sembra studiata per l’occasione: la presidente dei Giovani industriali, Federica Guidi, dice davanti ai ministri che «la classe politica ha colpe pesanti» per le riforme non fatte. Anche se ha il buon gusto, almeno lei, di coinvolgere nelle critiche pure la classe imprenditoriale, colpevole di non avere «costretto governo e parlamento a passare dalle parole ai fatti». Che la manovra correttiva da 25 miliardi non faccia schifo agli imprenditori è un dato di fatto, e per capirlo basta sfogliare il Sole-24 Ore, quotidiano di Confindustria. Ma è vero anche che le aziende si aspettano dal governo tagli delle imposte e altre riforme capaci di rilanciare la produzione. Che per ora non si sono visti. E l’impasse al ministero dello Sviluppo economico, dove ancora non è stato scelto il successore di Claudio Scajola, non piace. Insomma, un po’ di fermento tra gli industriali c’è.

Ma da qui a dire che tutti costoro sono pronti a suonare la grancassa per Montezemolo ce ne passa.Lo sa bene lui stesso, che non si decide a scegliere. Anche perché, assicura chi ci ha lavorato accanto a viale dell’Astronomia, «il suo problema non è politico, ma psicologico: Luca odia suscitare contrasti, accetterebbe di entrare in politica solo se tutti gli elettori lo portassero a palazzo Chigi per acclamazione». Ipotesi irrealizzabile, almeno per ora. Ma il giorno in cui Berlusconi dovesse farsi da parte, chissà. Sperando che, da qui ad allora, Montezemolo abbia chiarito agli italiani, e magari pure a se stesso, che progetto è il suo, con chi vuole allearsi e per fare cosa. Per ora, si è capito solo che strizza l’occhio a Pier Ferdinando Casini. Il quale gradisce, ma intanto fa piedino con Berlusconi.

Sull’altro fronte, quello dei politici di professione, spiccano i duellanti Roberto Formigoni e Giulio Tremonti. Ieri il governatore lombardo ha accusato il ministro dell’Economia di aver scritto una manovra che «spazza via il federalismo fiscale» e di parlare di cose che «non conosce». Il riferimento è al nuovo grattacielo della Regione, che per Tremonti è uno spreco, mentre Formigoni assicura che sarà fonte di risparmi. L’unica certezza, in questa diatriba, è che a Tremonti non capita tutti i giorni di sentirsi dare del nemico del federalismo e dell’ignorante. Una bella scaramuccia tra l’anima nordista di Forza Italia, a trazione ciellina, e quella leghista, che Tremonti ormai incarna meglio dello stesso Bossi. Ne seguiranno altre. Guarda caso, sono queste le anime che dovrebbero lottare per la leadership del centrodestra qualora diventasse contendibile.

Gli stessi Formigoni e Tremonti sono due candidati naturali alla successione al Cavaliere. Anche se gli uomini vicini a Berlusconi continuano a giurare che lui non ha alcuna intenzione di consacrare né l’uno né l’altro. Ma non è scritto da nessuna parte, del resto, che la transizione debba avvenire sotto la regia del leader del PdL. Eventi traumatici, ad esempio di tipo giudiziario, potrebbero far precipitare le cose. Al momento si tratta di un’ipotesi improbabile, ma mostrare i denti e ringhiare sin d’ora non costa nulla.

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