martedì 29 giugno 2010

Integralisti


È a via di Torrenova, Tor Bella Monica, periferia di Roma, che ci porta la scia della violenza di mariti e padri pronti ad annientare le donne della propria famiglia, perché considerate disonorate, ribelli, autonome, con la voglia di cercare di migliorare la propria condizione e quella della famiglia. Proprio ciò che dovrebbe costituire motivo di difesa strenua da parte delle femministe - il tentativo di emanciparsi tramite il lavoro - non provoca altro se non una coltre di silenzio. Le agenzie ci hanno informato sull’ennesima cronaca di un tentato omicidio annunciato che sarebbe andato a buon fine se la figlia del cinquantenne egiziano, cui non andava che le donne della famiglia lavorassero, non fosse riuscita a sottrarsi al padre e a chiamare la polizia, mentre l’uomo si era gettato sulla moglie cercando d’accoltellarla. La donna ha raccontato che entrambe erano quotidianamente oggetto di minacce e maltrattamenti: sarebbe toccato solo a lui, padrone e capo famiglia, lavorare e prendere le decisioni a casa. Le donne sarebbero state uccise e “l’onta” sarebbe stata lavata. Così come ci testimoniano le altre migliaia di casi che Acmid Donna si trova a gestire: solo nel 2009, le telefonate ricevute sono state 5.478. Storie che raccontano di donne i cui diritti vengono continuamente derisi e oltraggiati: donne violate e abusate, trasformate in fantasmi, recluse a casa, dietro le sbarre dell’omertà, della paura e dell’indifferenza. Donne sole, abbandonate da chi è pronto ad erigere bandiere in nome dei principi per i quali esse combattono mettendoci la pelle. C’è la storia di Aisha, 19 anni, picchiata a sangue dal marito; quella di Samira, minacciata dal consorte che vorrebbe portarle via la figlia di 3 anni. E le storie di donne già private dei bambini da mariti scappati dall’Italia portandoli con sé, per punirle. Tra queste c’è Luisa, donna italiana sposata con un egiziano che l’ha sottoposta al matrimonio poligamico inserendo nel loro stato di famiglia la seconda moglie con i relativi figli. Questo qualcuno dei numerosi episodi che si consumano lì dove regna l’ignoranza e il totale sprezzo dei diritti umani, lì dove alla donna non viene riconosciuta la dignità. Spesso subiscono il matrimonio poligamico nonostante dal Marocco arrivino notizie confortanti: dall’approvazione della Moudawana tali matrimoni sono regrediti al numero irrisorio di 986 l’anno rispetto ai 62mila contati prima della riforma. E se alcune “acute” femministe italiane hanno erroneamente (o ideologicamente?) confuso la sacrosanta battaglia per l’affermazione dei diritti delle donne, del principio secondo cui ogni vita è sacra e inviolabile, con una lotta a guardia e ladri, dove chi s’impegna e batte quotidianamente viene apostrofato come “carabiniere”, la realtà dei fatti ci dà malauguratamente ragione. Ragione di credere che esiste una condizione di segregazione delle donne all’interno delle comunità arabo-musulmane, e che di questo scempio sia necessario parlare. Ragione nel richiamare l’attenzione dei media e delle istituzioni contro un vero e proprio femminicidio ammantato di un sordido velo di omertà e ipocrisia. Ragione nell’affermare con convinzione che è necessario agire con politiche di repression e d’integrazione reale all’interno dei ghetti comunitari. Ragione quando parliamo dell’improcrastinabilità di istruire e portare fuori di casa queste donne che a malapena sono in grado di parlare, che sono tenute all’oscuro dei loro diritti e doveri e cui molto spesso vengono sequestrati i documenti di soggiorno che il marito conserva. È terrorismo fisico e psicologico quello avanzato su queste vittime e chiedo che, come forma di terrorismo, venga stigmatizzato e rigidamente sanzionato, fino alla revoca della cittadinanza a tutti quegli uomini, spesso e volentieri poligamici, che non attribuirebbero alla donna alcuno statuto, così come ho proposto alla Camera. Mi chiedo allora: è questo il multiculturalismo che stiamo prospettando in Italia? È questo il lassismo sociale e antropologico che vogliamo abbracciare? È questo quel furioso relativismo nichilista che, anziché operare per una vera integrazione, incoraggia l’isolamento e l’incomprensione attraverso un silenzio complice? Non possiamo più tollerare questo stato d’abbandono in cui versano tante immigrate. E non siamo disposti ad ascoltare prediche e rimbrotti, da chi emana i suoi editti dai salotti buoni ma non è disposta a sporcarsi le mani. Da chi non riesce a comprendere che supportare queste donne significa aiutare tutte le donne. E che per farlo non è necessario far le ronde, ma basterebbe soltanto scrivere, denunciare, analizzare e fare fronte comune. Un obiettivo ancor’oggi sacrificato in nome di partiti politici, correnti di pensiero, atteggiamenti e antipatie ad personam. Mentre intanto le donne continuano a morire.

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