venerdì 11 giugno 2010

Fallimenti multiculti


Vale la pena ricordare che il particolare tipo di populismo nazionale di destra in Olanda è figlio del radicalismo degli anni Sessanta. I demagoghi olandesi, infatti, vogliono resistere ai musulmani intolleranti proprio in nome della “tradizionale libertà olandese”, mentre accusano “la tradizionale tolleranza olandese” di essere uno strumento della propaganda d’élite. Questo paradosso potrebbe non sopravvivere. Sulla stampa internazionale circolano due immagini del tutto contraddittorie dei Paesi Bassi. Una ha le sembianze di un posto selvaggio e indisciplinato, dove i poliziotti fumano la marijuana, gli omosessuali ballano per le strade e si può praticare l’eutanasia senza problemi, una società multiculturale in cui lo stato è così tollerante da sovvenzionare anche i violenti estremisti islamici. Questa immagine caricaturale è diffusa soprattutto negli Stati Uniti.

Dopo l’improvvisa comparsa di demagoghi populisti, come Pim Fortuyn e Geert Wilders, che vaneggiano e fantasticano sull’islamizzazione dell’Europa, un’immagine molto diversa ha iniziato a dominare la stampa: un paese di razzisti reazionari che guida il resto dell’Europa nella marcia verso una nuova alba fascista. Ovviamente entrambe le immagini sono estremamente esagerate. Entrambe sembrano contraddire le celebri parole di Heinrich Heine secondo cui nella placida, addormentata e borghese Olanda ogni cosa accade cinquant’anni più tardi rispetto a qualsiasi altra parte del mondo. Contraddicono anche l’immagine di una popolazione calma, flemmatica, che non si appassiona mai di nulla. Nell’insieme, infatti, la gente nei Paesi Bassi è relativamente calma. C’è, però, qualcosa di frenetico in questo nuovo populismo, esemplificato da Geert Wilders, così come c’era qualcosa di incontrollato nei cambiamenti sociali degli anni Sessanta: sesso, droghe e rock and roll come reazione a secoli di ottuso calvinismo. Lunghi periodi di calma occasionalmente interrotti da attacchi di isteria: così si può riassumere gran parte della storia sociale olandese.

La risposta radicale alla fede. Il populismo di Fortuyn e Wilders, in realtà, riflette entrambe le immagini dell’Olanda: reazionaria da un lato e stranamente moderna dall’altro. Wilders odia essere paragonato ai leader dell’estrema destra, come il francese Jean-Marie Le Pen. Fortuyn era, invece, un omosessuale estroverso e sgargiante, che nessun altro demagogo europeo di destra si sognerebbe di emulare, nemmeno l’ultimo, Jörg Haider, qualunque siano state le sue abitudini private. L’estrema destra in Francia, Austria, Belgio, Italia o Germania è legata a una tradizione di fascismo o nazismo. C’è un legame diretto tra l’Action Française e Le Pen, o tra Mussolini e diversi partiti di estrema destra in Italia. L’Olanda ha avuto sicuramente un Movimento Nazional-Socialista negli anni Trenta, ma i demagoghi anti-islamici di oggi non hanno molto a che vedere con le camicie nere anteguerra. Un tempo Fortuyn era un socialista, che ha sposato un programma contro i musulmani perché ha visto l’Islam come una minaccia ai diritti degli omosessuali e agli altri preziosi frutti della rivoluzione sociale degli anni Sessanta. Come seppe ben dire: “Non vedo perché dovremmo lottare di nuovo per i diritti degli omosessuali e per l’emancipazione femminile”.

Non è l’unico a parlare così. Alcuni ex sinistroidi si sono uniti al coro isterico di un’incombente “Eurabia”. In Olanda, diversi simpatizzanti di sinistra nati negli anni Sessanta sono cresciuti in famiglie conservatrici, spesso religiose. La loro ribellione era spesso zelante tanto quanto le istituzioni contro le quali si ribellavano. L’idea che la religione possa costituire, ancora una volta, un importante fattore della società olandese, questa volta sotto la forma dell’Islam, li riempie di rabbia. Sotto altri punti di vista, Fortuyn si avvicinava di più ai tradizionali demagoghi populisti. Ha attaccato le élites, ha promosso il culto del leader forte (se stesso) e ha promesso un ritorno a una società più disciplinata, mono-etnica e monoculturale, come se una società del genere fosse mai realmente esistita.

A difesa della “Capitale omosessuale del mondo”. Geert Wilders non è un vistoso omosessuale ma anche lui, come Fortuyn, è un eccentrico. I suoi capelli sono perennemente tinti di biondo ossigenato, quasi a nascondere i capelli scuri ereditati dai suoi antenati, in parte indonesiani. Anche lui si professa un paladino del liberalismo e della libertà di parola, per se stesso, in ogni caso. Il Corano, che egli paragona al Mein Kampf, secondo lui dovrebbe essere vietato, o per lo meno pesantemente censurato. È un sostenitore della deportazione degli immigrati musulmani e di una tassa speciale sul velo. Senza tali misure radicali, è convinto che la civiltà Giudeo-Cristiana sia destinata ad affondare.

Una cosa che distingue Wilders dagli altri suoi colleghi populisti in altre parti d’Europa, è una forma un po’ sinistra di filosemitismo, influenzata dal suo disgusto per l’Islam. Ospite frequente di Israele, Wilders approva la linea dura del paese nei confronti della popolazione araba. Negli Stati Uniti è supportato da alcune organizzazioni ebraiche di destra. Qui trova, in particolare nelle sinagoghe, un pubblico in sintonia con i suoi sproloqui contro l’Islam. Ci si chiede che cosa abbia pensato il suo pubblico ad una conferenza contro il Jihad a Gerusalemme quando ha affermato che i musulmani stavano minacciando lo status di Amsterdam come capitale del mondo gay. Ma questa affermazione dice qualcosa circa la peculiare natura del moderno populismo olandese.

Wilders, come Pim Fortuyn prima di lui, sta sfruttando le preoccupazioni che vanno oltre la paura dell’Islam. Un mix di globalizzazione economica, oscure politiche europee, crisi finanziarie e immigrazione senza controllo che ha corroso la fiducia di molte persone nella politica tradizionale e ha minato il senso di appartenenza. Sempre più elettori, in Europa come negli Stati Uniti, non si sentono rappresentati dai partiti tradizionali. Vecchie vicinanze sono state modificate dall’immigrazione e il senso di identità nazionale ne è uscito scosso.

Il non-sense multiculturale” della regina Beatrice. Le élite socio-democratiche sono considerate responsabili di queste inquietudini. Viene attribuita loro la responsabilità di aver permesso a così tanti immigrati di stabilirsi in Europa, dopo averli accolti come lavoratori immigrati o come richiedenti asilo politico. Le élite sono anche considerate colpevoli di aver screditato l’orgoglio nazionale promuovendo l’identità pan-europea e il multiculturalismo. Queste accuse non sono completamente false. Vero è, in Germania per ovvie ragioni, ma anche in Olanda, che l’espressione dei sentimenti nazionali è diventata quasi un tabù dopo la Seconda Guerra mondiale. Tali sentimenti sono stati confinati agli stadi di calcio, che costituiscono gli ultimi luoghi in cui è possibile sfogare i bollori patriottici, specialmente quando l’Olanda ha giocato contro la Germania. L’Unione Europa, ahimè, non è democratica, e non può nemmeno sostituire la nazione come fulcro del sentimento popolare.

Tutto ciò, preso singolarmente, non costituisce un fattore così importante. Ma insieme alle inquietudini economiche e alla paura di attacchi terroristici violenti, è diventato un serio problema. In tempi di grande agitazione, la cosa più semplice è trasformare queste inquietudini in ostilità nei confronti delle minoranze impopolari. Il fatto che un violento movimento rivoluzionario sia emerso nel mondo islamico, e che alcune persone siano pronte a commettere atrocità nel nome della loro fede, ha peggiorato la questione. Il vero obiettivo dello scontento popolare, almeno in Olanda, non sono i musulmani stessi ma le élite liberali che hanno permesso loro di installarsi lì. Così il populismo olandese nasconde uno strano paradosso. Da un lato i demagoghi parlano di resistenza ai musulmani intolleranti nel nome della tradizionale libertà olandese, dall’altro la tolleranza promossa per decenni dall’establishment liberale è condannata come una tipica propaganda d’élite.

Non molto tempo fa, se chiedevi a un olandese in cosa consistesse l’identità olandese, avrebbe probabilmente incluso la tolleranza, l’apertura nei confronti delle altre culture e l’ospitalità nei confronti degli stranieri. Se questo genere di auto-elogio fosse effettivamente giustificato è discutibile. Ma la posizione dei sostenitori di Wilder è che la tolleranza si è spinta troppo lontano, che la società multiculturale si è rivelata un terribile fallimento, e che gli “stranieri”, anche se sono cittadini nati nei Paesi Bassi, devono essere assimilati o devono essere cacciati via. Quando la regina Beatrice fece appello alla tolleranza nel suo discorso di Natale di alcuni anni fa, Wilders espresse il suo disgusto per quello che lui chiamò il “non-sense multiculturale” della regina.

Un tè con i musulmani, da ebreo. Il problema, allora, in Olanda come in altre democrazie, è come restaurare la fiducia nelle politiche liberali. Senza augurarsi di ridare vita alle forme di multiculturalismo più dogmatiche, che vedono l’assimilazione, o anche l’integrazione nella società dominante, come una sorta di tradimento culturale, la gente in Olanda, come in altre parti d’Europa, dovrà essere abituata a trattare gli immigrati dai paesi non occidentali come cittadini alla pari. Questo è valido anche per i musulmani europei. Solo allora l’elemento rivoluzionario violento potrà essere effettivamente isolato.

In effetti, la realtà in Olanda non è così negativa come la dura retorica dei populisti potrebbe suggerire. Geert Wilders è popolare, ma non quanto il precedente sindaco social democratico di Amsterdam, Job Cohen. Da quando ha cercato di calmare le acque ad Amsterdam dopo l’assassinio di Theo Van Gogh da parte di un giovane terrorista musulmano, Cohen è stato bollato dai suoi detrattori alla stregua di un codardo pacificatore dell’estremismo islamico. Egli rappresenta, agli occhi dei suoi nemici, l’élite liberale e la tolleranza accomodante a cui la gente dà la colpa di tutto: dal crimine di strada nei quartieri immigrati al violento estremismo islamico. Cohen ha fatto del suo meglio per parlare ai cittadini musulmani: dal bere il tè nelle moschee al prendere sul serio i problemi degli immigrati. Ha fatto ciò, come lui stesso ha spesso sottolineato, perché sa come ci si sente ad essere esclusi. Cohen proviene, infatti, da una famiglia ebrea laica. I suoi genitori sono sopravvissuti al tentativo dei nazisti di sterminarli.

Poiché gli Olandesi hanno un complicato sistema di rappresentanza proporzionale, non è affatto sicuro che i social democratici di Cohen (PvdA) riusciranno a formare la maggioranza di governo, nonostante la sua posizione. Ma le sue possibilità di diventare primo ministro sono di gran lunga superiori a quelle di Wilders di prendere il potere con il suo Partito delle Libertà (PVV) basato su un’unica persona. I problemi come il terrorismo, il crimine di strada, l’inquietudine economica non scompariranno. L’Olanda avrà, però, la possibilità di ristabilire un certo equilibrio e il paese, non più selvaggio, né bigotto, potrà diventare il calmo posto borghese che dovrebbe essere. (In realtà, i social democratici hanno perso di misura le elezioni, ma neppure il partito liberal-conservatore sembra in grado di governare in modo stabile. Wilders, invece, ha guadagnato un numero di seggi ultre le sue più rosee aspettative, ndt)

Tratto da Spiegel online International - Traduzione di Annalisa Marroni

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